I
miei sette padri. Storia
di una grande famiglia antifascista raccontata da un figlio
- Adelmo Cervi - edito in proprio
Reggio
Emilia, 2022
Tramite
l´osservazione attenta delle foto in suo possesso, i ricordi
personali, i racconti, le testimonianze e le proprie fantasticherie,
Adelmo Cervi ci narra la storia non ieratica, non imbalsamata dalla
retorica politica, della sua famiglia e di suo padre e dei suoi zii.
Eccolo
in copertina in pantaloncini e maglietta rossa, esattamente come l´ho
conosciuto ad una festa dell´ANPI, che a cavalcioni della sua bici
sembra allontanarsi dalla famiglia in primo piano, inseguito
dall´amato cagnolino, per il quale alla festa raccoglieva il cibo
avanzato da portargli a Reggio Emilia.
Lo
contraddistinguono semplicità, schiettezza, pensiero divergente,
laboriosità e un pizzico di follia, un po´ come nel libro afferma
fossero i Cervi tutti. E´ un piccolo uomo che si trascina
nell´anima un peso grande come un macigno. Perché non è solo
figlio e nipote di eroi (che già sarebbe troppo per una persona),ma
è anche un orfano di guerra, un bambino allevato dal nonno e dalle
donne di casa, che dopo l´uccisione dei mariti, prese dalla
quotidiana lotta per la sopravvivenza non avevano tempo neanche per
piangere e ricordare. Un bambino la cui anima piange ancora
l´assenza di un padre.
Dal
23 dicembre 1943, giorno in cui i Fascisti fucilarono per
rappresaglia i sette fratelli Cervi al poligono di tiro di Reggio
Emilia, sono trascorsi 80 anni. Tutta una vita per Adelmo che allora
aveva 4 mesi. Ottanta anni dopo Adelmo sente l´urgenza di scriverne
"Questa
non è LA STORIA.
Questa
è una storia.
Dove
prendo quello che mi hanno raccontato, ci attacco quello che non mi
hanno raccontato e lo condisco con quello che ho scoperto e imparato
leggendo libri e parlando con altri - parenti, amici, studiosi."
Così
esordisce e questo è il suo stile. Secco, parlato, preciso, sincero,
coinvolgente.
"...Com´eri?
(rivolgendosi al padre Aldo che non ha potuto conoscere) Com´eri
ogni giorno, dico, nella vita normale? Com´eri da bambino? Facevi
capricci? Hai cominciato presto a tagliare l´erba e a mungere le
vacche? E da ragazzo? Sei nato nel 1909, oggi avresti più di un
secolo, come a dire che saresti morto comunque. Ma sarebbe stato
diverso, andarsene magari a novantacinque anni, come il nonno
Alcide..."
E
prosegue per circa 400 pagine ripercorrendo tra narrazioni e
commoventi riflessioni personali la vita di questi intelligenti,
onesti e generosi contadini emiliani, che con il lavoro e la lotta
politica avrebbero voluto migliorare la vita economica e culturale
loro e altrui.
Scorrono
le vicende della grande storia e la loro ricaduta su quelle della
piccola storia familiare; emergono i profili delle persone, il padre,
il nonno, gli zii, le donne di famiglia, soprattutto emerge la figura
della nonna che dopo l´eccidio morirà di crepacuore.
Ma
più di tutto si evidenzia lo sperdimento di Adelmo, la solitudine
del bambino, la difficoltà di vivere in una casa che pian piano va
trasformandosi in museo, in una casa "da cui piano piano -
gentilmente, ma non troppo - il mito ti sta cacciando via. Ci vuole
tempo per accettarlo." E la sua ricerca del padre che riesce a
saziarsi solo al termine del libro.
Adelmo
alla festa, seduto per caso accanto a me, mentre mangiavamo
pastasciutta, mi ha chiamato "compagna". Ho provato un gran
disagio, non mi chiamavano così dagli anni settanta del Novecento,
mi è sembrato di tradirlo a non rivelarglielo. Però ho pensato che
la tensione alla giustizia sociale, a fare le cose per bene e con
onestà, a non sgomitare per arrivare primi, a non sopraffare gli
altri ci accomunano e allora ...forse in qualche modo sono ancora una
compagna.
Lui
ci racconta di una guerra del Novecento, le cui conseguenze hanno
avuto una ricaduta di dolore che perdura a distanza di quasi un
secolo ed io rifletto che nel XXI secolo questi racconti, oltre a
conservare la memoria di quello che fu, devono spingerci a
perseguire la pace ad ogni costo e con ogni mezzo, se vogliamo
definirci civili. Abbiamo una enorme necessità di "veri"
politici illuminati che sappiano usare la diplomazia per dirimere i
conflitti tra i popoli, e li dobbiamo pretendere.
Franca
Canapini