Cuba, la Rivoluzione: mito o
realtà?
Memorie
di un fantasma socialista
di Carlos Franqui
Baldini e Castoldi Dalai
– Pag. 630 – E. 19,00
Carlos Franqui compie ottantasei anni e decide di scrivere la sua
autobiografia raccontando attraverso la sua vita uno spaccato della storia di
Cuba. Ne viene fuori un libro monumentale, a metà strada tra il saggio e il
romanzo, scritto con uno stile piano e colloquiale che lo rende accessibile a
tutti. Un saggio importante, di cui si sentiva davvero il bisogno, tradotto
magistralmente dallo spagnolo da Raul Schenardi.
Rendiamo merito a Baldini e Castoldi,
editore lungimirante, che contrappone alle ricostruzioni agiografiche di autori
“inginocchiati” come Gianni Minà, la verità storica
vissuta da un protagonista della Rivoluzione. Peccato che il libro non goda (al momento) della grande pubblicità riservata ai thriller
di Giorgio Faletti, ma nutro comunque la speranza che
siano in molti a leggerlo. Il saggio si apre con una parte narrativa dove
l'autore raccoglie i ricordi della prima giovinezza, vissuta in un paesino
dell'oriente cubano, tra galli che cantano, palme altissime, ceibas
gigantesche e riti santeri. L'autore matura convinzioni
libertarie e condivide gli ideali di José Martí contro la dittatura quando
comprende che i padroni dispotici possono fare tutto, mentre ai poveri
contadini non è concesso niente. “Sognavo un futuro che mi sottraesse ai mali
del presente, un futuro che sarebbe stato possibile vedere grazie agli sforzi e
alle lotte”. Franqui si scopre antifascista e antibatistiano, comincia a fare la vita del rivoluzionario
clandestino, vende giornali proibiti e segue una profonda voglia di giustizia.
Comprende che solo lo studio e la cultura possono trasformarlo in un uomo
libero e per questo si iscrive alle scuole superiori. A Santa Clara scopre una
città ricca di fermenti rivoluzionari e idee socialiste, tormentata da lotte,
scioperi, manifestazioni di protesta, e pervasa da sogni per una vita migliore.
Respira libri e cultura, soffre per la morte del padre e si avvicina alle idee
comuniste che promettono un cambiamento radicale per le classi sociali più
disagiate. Da Santa Clara si trasferisce all'Avana e scopre una città vera,
“una festa d'amore, dove si parla e si balla a tempo di son”.
Franqui dedica pagine di pura poesia alla descrizione
della sua Cuba, racconta con nostalgia i colori della campagna e lo splendore
della capitale. Narra che all'Avana decide di dedicare la sua vita a cambiare
il mondo per far parte della grande famiglia socialista. Lotta per creare una
coscienza sociale, per unire i contadini e per far capire il loro diritto a
possedere la terra. Comincia a nutrire dubbi nei confronti del partito comunista quando Batista mette in piedi una pseudo repubblica ma il suo apparato direttivo sostiene il
governo. Non comprende il centralismo democratico e certe regole sacre, discute
con i dirigenti e rivendica la sua indipendenza. Quando comprende che essere
comunisti non significa essere liberi si dissocia dal partito, sa bene che l'anarchia
è una splendida utopia, ma non riesce a seguire regole che non condivide. Franqui è affascinato dalla parola “libertà”, la vede come
una sorta di mito, un sogno, una fantastica idea, ma ancora non sa che “non può
esistere libertà senza democrazia”. Franqui entra a
far parte dei rivoluzionari che vogliono far cadere la dittatura di Batista.
“Idealizzavamo la rivoluzione, immaginando che sarebbe stata umanista e
contraria ai comunisti rispetto al terrore, alla violenza e all'ingiustizia”. Fidel Castro compie l'impresa suicida della caserma Moncada che termina in una carneficina e per questo viene processato. Denuncia i crimini della dittatura ed è
condannato a quindici anni di carcere da scontare all'Isola dei Pini, dove
scrive La storia mi assolverà. Franqui è sorpreso per la singolare coincidenza di frasi
tra Castro e Hitler: il dittatore nazista in Mein Kampf aveva detto
la stessa cosa. “In quel momento pensai che sarei sempre stato contro Batista,
ma mai con quell'uomo pericoloso che aveva inaugurato
la sua missione con un mucchio di cadaveri”, scrive Franqui.
Nonostante tutto entra nel Movimento 26 luglio, anche se non ne condivide il
militarismo e il caudillismo,
ma in quel periodo storico è l'unico modo per ribellarsi a Batista. Dirige
Radio Rebelde sulla Sierra Maestra, ma non accetta
gradi militari e conserva un ruolo da civile indipendente che lavora per la Rivoluzione. Fidel Castro fa una Rivoluzione trasmessa
in televisione e via radio, con il suo carisma seduce l'intero paese e dopo la
vittoria dell'esercito ribelle prende i pieni poteri. Non restituisce la Costituzione del
1940, ma promulga una sorta di statuto privo di ogni garanzia, celebra i
processi ai batistiani con i tribunali militari e dà
il via a una prima orgia di sangue. “Rispondere ai crimini con altri crimini
snaturava la Rivoluzione”,
scrive Franqui che prende le distanze da Castro,
dirige la rivista Revolución
e critica tante manovre che non condivide. Secondo Franqui
“il sistema castrista supera l'orrore batistiano con
un superorrore”. Huber Matos
viene condannato a vent'anni di galera per aver dato
le dimissioni e non aver condiviso la virata comunista: non la pensa come
Castro, quindi è un traditore. Il fido Ramiro Valdés si
occupa degli antisociali e inaugura l'orrore delle Umap
a Camaguey. Franqui assiste impotente a una sfilata di reclusi
omosessuali, hippies e religiosi, nel gulag tropicale
circondato di filo spinato. Finiscono dentro gente come Pablo
Milanés (oggi affermato cantautore), Osvaldo Payá Sardiñas (oggi guida la
dissidenza cattolica) e Jaime Ortega
(adesso cardinale). Cuba diventa comunista non per colpa degli Usa, afferma Franqui, ma per volontà di Fidel
che è convinto di incarnare la
Rivoluzione e di saper fare le scelte migliori per il futuro.
Franqui descrive Che Guevara
come un ambizioso in cerca di potere e fama, arrogante con i sottoposti che
disprezza come esseri inferiori. Il Che è un dogmatico privo di senso della
realtà, uno che distrugge l'economia con ricette assurde a base di lavoro
volontario e cancellazione di conti bancari. La morte in Bolivia lo trasforma
in un eroe romantico alla Byron e fa dimenticare i
suoi errori, le sue responsabilità e i suoi insuccessi. Lo trasforma in un mito
da indossare sulle magliette e da sfoggiare su enormi cartelloni
propagandistici, anche se il suo rapporto con il popolo cubano è sempre stato
distante. Il Che subisce il fascino di Castro, nonostante conflitti e
divergenze, non lo abbandona mai e alla fine muore in Bolivia, utile al
dittatore da morto più che da vivo. Raúl Castro,
invece, è l'unico rivoluzionario con un cuore comunista che batte in direzione
dell'Unione Sovietica. Franqui ricorda il processo
farsa al generale Ochoa, il combattente africano, il
vincitore, l'eroe della Rivoluzione, fucilato come narcotrafficante
perché Fidel teme la sua leadership. Franqui si dissocia dalla Rivoluzione, è allontanato da
Castro e le sue foto scompaiono di colpo, viene
cancellato dalle immagini ufficiali, come un vero e proprio fantasma
socialista. “L'ingiustizia mi fece diventare rivoluzionario; la tragica
esperienza che ho vissuto mi ha insegnato che se la Rivoluzione non era
l'unica ingiustizia, era però quella più grande”. Franqui
comprende che la democrazia è “l'unico governo cattivo ma possibile” e si
convince che il suo sogno rivoluzionario sta morendo tra le braccia dei
comunisti. “Non ero nato per diventare né un signor comunista né un signor
borghese. Sarei sempre stato uno del popolo, era quello il mio mondo, ma se
allora avevo perduto un partito e un ideale, adesso perdevo una Rivoluzione e
una patria”. Franqui sceglie la via dell'esilio in
Europa, decisione non facile ma coerente per uno
scrittore indipendente che vuole raccontare la vera storia della Rivoluzione
cubana. Franqui abita in Italia per un lungo periodo,
conduce un tenore di vita modesto perché sostiene che “l'efficacia delle azioni
di un dissidente sta nella sua moralità”. Nessuno deve poter affermare che le
sue parole sono pagate da altri, anche se i soliti giornalisti “inginocchiati”
lo dicono lo stesso, ma si squalificano da soli. Franqui
contesta l'invasione sovietica della Cecoslovacchia che fa naufragare un
tentativo di socialismo dal volto umano, nello stesso periodo conosce Gabriel Garcia Marquez e si accorge che
il grande scrittore sudamericano subisce il fascino del potere. Non approva la
scelta di Marquez che sceglie di diventare “un romanziere
alla corte di Fidel Castro”. Franqui
non può stare dalla parte di un dittatore, a lui non importa di subire il
confino culturale da parte della sinistra, ma sa bene che le dittature non
hanno colore. Il suo giudizio sull'opportunismo politico di Garcia
Marquez è duro: “La patente di sinistra consente a Garcia Marquez di possedere una
villa, milioni e ricchezze in Colombia, in Messico e a Cuba, conti bancari… ma
lui non condanna il narcotraffico che distrugge il
suo paese, non denuncia i crimini della guerriglia colombiana e tace su delitti
atroci come quello di padre Camilo Torres. Sceglie la
zuppa comunista per interesse, tanto la gente dimentica gli errori degli uomini
di talento e ricorda soltanto la loro opera”. Franqui
prosegue raccontando il suicidio di Haydée Santamaria per protesta contro i fatti del Mariel e l'arresto del poeta Heberto
Padilla, colpevole di avere un pensiero difforme da
quello di Fidel Castro. Sono episodi tristi che
convincono l'autore a dire: “La
Rivoluzione cubana è perduta e lo stalinismo - castrismo
impone un regime di terrore tipico del mondo comunista”. Franqui
fa autocritica e giustifica le sue scelte perché nel 1952 aveva solo
l'alternativa rivoluzionaria per combattere la dittatura di Batista. Parte da
una Rivoluzione umanista e martiana, viene manipolato e si trova dentro a una Rivoluzione
comunista che produce conseguenze mostruose. Cuba è diventata “il regno del
terrore e della miseria, una tirannia mascherata da Rivoluzione”. Le cifre parlano
da sole. In quarantacinque anni di potere, Castro ha carcerato un milione di
persone, oltre due milioni di cubani sono emigrati o hanno scelto l'esilio,
decine di migliaia sono stati fucilati. Gli ultimi episodi che sottolineano una
volta di più la ferocia del regime accadono nella primavera nera del 2003, che
vede settantotto condanne con pene attorno ai venti anni di reclusione per oppositori
pacifici, tra cui ventotto giornalisti indipendenti.
Castro ha sempre avuto una schiera di giornalisti che lo compiacciono e Franqui definisce molto bene Gianni Minà
come “l'inginocchiato”, secondo lui colpevole di aver scritto molte bassezze
sul suo conto per eseguire precisi ordini di Fidel. Le
conclusioni alle quali giunge Franqui sono sotto gli
occhi di ogni visitatore obiettivo che si reca a Cuba. “Castro ha venduto ai
peggiori capitalisti stranieri negozi, hotel, spiagge, club, ristoranti, centri
di divertimenti, industrie, terreni, rum, tabacco, caffé…”.
Ha distrutto perfino l'industria dello zucchero che era il vanto di Cuba e in
compenso per i cubani ha nazionalizzato la miseria. Nelle spiagge dell'isola
fanno il bagno soltanto i turisti stranieri e Castro impersona un singolare ruolo
da capo di Stato prosseneta che incentiva il turismo sessuale. Secondo Franqui “il castrismo è soltanto un'ideologia di potere,
una tattica per restare in sella, perché Castro negli anni è stato fedele solo
a se stesso”. La
Rivoluzione si identifica con lui che ha distrutto la
ricchezza e la storia di un'isola per farne una seconda Haiti.
Franqui conclude che oggi a Cuba si vive con la sola
speranza di fuggire perché la popolazione si vede privata di ogni piacere
materiale e spirituale e non è possibile andare avanti senza un briciolo di
libertà. La maggioranza dei cubani è contro il potere ma
sa bene che lottare per farlo cadere porterebbe soltanto al carcere o alla
fucilazione. Il futuro di Cuba, secondo Franqui,
vedrà al comando per un breve periodo di tempo Raúl
Castro che vorrebbe fare dell'isola una nuova Cina. Il
nuovo comandante en jefe
parla di libertà economica, controllo politico e nuove relazioni con gli Stati
Uniti. Resta il dubbio se sarà libero di attuare questi progetti, visto che Chavez lavora in funzione antistatunitense ed è lui (grazie
al petrolio) il maggior azionista del governo cubano. Secondo Franqui è impossibile sostituire un capo come Fidel Castro che non ha preparato la sua successione. Il
futuro di Cuba non sarà facile e la sola speranza di cambiamento passa per una
rivolta che conduca verso la libertà. Carlos Franqui consegna alla
storia un libro unico, fondamentale, oserei dire indispensabile per conoscere
tutta la verità sulla Rivoluzione cubana. Leggetelo e fatelo leggere. Ne vale
davvero la pensa.
Gordiano Lupi