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  Letteratura  »  Luisito Bianchi, uomo e sacerdote, di Renzo Montagnoli 18/10/2023
 

Luisito Bianchi, uomo e sacerdote

di Renzo Montagnoli



Era il 5 gennaio del 2012 quando Luisito Bianchi ci ha lasciato a causa di un male incurabile. Se n´è andato senza clamori, in punta di piedi, come ha sempre vissuto, un sacerdote che ha continuamente cercato di mettere in pratica il Vangelo, convinto dei valori della fratellanza e della gratuità per migliorare in modo significativo questo mondo che sarebbe, non dico perfetto, ma più giusto se tutti non ci dimenticassimo che siamo qui in prestito, ognuno a percorrere una strada dall´alba al tramonto, e proprio per questo, per il comune destino, dovremmo cercare di camminare insieme, aiutandoci a vicenda.

Ci si potrà chiedere come mai abbia deciso di scrivere di Luisito Bianchi a oltre dodici anni dalla sua morte e la domanda non sarebbe per niente inopportuna o impertinente. Ho atteso così tanto perché dovevo omologare la morte di un carissimo amico, non volevo parlarne in preda all´emozione, volevo rappresentare agli altri quella persona che veramente era e che è possibile conoscere, per quanto in modo imperfetto, leggendo le sue opere. Ed è stato un suo romanzo, consigliatomi da Remo Bassini, che di fatto mi ha avvicinato a Luisito Bianchi. Parlo di La messa dell´uomo disarmato, che molti hanno definito il più bel romanzo sulla Resistenza e in effetti è anche questo; tuttavia, a mio parere, il suo pregio non è solo l´aver parlato in un modo del tutto diverso dai non pochi libri sulla nostra guerra di liberazione, ma è perché un´opera sulla vita cristiana, sui rapporti fra l´uomo e la natura, fra uomo e Divinità, sulle relazioni fra gli esseri umani. La visione di Luisito Bianchi non è cattolica, ma cristiana, nel senso che si è spogliato degli abiti talari quando si è accinto a metter mano alla penna e così del suo ufficio è rimasta solo la sostanza, quel continuo dialogo fra il razionale e il trascendentale che può benissimo essere sintetizzato  nella frase di Franco, il narratore del romanzo: "Credi in Dio? Non so, come una volta, ma credo alla Parola annichilita e risorta per dare un unico senso alla morte e alla vita".

Potrei parlarne per delle ore, perché è un romanzo che ogni volta che si rilegge porta a qualcosa di nuovo; e se poi consideriamo le splendide descrizioni dell´ambiente, la capacità di ricreare le atmosfere, definire l´opera un capolavoro non è assolutamente un´esagerazione. Peraltro in non in poche parti è possibile apprezzare l´animo poetico dell´autore, una considerazione che ci induce ad altro, perché Luisito Bianchi è anche poeta e di valore. In questo ambito ha scritto Vicus Boldonis terra di marcite, silloge imperniata sull´Abbazia di Viboldone, di cui negli ultimi anni della sua vita è stato cappellano. E´ una raccolta riuscita, ma secondo me meglio ancora è Forse un´aia, che è un flusso di memoria della giovinezza di Luisito al suo paese natale, Vescovato in provincia di Cremona; credo proprio di non esagerare nel definirla un autentico gioiellino. Per il resto della produzione ha scritto dell´esperienza maturata, come nel caso di I miei amici. Diari (1968 - 1970), in cui giorno per giorno (sono circa 800 pagine) ha annotato le impressioni di un periodo della sua vita quando fece l´operaio, impressioni che talora si ripetono, magari con sfumature diverse, perché l'avvicinamento all'assoluto di un'anima avviene necessariamente per gradi. Il rapporto fra fede e chiesa, fra uomo di fede e uomo parte della comunità degli altri uomini, anzi di una categoria sempre disagiata quale quella operaia, sono i temi che vengono alla luce e donano corposità e valenza all'opera, perché sono del tutto veritieri e reali.

I problemi di ogni giorno, materiali per gli operai, soprattutto spirituali per Luisito, scorrono in queste pagine come rivoli, torrentelli che poi vengono a confluire nel grande lago della rivelazione di un servo di Cristo che del suo verbo ha fatto l'unico modo di vita, povero fra i poveri, oppresso fra gli oppressi, paria fra i paria.

Ne emerge un quadro personale di grande spiritualità,  ma anche una visione del mondo operaio di quegli anni, non sfiorato dal '68, come mai era stata realizzata.

Che per certi aspetti Luisito Bianchi sia stato un prete scomodo è dimostrato, oltre che da questa scelta di scendere nel mondo operaio, anche dalla ferma convinzione che la gratuità sia una condizione indispensabile nella vita dell´uomo; e lui ha improntato tutta la sua vita a questo principio, rifiutando lo stipendio da insegnante di religione, lavorando appunto come prete operaio in un'industria chimica, vivendo in ristrettezze in un mondo che non riesce a comprendere altro che i valori monetari. In questo modo è stato un prete scomodo, critico nei confronti di una Chiesa che ha sempre professato la sua sete di potenza, proteso a condividere l'esistenza delle classi più disagiate, testimonianza sì di una fede, ma soprattutto di una coerenza mai venuta meno.

Pubblicato postumo Il seminarista, per quanto l'ambientazione sia proprio in una scuola per preti, va ben oltre il significato di una semplice vocazione, si corre incontro al dilemma che sorge nel protagonista dopo l'8 settembre del 1943 fra la fedeltà a una chiamata spirituale e l'impellente necessità di essere partecipi dell'evento storico e unico della Resistenza dalla parte di coloro che lottano per alti ideali di giustizia.

Nel personaggio principale si colgono i riflessi dell'autore, dell'esperienza maturata nel periodo, ma il romanzo non può essere considerato autobiografico (il protagonista è di fantasia, il paese natale e di residenza non è Vescovato, la vicenda stessa e la sua conclusione sono frutto di creatività), bensì il risultato di una scelta travagliata che in coerenza a essa segnerà il percorso terreno di  Luisito  fino alla morte.

C´è tuttavia un suo libro dove Luisito Bianchi è forse più sacerdote che uomo, in cui, pur cercando di puntare i piedi per terra, tenta di spiccare il volo verso il cielo, consapevole comunque che, nonostante i fermi propositi, seguire integralmente il Vangelo è cosa tanto rara quanto l´autentica santità; mi riferisco a Dialogo sulla gratuità, un testo difficile che necessita di più riletture, che può essere condiviso o meno, ma che però apre uno spiraglio, una speranza per il genere umano, senz´altro più chimera che obiettivo concretizzabile, ma in cui è massimamente bello credere.

Si ritorna però alla realtà di tutti i giorni con un romanzo sull´esperienza di lavoro in fabbrica durata circa tre anni; e così Come un atomo sulla bilancia diventa testimonianza di una condizione subordinata al di fuori di tutti gli stilemi con cui altri ne hanno parlato, una testimonianza civile, sociale, ma anche, soprattutto, spirituale.

Il luogo natio, però, gli affetti familiari, le campagne , il mutare della natura nel corso di un anno sono poi gli affreschi di un altro capolavoro, Le quattro stagioni di un vecchio lunario, un inno all'epoca più bella della vita di ogni essere umano, quella della giovinezza, spensierata, gaia, in cui gli ideali non devono ancora far conto con la realtà del mondo. Più che un racconto questa narrazione finisce con il diventare il recupero della propria trascorsa esistenza, nell'avvicendarsi di stagioni astronomiche che  si confondono con quelle della vita, una sinfonia di suoni, di voci, di visioni e di aromi che piano piano avvolge il lettore, fino a penetrargli dentro, a coinvolgerlo, sì che da semplice spettatore ambisce a essere protagonista di una storia irripetibile.

E questo è il grande merito di questo libro, perché la memoria di Luisito diventa anche la nostra memoria, perché Vescovato diviene il nostro paese in cui avremmo desiderato di essere nati, per vivere con lui, con l'autore, le esperienze di una giovinezza ricca per l'animo e ritrovare quelle radici che il tempo che passa, convulso e orfano della nostra attenzione, sembra aver reciso.

Dal gioco della lippa alla festa di paese, dai giorni scanditi dalle ricorrenze religiose alla neve nei campi, al profumo di pulito dei fiori del granturco, si disegna così, armoniosamente, questo grande cerchio fatto di momenti, tutti egualmente importanti.

Prima di chiudere desidero fare un piccolo cenno a un´opera forse minore, ma senz´altro bella; mi riferisco a Quando si pensa con i piedi e un cane ti taglia la strada, in cui l´incontro con un cane abbandonato e affamato fa sorgere un reciproco paritario affetto, quella gratuità a cui Don Luisito si è sempre uniformato; alla bestiola dà anche un nome, Dorean, un avverbio greco che significa, non a caso, gratuitamente. E´ una lettura che rasserena, in presenza di concetti profondi, ma esposti con mano leggera, e il risultato è quello che si potrebbe definite, senza timore di sbagliare, un piccolo gioiello.

Le emozioni che sono capaci di trasmettere le opere di Luisito Bianchi sono tali che le provo anche mentre scrivo queste righe. Certo, è un autore che non mi era anonimo, con cui mi sentivo spesso per telefono, con il quale avevo anche avviato una corrispondenza di vecchio stampo, con lettere spedite per posta, tutti elementi che me lo fanno sentire ancor più vicino rispetto ad altri che conosco solo con la lettura dei loro lavori. Resta però un fatto inequivocabile: la bontà d´animo di Don Luisito, innata e che ha cercato di trasmettere indossando l´abito talare.

Certo, la perdita c´è, l´avverto, ma rimane il ricordo, vivissimo, e che mi accompagnerà per il resto dei miei giorni.






 
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