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  Letteratura  »  Rimbaud, il mito, di Felice Serino 02/03/2024
 

Rimbaud, il mito

di Felice Serino



Angelo o demone? Di Arthur Rimbaud si è detto tutto e il contrario di tutto. La sua vita nasconde misteri che il tempo moltiplica. Anima randagia, da poeta "maudit" muore quasi del tutto sconosciuto - prima che la sua fama si convertisse in mito attingendo alla immortalità. Un'infanzia la sua, triste e infelice - caratteristica che distingue molte grandi anime passate alla storia. La violenza dei gesti, gli oggetti branditi accompagnati da urla sono le immagini che Arthur conserva dell'unione tra i genitori. Lui, Frédéric Rimbaud, capitano del 47° reggimento di fanteria, per il ragazzo rimasto come genitore un'ombra inafferrabile; lei, Marie Catherine, figlia di agrari, legata al figlio da complice pietà. Nel 1864 il padre abbandona definitivamente la famiglia. Arthur ha 10 anni. Frequenta la scuola presso il collegio di Charleville, suo luogo natale (egli vi nasce il 20 ottobre 1854), si dimostra un allievo modello, è il più delle volte premiato, e la sua precocità si rivela anche nei risultati poetici. Ma il ragazzo è anche ruvido, maleducato, insofferente soprattutto nei confronti dell'ambiente familiare e della madre, con la sua rigidità cattolica e l'inflessibilità degli atteggiamenti. La tendenza a scandalizzare è la sua maniera di comunicare; accompagna con "merde, merde" la lettura pubblica di versi. E' anticonformista ed eccentrico ed ha un magnetismo ambiguo, un fascino particolare, oscuro. Tra i 16 e i 18 anni ha una relazione burrascosa con Paul Verlaine; i due vivono insieme, da bohémiens. La relazione, che si vocifera abbia un indirizzo omosessuale, balza agli onori della cronaca quando Paul un giorno,e precisamente il 10 luglio 1873, al colmo di una violentissima lite ferisce l'amico al polso con una pistola. Nello stesso anno, a Bruxelles, Rimbaud ritira le prime copie di Une saison en enfer. Nel 1884, ad Harar, in Abissinia, organizza spedizioni commerciali nell'Ogaden, ma lascia presto questa attività per dedicarsi in proprio al traffico di armi per conto di Menelik. Mentre Rimbaud si trova in Cairo compaiono dolori lancinanti alla coscia e al ginocchio, primi sintomi del male che lo porterà alla tomba. Nel 1890 viene rintracciato in Abissinia da un gruppo di letterati parigini; in una lettera gli viene annunciato il suo nascente mito poetico. L'anno seguente il male si aggrava ed egli s'imbarca per Marsiglia, dove subisce l'amputazione della gamba; operazione alla quale la madre presta una fredda e frettolosa assistenza. Il cancro presto gli divorerà le altre parti del corpo, paralizzandolo. Tra allucinazioni e grandi sofferenze, la morte lo coglie il 10 novembre 1891 a Marsiglia. "La vera vita è altrove"; "Io è un altro": enigmatiche e memorabili queste sue "sentenze". Suo compito è distruggere ogni tipo di convenzione sociale cercando la rivelazione dell'ignoto e dell'inconscio e adeguando i propri mezzi espressivi al carattere innovatore di tale operazione. Scrisse Verlaine nel 1872: "E noi l'abbiamo nel ricordo e lui viaggia. Sappiamo, sotto le maree e al sommo dei deserti di neve, seguire il suo sguardo, il suo alito, il suo corpo, la sua luce". "Me ne andavo" - dicono alcuni versi di Rimbaud - "coi pugni nelle tasche sfondate, / anche il mio paltò diventava ideale: / andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il tuo fedele; / perbacco! Quanti amori splendidi ho sognato". Solo e tra-sognato, con un amore ideale a invadergli lo spirito, si sentirà felice andando "loin, bien loin, comme un bohémien par la nature".

"Non può essere che la fine del mondo, più in là": è il divorante desiderio di conoscenza, di infinito; esplorare l'inconnu. E' l'Ideale del suo spirito a cui fanno da cornice l'immensità e il silenzio del deserto, il vento, il sole ruti-lante, un tempo senza tempo... Il deserto: "luogo ideale dell'esilio ma anche del regno, poiché l'esilio interiore permette di riconquistare il regno di sé" (1). Innumerevoli quanto inverosimili risultano gli amori attribuitigli. Si dice che durante il soggiorno in Africa, ad Harar, una notte di passione nel tentativo di possedere una fanciulla abissina infibulata, egli abbia usato un coltello... (il sangue, le urla, i parenti accorsi per vendicare l'oltraggio subito). Ebbe amori in vari altri paesi, Inghilterra, Italia (Milano, Na-poli). "E' il nostro sole nero", scrive Renato Minore, "con disagio si entra in sintonia con l'intransigenza netta, ombrosa, irripetibile di quell'età. Quel prendere di petto il mondo per una sfida senza superstiti. E oggi siamo tutti superstiti: della rabbia come della pietà. Siamo ossessionati dalla leggenda di Rimbaud, dal suo fantasma e dalle sue scorribande di confine".


Nota

(1)Majid El Houssi, dall'introduzione a Moha il folleMoha il saggio, di Tahar Ben Jelloun, Edizioni Lavoro1988.

Bibliografia - Renato Minore, Rimbaud, Mondatori Editore 1991 Arthur Rimbaud, Poesie, Garzanti


Da La vita immaginata (Youcanprint, 2023)

 
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