Rimbaud,
il mito
di
Felice Serino
Angelo
o demone? Di Arthur Rimbaud si è detto tutto e il contrario di
tutto. La sua vita nasconde misteri che il tempo moltiplica. Anima
randagia, da poeta "maudit" muore quasi del tutto
sconosciuto - prima che la sua fama si convertisse in mito attingendo
alla immortalità. Un'infanzia la sua, triste e infelice -
caratteristica che distingue molte grandi anime passate alla storia.
La violenza dei gesti, gli oggetti branditi accompagnati da urla sono
le immagini che Arthur conserva dell'unione tra i genitori. Lui,
Frédéric Rimbaud, capitano del 47° reggimento di fanteria, per il
ragazzo rimasto come genitore un'ombra inafferrabile; lei, Marie
Catherine, figlia di agrari, legata al figlio da complice pietà. Nel
1864 il padre abbandona definitivamente la famiglia. Arthur ha 10
anni. Frequenta la scuola presso il collegio di Charleville, suo
luogo natale (egli vi nasce il 20 ottobre 1854), si dimostra un
allievo modello, è il più delle volte premiato, e la sua precocità
si rivela anche nei risultati poetici. Ma il ragazzo è anche ruvido,
maleducato, insofferente soprattutto nei confronti dell'ambiente
familiare e della madre, con la sua rigidità cattolica e
l'inflessibilità degli atteggiamenti. La tendenza a scandalizzare è
la sua maniera di comunicare; accompagna con "merde, merde"
la lettura pubblica di versi. E' anticonformista ed eccentrico ed ha
un magnetismo ambiguo, un fascino particolare, oscuro. Tra i 16 e i
18 anni ha una relazione burrascosa con Paul Verlaine; i due vivono
insieme, da bohémiens. La relazione, che si vocifera abbia un
indirizzo omosessuale, balza agli onori della cronaca quando Paul un
giorno,e precisamente il 10 luglio 1873, al colmo di una
violentissima lite ferisce l'amico al polso con una pistola. Nello
stesso anno, a Bruxelles, Rimbaud ritira le prime copie di Une saison
en enfer. Nel 1884, ad Harar, in Abissinia, organizza spedizioni
commerciali nell'Ogaden, ma lascia presto questa attività
per dedicarsi in proprio al traffico di armi per conto di Menelik.
Mentre Rimbaud si trova in Cairo compaiono dolori lancinanti alla
coscia e al ginocchio, primi sintomi del male che lo porterà alla
tomba. Nel 1890 viene rintracciato in Abissinia da un gruppo di
letterati parigini; in una lettera gli viene annunciato il suo
nascente mito poetico. L'anno seguente il male si aggrava ed egli
s'imbarca per Marsiglia, dove subisce l'amputazione della gamba;
operazione alla quale la madre presta una fredda e frettolosa
assistenza. Il cancro presto gli divorerà le altre parti del corpo,
paralizzandolo. Tra allucinazioni e grandi sofferenze, la morte lo
coglie il 10 novembre 1891 a Marsiglia. "La vera vita è
altrove"; "Io
è un altro": enigmatiche e
memorabili queste sue "sentenze". Suo compito è
distruggere ogni tipo di convenzione sociale cercando la rivelazione
dell'ignoto e dell'inconscio e adeguando i propri mezzi espressivi al
carattere innovatore di tale operazione. Scrisse Verlaine nel 1872:
"E noi l'abbiamo nel ricordo e lui viaggia. Sappiamo, sotto le
maree e al sommo dei deserti di neve, seguire il suo sguardo, il suo
alito, il suo corpo, la sua luce". "Me ne andavo"
- dicono alcuni versi di Rimbaud - "coi pugni nelle
tasche sfondate, / anche il mio paltò diventava ideale:
/ andavo sotto il cielo, Musa, ed ero il tuo fedele; / perbacco!
Quanti amori splendidi ho sognato".
Solo e tra-sognato, con un amore ideale a invadergli lo spirito, si
sentirà felice andando "loin, bien loin, comme un
bohémien par la nature".
"Non
può essere che la fine del mondo, più in là":
è il divorante desiderio di conoscenza, di infinito; esplorare
l'inconnu.
E' l'Ideale del suo spirito a cui fanno da cornice l'immensità e il
silenzio del deserto, il vento, il sole ruti-lante, un tempo senza
tempo... Il deserto: "luogo
ideale dell'esilio ma anche del regno, poiché l'esilio interiore
permette di riconquistare il regno di sé"
(1). Innumerevoli quanto inverosimili risultano gli amori
attribuitigli. Si dice che durante il soggiorno in Africa, ad Harar,
una notte di passione nel tentativo di possedere una fanciulla
abissina infibulata, egli abbia usato un coltello... (il sangue, le
urla, i parenti accorsi per vendicare l'oltraggio subito). Ebbe amori
in vari altri paesi, Inghilterra, Italia (Milano, Na-poli). "E'
il nostro sole nero",
scrive Renato Minore, "con
disagio si entra in sintonia con l'intransigenza netta, ombrosa,
irripetibile di quell'età. Quel prendere di petto il mondo per una
sfida senza superstiti. E oggi siamo tutti superstiti: della rabbia
come della pietà. Siamo ossessionati dalla leggenda di Rimbaud, dal
suo fantasma e dalle sue scorribande di confine".
Nota
(1)Majid
El Houssi, dall'introduzione a Moha il folleMoha il saggio, di Tahar
Ben Jelloun, Edizioni Lavoro1988.
Bibliografia
- Renato Minore, Rimbaud, Mondatori Editore 1991 Arthur Rimbaud,
Poesie, Garzanti
Da La
vita immaginata (Youcanprint, 2023)