Pier
Giorgio, il beato dei giovani
di
Felice Serino
Il
20 maggio del 1990 Giovanni Paolo II lo ha beatificato. Il suo
esempio di carità è vivo in tutto il mondo. Sconosciuto in vita,
egli ha acquistato fama dopo la morte. Due giorni dopo la sua
"trasfigurazione" - come ebbe a de-finirla don Antonio
Cojazzi - apparve sulla Rivista dei Giovani un articolo dello stesso
Cojazzi, dove fu profetizzato: "Pier
Giorgio Frassati imprimerà un nuovo giro al sangue della gioventù,
e non solo torinese".
La sua figura affascina soprattutto i giovani: moderno, allegro,
sportivo, pieno di gioia di vivere e amante della montagna - Mario
Soldati ricorda " l
' occhio nero ma scintillante, luminosissimo, le labbra aperte sempre
al sorriso"
-, esibiva la sua normalità con una fanciullesca gioia di scherzare.
Suo padre, Alfredo, era proprietario e direttore della Stampa,
senatore del regno e ambasciatore d'Italia a Berlino. Pier Giorgio
nasce il 6 aprile 1901. Giovane liceale, frequenta l'Istituto sociale
dei gesuiti dopo essere stato bocciato due volte al D'Azeglio. In
seguito entra al Politecnico per diventare ingegnere minerario. Si
iscrive alla "Fuci", la federazione degli universitari
cattolici. E' tesseato al partito popolare di Luigi Sturzo. L'avvento
del fa-scismo segna l'inizio di un trauma storico di cui anche Pier
Giorgio è il cosciente testimone. Ha un amore segreto, Laura
Hidalgo, segretaria della goliardica "Società dei Tipi Loschi",
l'allegra compagnia dei suoi amici di cordata, di cui egli è
cofondatore; (si firma col nome di Robespierre). Dovrà in seguito
rinunciare a questo amore a causa della necessità
della sua presenza presso i genitori; una prova crudele,
dolorosissima, a cui egli non si sottrae. La sua adesione al Vangelo
si traduce in attenzione verso i bisognosi. Per il volontariato egli
offre se stesso disdegnando il suo stato di agiatezza; di più, tutta
la sua giovane e breve vita è offerta ai poveri e ai malati; vive
vicino agli umili, ai dimenticati, vero "imitatore di Cristo",
come lo definisce Papini. Con i soldi che risparmia in segreto,
acquista medicine per chi non può comprarne, dà una mano ai
derelitti che va a trovare nelle soffitte o sotto i ponti; appena
libero si reca al Cottolengo, quasi una corsa verso l'umanità
miserabile. Uno spirito molto speciale, di una santità concreta, che
si offre fino a giungere ad un abuso delle proprie forze. Pier
Giorgio visse intensamente i suoi 24 anni prima che lo colpisse una
poliomielite fulminante, il 4 luglio del '25. Gli mancavano due esami
per la laurea. Fino alla vigilia dell'agonia, fu quasi per tutti un
segreto la sua malattia repentina e inesorabile. Morì in sei giorni,
solo; soltanto Mariscia, la domestica tedesca, gli fu vicina fin
dall'inizio. La madre (la pittrice Ametis) era al capezzale di sua
madre morente; la sorella Luciana, sposata da poco, era appena
tornata; gli amici - s'era d'estate - erano fuori Torino. Gli ultimi
giorni Pier Giorgio stava sempre peggio, ma nessuno,
fino
all'ultimo, sembrava rendersene conto. D'altra parte, durante il
calvario, egli non pensava nemmeno ad accusare la loro indifferenza,
quasi fosse naturale. E poi lui, fino all'ultimo, cercava di
minimizzare il suo male di una
gravità sempre più evidente. Il giornalista
Luigi Ambrosini, due ore dopo la sua morte, scrisse un articolo per
La Stampa in cui, tra l'altro, diceva: "Le sue mani non erano
fatte per raccogliere, ma per distribuire".
Il giornale uscì listato a lutto. Non era mai accaduto prima. Alle
ore 19 del 4 luglio, di sabato, Pier Giorgio rese lo spirito. Fu
sepolto a Pollone, in provincia di Vercelli - gli scorreva nelle vene
sangue biellese. Pier Giorgio amava la vita: era innamorato della
montagna, sciava, andava a cavallo, in bici, a nuoto, aveva una vera
passione per Dante.
In
un passo del suo diario si legge: "Ho
lasciato il mio cuore tra questi monti con la speranza di ritrovarlo
quando ritornerò".
L'alpinismo era per lui una scuola di coraggio, ma anche un mezzo per
avvicinarsi a Dio. Raggiunta la vetta, recitava il Magnificat. "Io"
diceva estasiato, "ho
questo desiderio di sole, ho questa voglia di sa-lire in alto, di
andare a trovare Dio in vetta".
Aderì a vari gruppi cattolici, fra cui la conferenza di San
Vincenzo. Spesso si raccoglieva per ore in preghiera. Era innato in
lui il ferreo impegno di piacere a Dio, rinunciando alle agiatezze
del mondo e a se stesso. Per rafforzare lo spirito contro le
tentazioni, si concentrava per lunghe ore nella lettura di
Sant'Agostino, di San Paolo, di San Tommaso, di Santa Caterina. A chi
gli chiedeva se si sentisse chiamato al sacerdozio, rispondeva con la
grande coerenza che lo distingueva: "Io
voglio in ogni modo aiutare la mia gente e questo posso farlo meglio
da laico che da prete".
"Gesù mi
visita con la comunione ogni mattina",
confidò ad un amico, "e
io gliela restituisco nel modo misero che posso:
Visitando i suoi poveri".
Dice il filosofo Gianni Vattimo: "A rendere preziosa e
simpatica la sua figura è la costante capacità di 'abitare il
tempo'. E poi i giovani hanno bisogno di incontrare testimoni, non
solo maestri".
Desideriamo
chiudere questo breve lavoro (anche quale omaggio alla sua alta
figura carismatica) con dei versi dell'autore, quasi un'epigrafe:
Indiafanata da
un vento di luce - verso l'alto! - ride la tua immagine d'aria.
Verso
l'alto: una frase annotata da Pier Giorgio sulla foto che lo ritrae
mentre s'inerpica sulle Lunelle, nelle valli di Lanzo, il 7 giugno
1925.
Da La
vita immaginata (Youcanprint, 2023)