Il
diavolo sulle colline -
Cesare Pavese - Einaudi - Pagg. 158 - ISBN 9788806245924 -
Euro 11,50
Scritto
nel 1948, questo romanzo breve appartiene insieme a "La bella
estate" e "a Tra donne sole" alla trilogia "La bella estate"
pubblicata da Pavese nel 1949. Compare in seconda posizione,
centrale, presumo nel rispetto dell´ordine cronologico di
composizione. Fra i tre è però il primo che leggo e ne scrivo
avendo poi letto nel frattempo "La bella estate", curiosissima a
questo punto di terminare la trilogia per identificare meglio i punti
in comune fra i tre scritti. Lo si può già fare, in realtà, perché
tutto in Pavese rimanda a Pavese e alla collina e, personalmente, a
uno stato ansioso che i suoi scritti suscitano in me. Nello
specifico, in questo romanzo breve domina l´inquietudine dell´età
giovanile, colta in un gruppo di tre ragazzi universitari, uno è la
voce narrante che riporta eventi e stati d´animo personali e si
identifica con l´intellettuale del gruppo, gli altri Oreste e
Pieretto. Durante uno dei loro vagabondaggi notturni nel tessuto
urbano cittadino di Torino decidono di salire in collina e lì
incontrano fortuitamente un giovane ricco alla guida di
un´automobile; è Poli, conosciuto a Oreste, il quale da bambino vi
aveva giocato insieme, essendo i genitori di lui ricchi proprietari
terrieri nella collina circostante il suo piccolo paese. Il ragazzo
non sta bene, chi lo conosce sa che abusa di alcool e di droga. É il
punto di frattura della loro vita e della loro stagione bella che li
porta a lasciare Torino per trascorrere l´estate presso la famiglia
di Oreste e a frequentare assiduamente Poli il quale si è anche lui
rifugiato in collina dopo essere stato ferito quasi a morte da
Rosalba, la sua amante. Nella sua villa decadente scoprono che in
realtà lui è sposato con Gabriella la quale lo assiste nella
convalescenza, continuando ad ospitare la notte gruppi di festanti
coetanei provenienti dalla città.
A
queste feste parteciperanno, in una sorta di rito iniziatico, anche i
nostri tre giovani. La voce narrante vive con ansia il primo
incontro, gli sviluppi successivi e l'estate in collina, si fa
portavoce di riflessioni sociologiche sul diverso vivere in relazione
all´appartenenza alle diverse classi sociali, si identifica nel
vivere sano degli abitanti della collina ( i suoi genitori la
abitavano quando era piccolo e lui la ritrova ora), vuole capire
quanto l´uomo abbia profanato la terra o se ancora ve ne è di
vergine.
Vive una sorta di simbiosi panica con la terra e soffre
del suo non riuscire a profanarla.
"-Ecco una cosa- dissi a un
tratto- che non si può fare. Stare nudi in un bosco e riempirsi di
vino. - Perchè no?- disse Oreste. - Neanche far l´amore in un
bosco si può. In un bosco vero bosco. L´amore e il bere sono cose
civili..."
C´è tutto Pavese, le sue difficoltà con
le donne, l´ancestrale rapporto con il sesso e con la terra, il
disincanto rispetto alla vita, l´urgenza di recuperarla nella sua
innocenza, quella persa definitivamente in un´estate in cui il
diavolo ha profanato la collina e ha aperto uno squarcio nella loro
vita: "Tutto il nostro passato con lui diventava proibito, un
inciampo..." Una morale che sorda resiste, impersonata da una
vecchia zia di Oreste, una nuova religione che è quella semplice del
padre di famiglia, del padre di Oreste, un interlocutore necessario
in Pieretto che sollecita nei ripetuti scambi dialogici la lettura
della realtà e infine tutto il pessimismo di Poli, un `anima
decadente, una parte di Pavese.
Intenso e inquietante, lo
innalzo al rango di "La luna e i falò".
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