Il cerchio infinito
di Renzo Montagnoli
Introduzione dell'autore
Prefazione di Fabrizio Manini
In copertina “Galassia M 104”
fotografata dal telescopio spaziale Spitzer della NASA
Elaborazione grafica di Elena
Migliorini
Edizioni Il Foglio
www.ilfoglioletterario.it
ilfoglio@infol.it
Poesia silloge
Pagg. 70
ISBN: 978-88-7606-196 – 7
Prezzo: € 10,00
L'ossimoro universale, la locuzione arcana che ha
per premessa la nascita e per conclusione la morte, la coppia antitetica:
giorno e notte.
Così è questa poesia, fatta di albe tinte da
delicate sfumature e sere incipienti, con la malinconia del tempo che va via
non senza aver lasciato, ma quasi con leggerezza di rimpianti per il passato,
il sapore scuro della morte.
Qui non c'è il prestigiatore della parola, o il
bizzoso costruttore di simboli, ma la pur ricca tavolozza di colori del
fotografo che usa la macchina dei suoi sensi per riprodurre la realtà tal quale.
Potrebbe esserci, tuttalpiù, il commosso patologo
che col bisturi incide delicatamente nervi e fibre, per trarne l'arcano
scorrere del tempo, lo scorrere sempre verso la stessa infallibile meta
dell'essere che si consuma in un immanentemente non essere, la materia del
corpo che si diffonde fra le infinite particelle cosmiche, nel nero degli
inesauribili cicli della materia; nei versi l'uomo, essere fissile e
consapevole d'essere predestinato a perdere, dopo ogni rinascita, con la sua
coscienza, sé stesso.
Non è che la poesia discetta dei misteri cosmici,
rappresenta bensì il microcosmo dei sentimenti umani, di cui l'afflizione
derivante dalla impossibilità di svelarsi il significato della vita, e lo fa
con la delicatezza di un bambino che batte con dita fragili i tasti di un
pianoforte:
i microscopici tasselli
di un ordine ignoto
umili parti di un
disegno
troppo immenso
per esser capito.
Le parole scarne sono scelte con cura tra quelle
più semplici, perché ad esse è affidata la rappresentazione della nebbia
esistenziale che un lessico raro renderebbe assurdamente ancor più misteriosa.
Proprio per questa funzionale semplicità la poesia ha il fascino mite della
fotografia in chiaroscuro, pacatamente eterea, e si universalizza, narrando
l'avventura umana senza fronzoli, ma anche senza invettive. E' inutile sperare
di trovare in questi versi i forti accenti della ribellione, i parossismi del
condannato a morte. Al contrario si sente tra queste parole la forza dell'uomo
che condivide il suo essere deperibile, del fotografo consapevole della
ineluttibilità del meccanismo scenografico. Le albe, i tramonti, le nebbie
stillanti umidi ombrosi, i soli e le lune nel loro eterno avvicendarsi, sono
tutti gli elementi del teatro in cui l'attore svolge l'antica funzione corale
del raccontare la drammaticità degli eventi, sullo scorrere dei quali sente
interamente la sua incapacità d'intervenire.
Emerge, quindi, da queste poesie, evidente la
finitezza dell'uomo, il suo impregnarsi di malinconia alla fine di ogni stagione.
I giorni s'involano, come l'anima, quando sempre puntualmente giunge la sera a
cancellare i colori ed a fermare le ore:
C'è solo attesa
in ore scadute
lenti i rintocchi
di un pendolo
senza più carica.
Il tempo si pone in attonita sospensione, si fa d'un
vuoto immobile in cui i rintocchi d'un pendolo, isolati e scanditi nella
rassegnazione dell'attesa, ci portano il sapore amaro e freddo della fine.
Il poeta, e con il poeta l'uomo, l'essere umano in
genere, percepisce il vuoto infinito allignato dietro il pensiero della morte,
e vi galleggia sentendosi via via invadere da un dolore ancora più sottile ed
affilato, quello della solitudine. Infatti, nei versi di queste poesie non ci
si imbatte con la gente che s'imbratta di casi quotidiani, ma con l'uomo
isolato nel suo dramma che, terminato il filo dei giorni e delle notti, sente
sul volto avvicinarsi l'alito gelido e nero del mistero assoluto.
E al cospetto di questo, nella scarna luce delle
sere, dopo i tenui colori dei tramonti, ci troviamo soli: noi e l'eterno in
arrivo.
Il vento che scorre tra le parole dei versi è un
andirivieni per l'infinito, come solo in un cerchio può accadere. Parole
semplici per descrivere scene che si ripetono infinite volte, ma che ogni volta
suscitano sensazioni diverse, come accade nel leggerle ripetutamente.
I versi stessi dell'autore per me sono una sintesi
efficacissima della sua poesia:
Un'unica nota, un
rintocco
a volte lieve, a volte
forte,
ma tante melodie.
Senza tempo.
E sono melodie carnose, modulate sul fluire del
sangue per le vene, che evocano, come giunti sul ciglio dell'estrema avventura,
l'inafferrabile passato dell'esistenza, quello familiare, il nostro più intimo
e privato, carico di una nostalgia infinita.
Luigi Panzardi