Passeggiata
a “Sa mesa longa” (La tavola lunga)
di
Piera Maria Chessa
Era
lì, davanti a me, quel giorno, la caratteristica tavola di
pietra situata poco distante dalla spiaggia, dove già tante
persone avevano posizionato gli ombrelloni e si predisponevano a
prendere il sole. Ricordo che era il primo giorno quasi estivo,
l’ultimo forse della scorsa assurda primavera.
Noi, quella
mattina, non indossavamo indumenti da spiaggia perché volevamo
fare soltanto una bella e salutare passeggiata.
La roccia è
vicinissima al promontorio che si trova alla sua destra, ma per
raggiungerlo bisogna munirsi di scarpe di gomma per evitare di farsi
del male.
Il cielo era di un azzurro profondo, il mare,
calmissimo, rimandava come sempre i suoi colori magici; nei dintorni
vi erano numerosi camper, con i tendalini già predisposti per
quando sarebbe arrivato il momento del pranzo, già pronte
anche le sedie a sdraio per la siesta pomeridiana.
Sulla
sinistra, l’altro promontorio, sulla cui cima fa da sentinella
una delle numerose torri costiere di cui la Sardegna è
costellata.
Eravamo circondati dalle rocce, alcune molto scavate
dall’acqua, dalla salsedine e dal vento, che in certi periodi
dell’anno in Sardegna soffia impetuoso, nei loro anfratti
nidificano diverse specie di uccelli.
Mi incanto sempre davanti
alla moltitudine dei colori, alle diverse sfumature del mare, alle
increspature, vicino alle rocce, alle alghe, a pelo d’acqua,
che ne modificano le tonalità, fino a formare delle piccole
pozze color smeraldo.
Argo, il nostro cane, era entusiasta,
correva libero, senza mai distogliere lo sguardo da noi. Lontani i
tempi in cui si allontanava come una saetta e bisognava andare a
recuperarlo. Ora, molto più pauroso e anziano, non si nasconde
più.
Sopra le nostre teste la libertà dei gabbiani
scatenava in noi la consueta gelosia, sembravano impazziti nelle loro
folli corse da un promontorio all’altro. Quanta
frenesia!
Abbiamo percorso un tratto in salita, fermandoci ad
ammirare il mare dall’alto, era un sogno!
L’acqua si
modificava in base al colore delle rocce, dei fondali o del cielo, in
lontananza si vedevano alcune imbarcazioni, sembravano piccole, quasi
delle vele, in realtà non lo erano affatto. Il silenzio era
profondo, sembravamo gli unici presenti in quel luogo per noi
incantato. Eppure bastava volgere lo sguardo per vedere alla nostra
destra, piccoli, quasi dei puntini, i tanti bagnanti seduti sulla
spiaggia, sotto gli ombrelloni. Un valzer di colori lontani, dalle
tonalità azzurre, rosse, verdi…
Ad un certo punto
abbiamo visto un crepaccio, pareva profondo, abbiamo guardato con
attenzione, vi erano alcuni uccelli che volavano all’interno
della roccia, là probabilmente avevano nidificato.
Il
tempo passava senza quasi rendercene conto, fino a quando abbiamo
capito che era arrivato il momento di rientrare, su di noi la luce e
il calore delle ore più calde della giornata.
Abbiamo
percorso i sentieri a ritroso, costeggiando intere distese di cisto e
lentischio, la nostra macchia mediterranea. Quando siamo arrivati
all’altezza della spiaggia, ci siamo fermati ancora un momento
a guardare “sa mesa longa” illuminata dal sole e lambita
dalle onde.
Poco più avanti, nell’area di sosta dei
camper, i turisti facevano la siesta pomeridiana.
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