Il
passo dello Stelvio
di
Renzo Montagnoli
E’
indubbiamente bello salire in alto in montagna, si aprono panorami
entusiasmanti e inoltre c’è l’orgoglio di arrivare
quasi a toccare il cielo con un dito. Ma come è possibile
provare questa esperienza senza essere degli scalatori? Ormai sono
diffusissimi gli impianti di risalita, seggiovie, telecabine e
funivie. Per arrivare a quote molto alte non c’è di
meglio della funivia, chiusa e che ripara pertanto dal vento non
infrequente oltre i 2.000 metri di altezza. Grazie agli impianti a
fune del Monte Bianco si può così arrivare alla Punta
Helbronner a 3.462 sul livello del mare, un record in Italia, ma non
nel mondo, perché la funivia più alta è quella
Svizzera del Matterhorn che svetta fino a 3.821 metri. Si
tratta di quote molto elevate a cui si arriva velocemente e quindi è
consigliabile che siano raggiunte da persone in buona salute.
Anni
fa, molti anni fa, sono arrivato ai 3.462 metri della punta
Helbronner e resterà senz’altro la quota più alta
che ho raggiunto, voli in aereo a parte.
Per
salire in alto ci sono anche altri mezzi, quali auto, moto, autobus e
per i più dotati la bicicletta e infatti esistono strade che
si inerpicano sulle montagne, in genere per mettere in comunicazione
una valle con l’altra, oltrepassando i cosiddetti valichi, così
frequenti sulle Alpi e sugli Appennini.
Al
riguardo il
passo più alto in Italia è
quello che collega Bardonecchia a
Bramans in Francia; si tratta del
Colle del Sommeiller a 2.993 metri, con fondo non asfaltato e
difficilmente percorribile. Una via di comunicazione usata di
frequente è quella che collega Bormio al Trentino Alto Adige
attraverso il Passo dello Stelvio, chiusa per neve da novembre a
maggio. Il valico è posto a 2.758 metri di quota, il che ne fa
per altezza il secondo in Europa (il primo è il Col de
l’Iseran in Francia a 2.770 metri).
Quando
andavo in villeggiatura a Bormio all’andata percorrevo la Val
Camonica, superavo il basso passo dell’Aprica e arrivavo nella
celebre località nel Parco dello Stelvio, ma il ritorno
avveniva sempre salendo al valico per poi di lì scendere in
Alto Adige. La strada dello
Stelvio è ben tenuta, a due
corsie, asfaltata e conta, fra salita e discesa, la bellezza di 88
tornanti; la parte più ripida è quella che sale da
Prato allo Stelvio in Val Venosta, mentre meno impegnativo è
il tratto che si inerpica dalla Valtellina; in ogni caso, date le
quote, la rarefazione dell’ossigeno nell’aria
determina indubbiamente un maggior affaticamento per chi voglia fare
il percorso in bicicletta (e di appassionati ce ne sono tanti), ma
anche l’autobile è sottoposta a un certo stress per
l’identico motivo. Peraltro, a testimonianza della maggior
difficoltà per chi proviene dall’Alto Adige lì i
tornanti sono 48 e solo – si fa per dire – 40 da Bormio,
anche se partendo da questa località lombarda l’itinerario
prevede numerose gallerie in cui occorre fare particolare attenzione
data la larghezza ridotta della carreggiata. Al di là di
quelle che possono essere le difficoltà dell’itinerario
resta uno spettacolo stupendo che si apre a ogni curva, che sboccia a
ogni tornante, letteralmente circondati da ghiacciai che splendono al
sole e più si sale, più pare che la meta, cioè
il valico, si allontani, quasi si trattasse di un miraggio o di una
chimera.
Arrivati
in cima, è possibile ammirare in tutta la sua ampiezza il
ghiacciaio del Livro, utilizzato, grazie agli impianti di risalita,
per praticare lo sci estivo; se si sale da Bormio a 2.500 metri si
trova un bivio che porta al Giogo di Santa Maria e da lì al
confine con la Svizzera; se invece si va diritti si arriva appunto al
passo che non è una landa desolata, poiché sono
presenti diverse strutture ricettive, ben quattro alberghi a tre
stelle (Il Genziana, il Livrio, il Folgore e il Pirovano IV), oltre
alla caratteristica Capanna Tibet, una originale costruzione che è
ristorante e anche albergo, con una magnifica terrazza, dalla quale
possibile vedere gran parte della strada che sale dalla Val Venosta.
Quindi
una sosta, per riposare i passeggeri e l’auto, è
raccomandabile, visto che il panorana già di per sé la
esigerebbe, con un’unica avvertenza: al sole si sta bene, ma
appena le nubi occupano il cielo, circostanza non infrequente in
montagna, è opportuno coprirsi rapidamente, perché le
temperature non sono certo miti. Un’altra eventualità da
tener presente è che potrebbe capitare un’improvvisa
nevicata e in tal caso per procedere con sicurezza sarebbe opportuno
portare sempre con sé le catene, oppure utilizzare pneumatici
quattro stagioni.
La
vista delle cime circostanti è veramente appagante con in
evidenza l’Ortles (metri 3.905 s.l.m.), il Cevedale (metri
3.769 s.l.m.) e il Gran Zebrù (metri 3.857 s.l.m.) e ghiaccio,
tanto ghiaccio, anche adesso che c’è un disgelo quasi
permanente. L’imponenza di queste montagne mette in soggezione
e allora la mente corre ai nostri Alpini e ai Kaiserjager che qui, a
quote proibitive, si combatterono durante la Grande Guerra. E’
possibile sole tentare di immaginare i pericoli, la fame, il freddo
di questi uomini che lottarono con coraggio e con onore per la loro
patria.
Va
da sé che il passo merita di essere raggiunto (personalmente
ci sono arrivato quattro volte), anche perché le località
che unisce (Bormio e Prato allo Stelvio) sono più che
eccellenti luoghi di villeggiatura, insomma anche il turista più
esigente non potrà che essere soddisfatto.
Per
arrivare a Bormio ho già detto il percorso che facevo, per
giungere a Prato allo Stelvio occorre portarsi a Merano e da lì
procedere lungo la Val Venosta fino al bivio che conduce in
progressione di quota alla nostra meta.
Le
fotografie, a corredo dell’articolo, reperite su diversi siti
Internet, rappresentano, nell’ordine dall’alto in basso:
l’abitato di Bormio, una delle gallerie che portano dalla
Valtellina al passo, il Passo, la Capanna Tibet con sullo sfondo
l’Ortles, il percorso che sale dalla val Venosta visibile dalla
Capanna Tibet e l’abitato di Prato allo
Stelvio.
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