Quattro novembre
Mentre risuonano i tromboni in parata,
dalle doline del Carso emergono
le mani scheletrite di
migliaia di caduti,
ghermiscono le note, le inghiottono
in un rumore sordo di
mandibole sdentate.
Ancor oggi non li lasciano dormire in pace,
a distanza di anni
l'esaltazione di una vittoria
cerca di cancellare l'orrore
di battaglie
senza vinti, né vincitori.
Giovani italiani, giovani austriaci,
falciati come messi dalla lama
della morte,
dalle occhiaie vuote lanciano
un monito
a fronte del quale una
vittoria non ha significato:
“Noi siamo il simbolo della sconfitta dell'umanità.
Felice è assai chi muore per la patria,
dicono i vivi senza però
poterne dare prova;
avevamo vent'anni e la nostra
felicità
era il bacio di una
ragazza, una carezza,
il sogno di un futuro.
Siamo stati le comparse di un massacro;
abbiamo fatto il nostro dovere
più degli altri
e non chiediamo che
l'oblio.”
La parata è finita, i tromboni si sono zittiti,
ritorna il silenzio fino al
prossimo quattro novembre;
anche quest'anno i vivi hanno
tacitato
la coscienza con
l'esaltazione della stupidità umana.