Una
saga veneziana
di
Marco Salvador
Edizioni
Biblioteca dell’immagine
Narrativa
romanzo storico
Pagg.
327
ISBN
9788863912913
Prezzo
Euro 15,00
Le
radici
Non
so se ho letto tutti i romanzi che ha scritto Marco Salvador, quel
che è certo è che quelli che sono passati per le mie
mani sono tanti e il fatto che il loro numero sia di tutto rilievo è
sintomo del fatto che mi sono piaciuti. E’ vero, tranne in un
caso o due, che si tratta di romanzi storici, genere letterario a me
particolarmente gradito, ma resta il fatto che mi sono sempre trovato
di fronte a opere confezionate con rigore storico e abilità
letteraria, alla base di trame che a definire avvincenti può
apparire riduttivo. Dal ciclo dei Longobardi, che mi ha fatto
conoscere questa popolazione germanica molto di più delle
striminzite notizie dell’insegnamento scolastico, passando per
i romanzi sui da Romano, capaci di mostrare una realtà storica
che va ben oltre la fama del capostipite Ezzelino, e infine per
giungere alla vicenda della transgender Rolandina, che non è
scritta per richiamare istinti morbosi, ma per descrivere con pietà
la triste vicenda di un diverso, il percorso letterario di Marco
Salvador è una progressione di trame, sempre basate su fatti
veri e rigorosamente documentati.
Posso
solo ipotizzare che Una saga
veneziana sia frutto di
ricerche approfondite effettuate a Venezia per conoscere un po’
l’origine della famiglia dell’autore; infatti, nel libro
si parla di un Salvatore, mercante fiorentino, che si rifugia a
Venezia nel primi decenni del XIV secolo, e darà vita a una
famiglia (una vera e propria dinastia) di commercianti e di armatori.
In tempi piuttosto rapidi ci sarà l’arricchimento di
questa famiglia, il cui cognome, per adattamento al dialetto
veneziano, che era la lingua della Serenissima, diventerà
Salvador. Questo ceppo conoscerà le alterne fortune della
vita, ma diventerà un riferimento nella Repubblica,
imparentandosi con le maggiori famiglie patrizie. Gli anni, anzi i
secoli passano, con un numero di personaggi che si affacciano sulla
scena e che poi scompaiono, uomini e donne non scevri da difetti, ma
con pregi che li caratterizzano e che soprattutto si traducono nella
difesa del buon nome della famiglia. Troviamo, mercanti, ma anche
armatori, uno addirittura ammiraglio dell’Arsenale, perfino un
console a Palermo, tutti discendenti da quel Salvatore che trovò
a Venezia una seconda patria, dopo la sua fuga da Firenze per motivi
oscuri che diventeranno chiari alla sua morte.
La
mano dell’autore, come al solito, è felice, nel senso
che non trascende mai, mantenendo un tono moderatamente distaccato,
tanto più apprezzabile in questa circostanza, visto che parla
dei suoi avi. Certo Salvatore, Marco, Daniele, tanto per citare solo
alcuni degli antenati, non hanno la fama di altri personaggi dei
romanzi di Salvador, come Guido da Romano, o Rotari il longobardo, ma
hanno una loro forza, un loro vigore, che è quello di una
borghesia che reclama il suo posto dell’assetto sociale; a loro
modo sono anche degli eroi, che non conquistano territori, ma ruoli
sempre più di rilievo in una società come quella della
Repubblica in cui avevano voce quasi esclusivamente i nobili.
Ho
accennato prima al rigore con cui l’autore ha condotto le
ricerche storiche, rigore che è testimoniato dai Regesti
di una famiglia cittadinesca veneziana tra il XIV e il XVI secolo
riportati al termine dell’opera e che hanno costituito la base
della stessa.
Il
romanzo è indubbiamente interessante e pertanto meritevole di
lettura, spiace solo che ci si fermi al XVI secolo, tanto che viene
da chiedersi: e dopo?
Chissà
che Salvador abbia pensato anche a questo dopo
e questo è il mio augurio, ma anche la richiesta che rivolgo
all’autore.
Marco
Salvador
vive
in un paesino della pianura friulana, nella stessa antica casa dov’è
nato. Dopo un giovanile esordio letterario, si è dedicato
soprattutto allo studio delle comunità rurali friulane nel
medioevo pubblicando numerosi saggi. Solo all’inizio di questo
millennio è tornato alla narrativa con la pubblicazione quasi
in contemporanea di due romanzi: uno ambientato nel mondo longobardo
(Piemme) e l’altro in un’odierna casa di riposo
(Fernandel).
È
stato il suo modo di affrontare due problemi ancora attualissimi: la
complessità di ogni transizione tra due epoche storiche e la
condizione degli anziani in difficoltà.
Entrambi
hanno avuto un ottimo successo di critica e pubblico e “Il
longobardo” ha vinto il premio Citta di Cuneo per il Primo
Romanzo (ex aequo con “La masseria delle allodole” di
Antonia Arslan) ed è stato tradotto in varie lingue. A questi
sono seguiti altri sei romanzi con Piemme, due con Fernandel e uno
con Biblioteca dell’Immagine.
Inoltre:
“Lettera a Lucilla” per il Dipartimento di Storia Culture
Civiltà dell’Università di Bologna (2007) e
“Lapis Lydius” per il Museo Archeologico Nazionale di
Napoli, Volturnia Edizioni (2018).
Nel
2013 è entrato nel novero di chi ha ricevuto il prestigioso
premio Riccardo Francovich per la divulgazione storica istituito
dalla SAMI (Società degli Archeologi Medievisti Italiani) e
patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
assieme ad Alessandro Barbero, Pupi Avati, Franco Cardini, Piero
Angela e Chiara Frugoni.
Renzo
Montagnoli
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