Cronache
di poveri amanti
di
Vasco Pratolini
Edizioni
BUR Biblioteca Universale Rizzoli
Narrativa
romanzo
Pagg.
XXVIII-431
ISBN
9788817061087
Prezzo
Euro 12,00
Una
stupenda epica popolare
Via
del Corno, a Firenze, è una strada lunga al più una
cinquantina di metri, senza marciapiedi, isolata dal traffico,
popolata quasi esclusivamente da un proletariato che spesso non ha
nemmeno gli occhi per piangere, ma che è percorso da un
desiderio di amore che si trasforma, spesso e volentieri, in
infedeltà. In questo rione chiuso nulla sfugge e si può
dire che ognuno dei suoi abitanti sappia tutto dell’altro,
anche perché qualcuno spesso mette in piazza i fatti suoi, per
trovare più che consenso, conforto. Il romanzo è
ambientato negli anni in cui il fascismo, salito al potere, getta la
sua maschera di aspirante alla democrazia assumendo le vesti tipiche
della dittatura, con l’introduzione delle Leggi speciali. In
via del Corno si nasce, si cerca di vivere e si muore, ci sono due
antifascisti e due fascisti, e questi ultimi faranno valere
drammaticamente la legge del più forte. Le pagine in cui il
compagno Maciste, insieme a Ugo, corre per Firenze con il suo sidecar
per mettere in guardia gli oppositori del fascismo sono di una
maestria indiscutibile, perché sono rappresentazione filmica;
in un crescendo di tensione la morte di Maciste, colpito da un
proiettile sparato da un fascista, commuove e al contempo indigna,
perché il personaggio è il classico gigante buono e
proprio per questo lotta per un mondo più giusto e migliore.
A
via del Corno i suoi abitanti hanno tutti una personalità ben
precisa e Pratolini li descrive in modo mirabile, sono figure che
parola dopo parola vengono a comporsi davanti agli occhi del lettore
e sono tutti protagonisti, nel bene e nel male. Non ci sono individui
complessi, fatta eccezione per la Signora, l’ex tenutaria di
bordelli, invecchiata e ormai fuori dal giro, in possesso di un buon
gruzzoletto, disperatamente sola, ma attratta irresistibilmente dalle
ragazze giovani; è una fredda calcolatrice a cui piace
dominare, tutta intenta, nonostante l’infermità che la
costringe quasi sempre a letto, ad architettare piani diabolici con
cui rovinare il malcapitato di turno, in un trionfo del male che
sembra essere ormai l’unico scopo della sua vita. In via del
Corno nascono nuovi amori, altri finiscono, c’è gente
sposata che ha l’amante, e questo sembrerebbe l’origine
del nome della via, ma le corna non hanno nulla a che fare con il
corno. Eppure, tranne i due fascisti e la Signora, i personaggi, a
loro modo, finiscono con il diventare simpatici e si riesce perfino a
cogliere quel loro senso della vita, che è proprio dei poveri,
perché chi manca di tutto o quasi trova conforto solo
nell’amore, che può essere delirio dei sensi, ma anche
comunione di sentimenti, affetti profondi. Sono figure che restano
scolpite nella memoria, senza che tuttavia una fra tutte incida di
più, perché in fondo la coralità del romanzo fa
sì che volti e figure appaiano e scompaiano, si sovrappongano,
si uniscano, e alla fine non è difficile accorgersi che
l’autentica protagonista è proprio lei, via del Corno,
come l’aveva conosciuta Vasco Pratolini, che non troviamo su
quel selciato, che pure a suo tempo ha calcato, ma è il
burattinaio che muove i fili dei ricordi, che rinnova l’affetto
per chi lì ha condiviso con lui parte della sua vita. L’autore
soleva dire che via del Corno, in cui aveva abitato da ragazzo, era
la sua Aci Trezza, il suo quadro di un’epica popolare, di un
mondo ormai lontano, ma rimasto nel cuore, un mondo in cui,
nonostante l’orrore di un regime sanguinario e crudele,
circolava ancora un filo di speranza, quella speranza che come una
brace sotto la cenere sarebbe tornata ad ardere più avanti nel
tempo.
Per
me è un capolavoro.
Vasco
Pratolini (Firenze, 19 ottobre 1913 –
Roma, 12 gennaio 1991).
Di famiglia operaia, è costretto a interrompere gli studi e
svolge mestieri diversi per potersi mantenere.
Autodidatta,
entra in contatto con l’ambiente degli artisti e degli
scrittori che gravitano attorno al pittore Ottone Rosai,
frequentandone la casa.
Pratolini
comincia a collaborare al periodico «Il Bargello» e
diviene redattore con Alfonso Gatto, nel 1938, della rivista «Campo
di Marte». Nel 1951 si trasferisce a Roma, città nella
quale vivrà da allora in poi.
Le sue prime esperienze
narrative ("Il tappeto verde", 1941; "Via de’
magazzini", 1941; "Le amiche", 1943; "Cronaca
familiare", 1947) compongono il ritratto di un'infanzia e di una
giovinezza piuttosto picaresche.
Il
registro adottato, sin da quelle prime prove, si pone a mezza via fra
il realistico e il lirico.
"Il quartiere" (1943) è
un affresco corale che narra della presa di coscienza del
sottoproletariato urbano.
Gli stessi temi sono riproposti,
con tono appena più svagatamente satirico, ne "Le ragazze
di San Frediano" (1949), e trasposti poi in una più
approfondita lettura psicologica in "Cronache di poveri amanti"
(1947).
Pratolini
svolge con successo, in questi anni, anche un'attività di
sceneggiatore e soggettista cinematografico, e intraprenderà
in seguito una carriera di autore di testi teatrali ("La
domenica della povera gente", 1952; "Lungo viaggio di
Natale", 1954).
Nel
1955 pubblica Metello (premio Viareggio), primo romanzo di quella che
diverrà la trilogia "Una storia italiana", essendo
completata da "Lo scialo" (1960) e da "Allegoria e
derisione" (1966).
Nella trilogia, la vita dei fiorentini,
descritta attraverso la caratterizzazione di personaggi emblematici
del proletariato e della borghesia, diviene il microcosmo in cui
analizzare lo svolgimento di dinamiche sentimentali e
politico-sociali.
Alla
città e al mondo dell’adolescenza sono dedicati ancora
un romanzo, "La costanza della ragione" (1963), e le poesie
raccolte in "La mia città ha trent’anni"
(1967). Alcune «cronache in versi e in prosa», scritte
dal 1930 al 1980, sono riunite nel volume "Il mannello di
Natascia" (1984, premio Viareggio).
Renzo
Montagnoli
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