Una
manciata di more
di
Ignazio Silone
Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa
romanzo
Pagg.
272
ISBN
9788804701668
Prezzo
Euro 15,00
La
speranza non deve morire
Questo
romanzo, parafrasando in parte il titolo di una più fortunata
opera successiva dell’autore, avrebbe potuto meglio essere
intitolato L’avventura
di un disilluso comunista.
Che Ignazio Silone sia stato un cristiano senza chiesa e un
socialista senza partito penso sia ormai incontrovertibile, così
come appare forse incontestabile che dalla sua innata religiosità
promani un’aspirazione politica a un mondo senz’altro più
sociale, in cui le comuni identità non soffochino la
spiritualità di ognuno. Questi contrasti nell’impossibilità
per l’autore di trovare un partito in cui identificarsi
finiscono per incernierare questo racconto ambientato nell’immediato
dopo guerra nella sua Marsica, terra ricca di miseria, con piccoli
borghi in collina e montagna, caratterizzata da ampie foreste in cui
trovano rifugio i lupi. Non sto ad anticipare nulla della trama,
peraltro non semplice, limitandomi a evidenziare i caratteri salienti
dell’opera che è un’evidente denuncia dei
comportamenti non certo canonici del Partito Comunista Italiano in
quel periodo, un’istituzione rifugio, ma anche fonte di lucrose
opportunità per gli ex fascisti che avevano l’impellente
bisogno di cancellare il passato, rifacendosi una nuova verginità.
In contrapposizione vi è invece la profonda delusione di chi
credeva in un mondo diverso e più equo, grazie a un’idea
di comunismo associata a uno stampo egalitario e di giustizia che mai
si ebbe poi a concretizzare. Il partito diventa così un
apparato per imporre ai suoi accoliti una cieca obbedienza, per far
credere che solo con la supina accettazione delle direttive sarà
possibile raggiungere quegli scopi, quegli ideali che non tarderanno
a rivelarsi chimerici. Come è possibile comprendere Una
manciata di more è
un romanzo amaro, è la disillusione di un’antifascista
che tanto ha rischiato nel ventennio confidando in un’Italia
migliore e che si accorge che dopo tanti patimenti, dopo le
sofferenze di un intero popolo nulla è cambiato. Tuttavia,
proprio perché a un uomo non può essere negata la
speranza in un mondo nuovo, Silone nello spiegare in questo romanzo
il motivo perché è uscito dal Partito a cui è
stato iscritto con partecipazione attiva per molti anni, non può
non far balenare, prima per se stesso che per gli altri, una
soluzione, l’unica ormai rimasta e che possa consentire di
guardare con fiducia al futuro, ed è una soluzione utopistica,
è quel desiderio di essere parte di piccole comunità
spontanee, non istituzionalizzate; è un ritorno alle origini,
allo spirito innato di chi crede ancora nell’amicizia, nella
solidarietà, e che è convinto che non sia impossibile
trovare una via per percorrere una strada comune verso la la
giustizia e la libertà, come anche in fondo viene espresso in
un altro suo romanzo (Il seme
sotto la neve).
Una
manciata di more è
un bel libro, non bellissimo, perché Silone ne ha scritti di
migliori, come Fontamara
e appunto Il seme sotto la
neve, ma è comunque
senz’altro meritevole di lettura.
Ignazio
Silone,
pseudonimo di Secondo Tranquilli (Pescina, 1 maggio 1900 –
Ginevra, 22 agosto 1978), è stato scrittore, politico e uno
degli intellettuali italiani più conosciuti e letti in Europa
e nel mondo. Il suo romanzo più celebre è Fontamara.
Durante
l'infanzia una tragedia segna la sua vita: la perdita del padre e di
cinque fratelli durante il terribile terremoto che scosse la Marsica
nel 1915. Rimasto orfano interrompe gli studi liceali e si
dedica all'attività politica, iniziando la lotta contro la
guerra e appoggiando il movimento operaio rivoluzionario.
Prende
parte alle proteste contro l'entrata in guerra dell'Italia nella
prima guerra mondiale e per questo viene processato. A Roma, finita
la guerra, entra a far parte della Gioventù socialista,
opponendosi al fascismo.
Nel
frattempo diventa direttore del giornale romano «L'avanguardia»
e redattore del giornale triestino «Il Lavoratore». Per
le persecuzioni fasciste, è costretto a vivere nella
clandestinità, collaborando con Gramsci.
Decide
di abbandonare l’ideologia comunista perché non
condivide più la politica di Stalin; per questo motivo cessa
quasi tutte le sue amicizie.
Dirige
poi «l'Avanti!», fonda «Europa Socialista» e
tenta la fusione delle forze socialiste con l'istituzione di un nuovo
partito. Ottenute solo delusioni, abbandona la politica per dedicarsi
ai suoi scritti.
Renzo
Montagnoli
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