Voci
di
Claribel Alegría
Traduzione
di Zingonia Zingone e Marina Benedetto
Prefazione
di Zingonia Zingone
Samuele
Editore
Poesia
Pagg.
98
ISBN
978-88-96526-56-9
Prezzo
Euro 12,00
I
versi del commiato
Confesso
che non sapevo nemmeno che ci fosse una poetessa di nome Alegria e
che se anche l’avessi saputo molto probabilmente non avrei
letto nessuna delle sue opere, perché sono interessato
soprattutto a raccolte di autori italiani. Pertanto devo riconoscere
ad Alessandro Canzian, poeta pure lui, ma anche titolare della casa
editrice Sanuele, specializzata in testi poetici, il merito di avermi
fatto scoprire questo autentico talento, che non è più
fra noi dal 25 gennaio 2018. Nicaraguense, Claribel Isabel Alegría
Vides, più nota come Claribel Alegría, si può a
giusto titolo considerare una fra le maggiori esponenti della
letteratura centroamericana, al punto da essere stata candidata nel
2016 al premio Nobel per la letteratura. Mi scuso per questa
introduzione volta soprattutto a far sapere di chi si tratta, e che
ritengo indispensabile per inquadrare l’autore che nella sua
non breve vita (era nata a Esteli il 12 maggio 1924) ha avuto un
passato politico che ha caratterizzato il suo percorso, essendo stata
un membro del fronte sandinista, di chiara ispirazione marxista.
Tuttavia, l’aspetto ideologico sembra riflettersi marginalmente
nella sua produzione, se non nel linguaggio che più che
semplice si potrebbe definire popolare e che, nella raccolta in
questione, insieme con la tematica mi è riuscito
particolarmente gradito.
Voci,
arricchita dal testo in spagnolo a fronte, è a chiusura di un
percorso ricco di soddisfazioni e di incontri con altri artisti che
hanno avuto modo di entrare in contatto con Claribel, a cominciare
dal suo mentore Juan Ramon Jiménez e poi via via molti altri,
fra i quali Italo Calvino e Julio Cortazar.
Per
una donna arrivata alla fine del ciclo vitale questa raccolta ha il
sapore di un testamento, di un lascito in cui il tema svolto è
la morte, nel tentativo di cercare una ragione per la quale sia
possibile andare in un oltre a compensazione della perdita della
propria fisicità. E’ un tentativo, e lei lo sa bene, di
svelare un mistero con l’osservazione della natura, di quel
creato di cui anche noi siamo parte, ed è in ciò che ci
circonda che trova l’ispirazione per il suo discorso, per
parlarne metaforicamente ( Torno verso il mare / è lì
che nacqui / mi accolse una roccia / quando saltai sulla terra. /
Scendo piano / mi trattengo nel muschio / tra i fiori selvatici /
scendo a cercare il fiume / che mi riporti al mare. / Il mio vicino
/ il torrente / non sa che io esisto / brama / salta / riempie canali
/ scoppia / anche lui cerca il fiume / dissolversi nel fiume / che
mi riporti al mare / / erché il mare ci aspetta / perché
il mare è la culla /
perché
siamo il mare.).
Del
resto non possiamo che riconoscere la sincerità di chi si
sente alla fine dei suoi giorni e ancor più forte si pone
quella domanda, spesso repressa in età più verde, sul
perché esista la morte, se essa non sia che una semplice
stazione di arrivo di una forma di vita da cui ripartire per una
nuova e diversa forma di esistenza.
Stranamente
Claribel alterna alle poesie delle brevi prose che altro non sono se
non dei flash di vita trascorsa, cioè dei ricordi che
riemergono all’improvviso, indubbiamente interessanti, ma che a
mio avviso spezzano quel feeling che si vienre a instaurare tramite i
versi fra chi legge e il poeta.
Nell’insieme
è una raccolta che, lungi dall’assumere toni di
accentuata liricità, dato l’argomento, scivola veloce
agli occhi del lettore senza opprimerlo, ma interessandolo nella
misura in cui si apprezza la capacità di affrontare un tema
così drammatico con spirito lieve; inoltre traspare la
convinzione che l’ultimo passo sia solo e semplicemente una
fase dell’esistenza, la cui accettazione ci permette di meglio
comprendere il percorso già effettuato, fin dalle sue origini,
che ritornano con l’osservazione, con occhi da bambina, di una
tartaruga, di un granchio, di una libellula.
L’opera
si conclude con un messaggio ai figli, con un testamento poetico
nella forma e nel contenuto (vi lascio una scala / traballante /
incompiuta / con qualche scalino rotto / alcuni marci / e più
di uno / intero. / Riparatela / mettetela in piedi / saliteci sopra /
salite / fino a toccare la luce.).
Così
è la vita, si potrebbe dire, che sta a noi improntare ai
nostri sentimenti, una lunga scala che sale verso l’eternità.
Renzo
Montagnoli
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