Il
mulino del Po
di
Riccardo Bacchelli
Edizioni
Mondadori
Narrativa
Pagg.
1164
ISBN
9788804633136
Prezzo
Euro 24,00
Una
grande saga
Nella
vita accadono fatti strani, del tutto inspiegabili, come nel caso di
una grande opera, Il mulino
del Po, osannata dalla
critica, accolta con ampio favore dai lettori, oggetto di uno
sceneggiato televisivo in cinque puntate che agli inizi del 1963
entrò nelle case di tutti gli italiani, con protagonista
principale un attore di grande calibro quale era Raf Vallone; ebbene,
forse fu proprio la produzione televisiva, con la conseguente grande
diffusione, che finì per bruciarlo, tanto che si tratta di un
romanzo da tempo dimenticato (basti pensare che l’ultima
ristampa nella collana Oscar Mondadori mi pare risalga al 2013 e non
è che prima ce ne siano state a bizzeffe). Può essere
che a interessare poco i lettori sia anche l’elevato numero
delle pagine, ma ritengo più logico pensare che, dopo il
grande clamore degli anni ‘60 e ‘70, ci si sia proprio
dimenticati, nonostante che il romanzo possa essere avvincente, una
saga familiare che va dalla fine del periodo napoleonico per arrivare
al termine del Grande guerra, un po’ più di un secolo
quello attraversato da quattro generazioni della famiglia Scacerni.
In questo lasso di tempo c’è tanta storia d’Italia,
con il nostro Risorgimento, il brigantaggio, i primi moti sociali, e
proprio per questo risulta ancora più difficile comprendere
l’oblio per un’opera che prima della seconda guerra
mondiale uscì in tre volumi (Dio
ti salvi nel 1938, La
miseria viene in barca nel
1939 e Mondo vecchio sempre
nuovo nel 1940), per poi
essere riunificati in un unico libro con il titolo Il
mulino del Po, pubblicato
nel 1958 dalla Mondadori. Tutta la vicenda gira intorno a un mulino,
il San Michele, ormeggiato sulle rive del Po alla Guarda Ferrarese,
ed è appunto il grande fiume a determinare i fatti più
salienti, con le sue improvvise e grandi piene, con avvenimenti che
riguardano soprattutto la famiglia dei mugnai Scacerni, intorno alla
quale comunque gravitano altri personaggi con le loro storie. In
quattro generazioni ne capitano di tutti i colori, con disgrazie,
arricchimenti, impoverimenti, insomma, nel bene e nel male, é
la saga di una famiglia che finisce con il diventare la storia di un
paese che attraverso le guerre riesce ad avere un’identità
nazionale, a crescere fino a diventare un grande stato.
Il
romanzo è ben strutturato, tanto che non ci sono mai degli
alti e bassi, e del resto lo stile dell’autore è
pregevole, riuscendo a far pervenire l’opera a toni epici, non
tralasciando tuttavia e anzi dimostrando un attenzione particolare
per i singoli, protagonisti a loro modo di una vicenda che finisce
con l’essere corale, in una dinamica sociale che vede la presa
di coscienza dei contadini della bassa ferrarese, quasi sempre gente
povera, per non definire miserrima, la cui vita era tutta una lotta
per non subire la furia della natura, le malatie endemiche e quelle
ricorrenti, le tasse opprimenti che uno stato insensibile rinnovava
di continuo.
Quindi,
oltre all’aspetto strettamente storico, nel libro è
presente anche un’attenta analisi sociologica, due elementi di
pregio che da soli lo renderebbero degno di attenzione. E poi c’è
la trama, di indubbio interesse, ben raccontata, insomma, per dirla
in poche parole, Il mulino
del Po è il
classico caso di un capolavoro dimenticato. E se non è facile
comprenderne i motivi, però sarebbe altrettanto facile
riportarlo all’attenzione dei lettori; basterebbe che a scuola
se ne parlasse per togliere la polvere del tempo da un’opera
che dovrebbe essere invece oggetto di studi e quindi rientrare nei
programmi scolastici.
Riccardo
Bacchelli
(Bologna
1891 - Monza 1985) scrittore italiano. Collaboratore della «Voce»,
fu poi tra i fondatori della «Ronda», accademico d’Italia
e dei Lincei. Poeta, narratore, saggista, drammaturgo, ha al proprio
attivo una produzione letteraria vastissima che si riallaccia
sapientemente alla tradizione ottocentesca, soprattutto al filone
manzoniano e a quello carducciano. Aperta alla rievocazione del
passato e all’analisi storico-politica, sottilmente indagatrice
delle motivazioni etiche dei fatti di cultura, la sua opera affronta
i temi più diversi. I suoi versi (Poemi lirici, 1914; Parole
d’amore, 1935 ecc.) innestano su una ricca esperienza
autobiografica un discorso lirico-filosofico formalmente complesso
che dà talora nel concettoso; e altrettanto può dirsi
dei suoi scritti di teatro (Amleto, 1919; L’alba dell’ultima
sera, 1949; Nòstos, 1957), ingegnosamente dialettici. La
narrativa di B., densa di riferimenti eruditi, spazia dal quadro
storico (Il diavolo al Pontelungo, 1927; Il rabdomante, 1936, premio
Viareggio; Il mulino del Po, 1938-40; I tre schiavi di Giulio Cesare,
1958) al tema biblico (Il pianto del figlio di Lais, 1945; Lo sguardo
di Gesù, 1948), dalla prosa satirica (La cometa, 1949) alla
divagazione meditativo-fantastica in cui convergono ironia, moralità
e un ricercato gusto figurativo (Lo sa il tonno, 1923), fino alla
narrazione «privata» (L’Afrodite, un romanzo
d’amore, 1967) e alla favola scanzonata (Il progresso è
un razzo, 1975). L’elemento centrale della varia ispirazione
bacchelliana è da identificarsi in una costante riflessione
sulla condizione umana; ma ancora più significativo (e
unificante) risulta lo stile, costantemente macchinoso e ornato,
basato su una lingua che assorbe abilmente moduli idiomatici e
dialettali entro un impasto illustre, teso a un vigoroso realismo. Di
rilievo sono anche i saggi storici e critici di B., che testimoniano
l’ampiezza dei suoi interessi culturali: La congiura di Don
Giulio d’Este (1931), Confessioni letterarie (1932), Rossini
(1954), Nel fiume della storia (1955), Africa fra storia e fantasia
(1970).
Renzo
Montagnoli
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