Preghiera
per Cernobyl'
Cronaca
del futuro
di
Svetlana Aleksievic
Edizio
E/O
Narrativa
Pagg.
293
ISBN
9788866327141
Prezzo
Euro 14,00
Un
futuro distopico
“Questo
libro non parla di Cernobyl’ in quanto tale, ma del suo mondo.
Proprio di ciò che conosciamo meno. O quasi per niente. A
interessarmi non era l’avvenimento in sé, vale a dire
cosa era successo e per colpa di chi, bensì le impressioni, i
sentimenti delle persone che hanno toccato con mano l’ignoto.
Il mistero. Cernobyl’ è un mistero che dobbiamo ancora
risolvere... Questa è la ricostruzione non degli avvenimenti,
ma dei sentimenti. Per tre anni ho viaggiato e fatto domande a
persone di professioni, destini, generazioni e temperamenti diversi.
Credenti e atei. Contadini e intellettuali. Cernobyl’ è
il principale contenuto del loro mondo. Esso ha avvelenato ogni cosa
che hanno dentro, e anche attorno, e non solo l’acqua e la
terra. Tutto il loro tempo. Questi uomini e queste donne sono stati i
primi a vedere ciò che noi possiamo soltanto supporre... Più
di una volta ho avuto l’impressione che in realtà io
stessi annotando il futuro”.
C’è
un capitolo del libro, il secondo, intitolato “Intervista
dell’autrice a se stessa sulla storia mancata”, di
cui sopra ho riportato uno stralcio, che ben esprime che cosa si è
proposta Svetlana
Aleksievič quando ha scritto l’opera, perché
l’incidente nucleare di Chernobil, il più disastroso
dell’ancor pur breve storia dell’energia atomica, orrendo
nella sua tragicità, ha determinato un superamento del
concetto di tempo, protraendo i suoi nefasti effetti anche negli anni
a venire e definendo un nuovo scalino dell’evoluzione con
l’homo chernobiliano. Che cosa è l’uomo
chernobiliano? E’ un povero essere che fisicamente e
psichicamente è la testimonianza vivente di una tragedia che
va oltre ogni possibile immaginazione, tanto che verrebbe da dire che
furono fortunati quelli che morirono nelle prime ore successive
all’esplosione del reattore numero quattro. La conseguenza
dell’incidente è stata il rilascio nell’atmosfera
di una quantità abnorme di radionuclidi che hanno contaminato
circa 30.000 Kmq. dei terreni più prossimi e che a distanza di
tempo (l’incidente è avvenuto il 26 aprile 1986), in
forza del continuo assorbimento, anche se in piccole dosi, incide
sulla salute delle popolazioni dei territori limitrofi con tumori,
ritardi mentali, disturbi nervosi, turbe psichiche e mutazioni
genetiche. Non solo ha avuto serie conseguenze chi era presente quel
giorno nell’area che venne contaminata, ma la maledizione si è
estesa anche ai nati successivamente. Il libro della Aleksievic è
a dir poco sconvolgente, con interviste a
povera gente condannata anche per il futuro, con la rassegnazione di
chi sa di avere un marchio indelebile che, prima o poi, si
risveglierà dal letargo con tutta la sua forza provocando
dolore e morte. Ma se tutto è stato colpa di un tragico
errore, ben più grave è stata la risposta del regime
sovietico, tutto teso a minimizzare l’incidente, non prendendo
con rapidità gli interventi idonei per limitare le
conseguenze. La gente, inesperta, si rivolse fiduciosamente agli
scienziati che risposero in continuazione che tutto andava bene, che
non c’era da aver paura, e di ricorrere, come unica
precauzione, al lavaggio delle mani prima di sedersi a tavola per
desinare. Ma non sapevano ancora che stavano per passare la porta
dell’inferno, che quell’aria che respiravano, che
quell’acqua che bevevano, che quel cibo che mangiavano erano un
veleno a scoppio ritardato che dopo qualche anno si sarebbe mostrato
in tutta la sua forza e aggressività. Così come non
erano stati avvisati del pericolo i pompieri accorsi per spegnere
l’incendio e che
non
erano stati dotati di tute antiradiazioni, anche gli abitanti furono
trattati alla stregua di vittime sacrificali e forse questo è
l’aspetto più grave, cioè il disinteresse di chi
aveva il dovere di limitare i danni che avrebbe subito la
popolazione. Nell’immediato della sciagura ci fu l’orrore
degli altamente contaminati, condannati a una lunga e dolorosa
agonia, ma per gli anni a venire c’è lo stillicidio
delle morti per cancro, dei nati deformi, delle depressioni che
finiscono con il cogliere quelli che si sentono privati dell’unica,
ma più grande ricchezza di un essere umano: il diritto alla
vita.
Imperdibile.
Svetlana
Aleksievič
è
nata in Ucraina nel 1948 da padre bielorusso e madre ucraina.
Giornalista e scrittrice, è nota soprattutto per essere stata
cronista per i connazionali dei principali eventi dell’Unione
Sovietica nella seconda metà del XX secolo. Fortemente critica
nei confronti del regime dittatoriale in Bielorussia, è stata
perseguitata dal presidente Aleksandr Lukašenko e la sua opera
è stata bandita dal paese. Dopo dodici anni all’estero è
tornata a Minsk, ma nel settembre del 2020 è stata costretta a
fuggire in Germania. Per i suoi libri, tradotti in più di
quaranta lingue, ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura nel
2015.
Renzo
Montagnoli
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