Canale Mussolini
di Antonio Pennacchi
Edizioni Mondadori
Narrativa romanzo
Pagg. 460
ISBN 9788804546757
Prezzo € 20,00
Un'occasione sprecata
Una saga familiare per raccontare un'epoca non è certo una novità e
non sono pochi gli autori, non solo italiani, che hanno scritto al riguardo. Ci
ha provato anche Pennacchi, narrandoci delle vicende della famiglia Peruzzi, spostatasi, per necessità, dal rovigotto
alle ex Paludi Pontine, risanate dall'intervento massiccio del regime fascista
teso a dare nuova terra coltivabile agli italiani.
Si potrebbe pensare quindi a un romanzo storico e in parte Canale
Mussolini lo è, ma è influenzato da quel desiderio di riappacificazione
nazionale volto a riscrivere l'avvento e il dominio del fascismo, compito
certamente difficile e in cui l'autore si è gettato a capofitto, evidenziando
però carenze culturali e di approccio che fanno di quest'opera un libro
sicuramente leggibile, ma anche approssimativo, dalle facili conclusioni che
cadono come sentenze, in un quadro di eccessive semplificazioni dei problemi
proprie di chi crede di sapere come siano andate effettivamente le cose perché
convinto che la sua conoscenza sia completa e assoluta.
Alla base del romanzo quindi c'è un peccato di presunzione che
finisce con l'inficiare la validità delle asserzioni, spesso gratuite, frutto
non tanto di una disamina attenta, quanto di un credo politico.
Ed è un peccato perché l'idea di partenza era e resta buona e
così, anziché trovarci di fronte a un rigoroso romanzo storico, scorre davanti
agli occhi una lunga telenovela, con personaggi che sono degli stereotipi del
socialista, dell'anarchico, del fascista, insomma una sorta di opera rientrante
nella cultura nazionalpopolare, così cara ai regimi illiberali e feconda sia
sotto il fascismo che sotto il governo dei soviet.
Ciò nonostante il libro riesce più di una volta ad avvincere,
perché le vicende rientrano in quei percorsi della natura umana in cui tutti,
chi più chi meno, ci ritroviamo.
Ci sono in effetti pagine da epopea, come
quella della bonifica delle paludi, un racconto corale che ben si presta
all'agiografia, anche se proprio lì si riscontra un atteggiamento didascalico
che appesantisce il romanzo, in cui peraltro sono frequenti divagazioni,
variazioni di tempi non sempre giustificabili, che finiscono per portare al
lettore una certa stanchezza e comunque tale da fargli scorrere velocemente le
pagine per ritrovare quelle di un discorso più snello e quindi più appagante.
Il ritmo della narrazione è altalenante, discontinuo, con
improvvisi acuti seguiti da vere e proprie fasi di stanca, quasi che l'autore
volesse prendere un po' di fiato e del resto si potrebbe dire che Pennacchi
ricorre a un italiano più parlato che scritto, con frequenti frasi in un
dialetto veneto un po' particolare, quasi modificato per aumentarne la
comprensibilità.
Se l'impostazione colloquiale (l'autore si rivolge a un ipotetico
lettore) è strutturalmente interessante, però, data la lunghezza del libro,
finisce con l'annoiare e peraltro il testo stesso poteva essere ridotto
alquanto, perché le frequenti divagazioni, che tirano in ballo anche personaggi
occasionali e di scarso rilievo per l'opera, occupano non poche pagine.
In questo bilancio i difetti, fra i quali un uso della lingua
italiana non proprio da manuale, sono parecchi e i pregi pochi; resta un certo
fascino della vicenda che desta interesse, ma se
questo consente di considerare il romanzo un prodotto nel complesso leggibile,
le numerose pecche non giustificano assolutamente l'assegnazione del Premio
Strega, che conferma ancora una volta lo scadimento delle ultime edizioni.
Antonio
Pennacchi è nato a
Latina il 26 gennaio 1950. Si appassiona alla politica fin da giovane, aderendo
al Movimento Sociale Italiano, ma poi passa a sinistra con i
marxisti-leninisti. Operaio dell'Alcatel muta continuamente opinione politica
iscrivendosi al Partito Socialista Italiano e alla CGIL, da cui verrà espulso
con l'accusa di essere un filo-brigatista. Entra quindi alla UIL,
poi si iscrive al Partito Comunista Italiano e ritorna alla CGIL, da cui sarà
nuovamente espulso. E' l'occasione per lasciare la politica attiva, per
laurearsi sfruttando un periodo di cassa integrazione e per iniziare l'attività
di scrittore.
Ha scritto, fra l'altro:
- Mammut (Donzelli, 1994);
- Palude. Storia d'amore, di spettri e di
trapianti (Donzelli, 1995);
- Una nuvola rossa (Donzelli, 1998);
- Il fasciocomunista (Mondadori, 2003);
- Shaw 150. Storie di fabbrica e dintorni (Mondadori, 2006);
- Canale Mussolini (Mondadori, 2010).
Renzo
Montagnoli