La Certosa di Parma
di Stendhal
Newton Compton
Editori
Quando lessi
per la prima volta questo romanzo è stato all'incirca una quarantina di anni
fa; all'epoca ero uno studentello che si sentiva
quasi importante per avere fra i suoi autori preferiti Henry
Beyle e la
Certosa di Parma aveva tutto quanto può rendere interessante
la lettura a un giovane spensierato: passione, intrighi, duelli, insomma un
cappa e spada in piena regola.
A distanza di così tanto tempo la
rilettura è andata quasi inconsciamente a cercare un'altra visione dell'opera,
perché troppo semplicemente era facile attribuirle i connotati di un romanzo
d'avventura, fuori dai canoni letterari propri di Stendhal .
E allora mi sono soffermato su quelle
pagine che da giovane mi avevano destato minor interesse e così ho scoperto
l'autentica grandezza di quest'opera, scritta in poco più di un mese e mezzo
quasi alla fine della vita del suo autore.
Stendhal non
aveva affatto l'intenzione di realizzare solo un romanzo d'avventure; il suo
scopo è stato ben più elevato e non a caso l'ambientazione è in uno stato
assolutista quale era il Ducato di Parma. La sua è una ferma condanna alla
politica, che tutto piega alla ragion di stato, tanto
che mi verrebbe spontaneo dire, rifacendomi a quanto osservò Balzac, entusiasta dell'opera, La Certosa è il romanzo che
avrebbe scritto il Macchiavelli se fosse vissuto a quell'epoca e fosse stato messo al bando dai poteri
imperanti.
Insomma, secondo me, tutti i romanzi
di Stendhal, ma soprattutto questo, sono delle vere e
proprie dissertazioni di amoralismo politico.
E ciò è tanto più vero se si
osservano i tre personaggi principali:
Fabrizio Del Dongo
Vive come distaccato dalle azioni che
compie, è un essere per certi versi più spregevole del Julien
Sorel de Il rosso e il nero, perché, benché ne abbia
tutte le opportunità, reputa di scarso peso occupare una nicchia ben precisa
nell'umanità, al punto, anche, di essere incapace di amare.
La Sanseverina
E' una romantica pura, passionale al
massimo, nel suo amore per Fabrizio che si accresce tanto più
quando deve essere protettiva e allora sboccia immediata l'arguta trama
politica, intesa sì come una necessità per porre rimedio ai gesti inconsulti
del giovane Del Dongo, ma anche come gioco necessario
per poter a pieno titolo essere parte di un mondo di sottili intrighi, di
rivalità, di capovolgimenti di fronte, di alleanze tradite e riprese.
In poche parole per essere colei che
conduce la politica.
Il conte Mosca
Il politico per eccellenza che si
adopera per accontentare tutti senza scontentare nessuno. A suo modo è una
figura simpatica e sembra di vederlo questo aristocratico cavalcare le varie
fazioni con la dignità che gli è propria, ma la mancanza di rispetto per se
stesso. Preciso che la personalità del Mosca è quella di una brava persona, ma
che manca di ideali, tanto che, fedele servitore del Principe, finisce con il suggerire soluzioni inapplicabili, in modo
che qualche cosa abbia momentaneamente a cambiare per riconfermare alla fine
l'immobilismo più assoluto.
Questi tre personaggi, apparentemente
diversi nel comportamento, finiscono con l'essere accomunati
dalla tragicità di non credere a nulla, di vivere il loro rapporto a tre come
se al mondo esistessero solo loro, in una totale mancanza di ideali a cui
cercano di supplire tramite i rapporti personali, alla ricerca di una felicità
impossibile in chi può far progetti e invece vive, o meglio vegeta, alla
giornata.
C'è, inoltre, un quarto personaggio a cui Sthendhal guarda con la più
viva simpatia, desiderando in cuor suo di potergli somigliare: Ferrante Palla,
un liberale condannato a morte in contumacia, un po' vanesio, se non pazzo, e
che del politico è esattamente l'opposto, con una fede incrollabile nel suo
ideale, tanto da esser disposto a tutto, anche a sacrificare la vita. E'
innamorato della Sanseverina, anche se sa che questo
sentimento sarà senza speranze, ma è egualmente felice, perché, come crede nei
suoi principi liberali, crede anche fermamente nel suo amore. Da notare che
questa figura, simpatica nelle sue vesti di Robin Hood, assume toni ridicoli, quasi a diventare una parodia
della libertà e della giustizia, a cui solo chi non è
savio di mente può credere come realizzabili, sembra dirci Stendhal.
L'autore
Stendhal,
pseudonimo di Henri Beyle, nasce a
Grenoble il 23 gennaio 1783 e muore a Parigi il 23 marzo 1842. Convinto
sostenitore della rivoluzione, alla caduta di Napoleone assume un atteggiamento
di condiscendenza con la restaurazione intervenuta, in contrasto con le sue idee, ma indispensabile
per poter vivere; preferisce soggiornare lontano dalla Francia, in Italia, dove
svolge l'attività di Console, di scarso interesse, ma abbastanza remunerativa
per consentirgli di dedicare la maggior parte del suo tempo alla narrativa. Fra
le sue opere ricordiamo Lucien Leuwen, Cronache
italiane, La badessa di Castro, Dell'amore, la Certosa di Parma e la sua
migliore Il rosso e il nero.