Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Narrativa generica  Noir  Storie di paese Prima Serie  I racconti del nonno  Fiabe  Horror  Storie di paese Seconda Serie  C'era una volta  Racconti di Natale 

  Racconti  »  Narrativa generica  »  L'occasione di Sara 03/02/2006
 

- Che fai? Non vorrai andare all'appuntamento con quell'uomo?

Sara finse di non sentire e continuò ad asciugarsi i capelli con il phon.

- Ma come puoi pensare che un divorziato sia una persona seria! Quello vuole semplicemente approfittare di te. E poi non venirmi ancora a dire che questa è un'occasione, perché, se ti guardi intorno, vedrai che ci sono un sacco di uomini meglio di quello lì.

Sara spense il phon e volse gli occhi alla madre.

- Mamma, non è lui l'occasione. Questa invece è la mia ultima opportunità.

Che credi, forse, che il mondo brulichi di persone rispettabili, di maschi belli, intelligenti, ben posizionati, soli e alla ricerca di una quarantenne come me?

Si guardò nello specchio: già sottili si intravedevano le prime rughe intorno al contorno degli occhi e la tinta appena applicata celata a stento i fili argentei che cominciavano a interrompere l'uniformità dei capelli corvini.

- Sara, te lo ripeto: non aver fretta, perché prima o poi l'uomo che fa per te arriverà.

- No, mamma. Sono anni che ti ascolto e aspetto, e intanto invecchio, sfiorisco e appassisco alla tua ombra.

- Quando fai così, sei del tutto irragionevole e dimostri di essere immatura.

- Immatura? Mamma, se non sono cosciente di me stessa a quarantanni non lo sarò mai. Che cosa è stata la mia vita fino a ora? Casa e lavoro, lavoro e casa: una vita squallida, ossessiva nella sua monotonia.

- Non mi vuoi più bene, allora.

- Ecco, si ritorna al discorso del voler bene. Sono tua figlia, mi hai generato, mi hai cresciuta e non posso che volerti bene, ma non ti sembra che anche io abbia diritto alla mia vita? Non pensi forse che anche il mio animo possa necessitare di un affetto diverso? No, non lo pensi; sei troppo egoista. Prima mi hai costretto a vivere la sofferenza quotidiana della lunga malattia del papà e poi, quando è morto e hai chiuso la tua vita in una parentesi, mi hai obbligato a vegetare con le tue insulse manie, con le continue emicranie per cui pretendi di essere compatita.

La vecchia si alzò dalla poltrona in cui era sprofondata, si appoggiò allo stipite della porta e teatralmente proruppe in “una figlia ingrata” che fece andare su tutte le furie Sara.

- Ingrata? Io sarei ingrata? Tu hai vissuto la tua vita, hai forse saputo che cosa vuol dire amare e pretendi che io non lo debba sapere. Sì, sono ingrata e perché mai dovrei essere il contrario? Quando le mie amiche trovavano dei ragazzi le compativi, dicevi che così avrebbero rovinato la loro vita, magari sposandosi con il primo venuto. E mi ripetevi di attendere un principe azzurro che non era e non è nemmeno nella tua mente.

- Non ti permetto di parlarmi così!

- Non mi permetti? Che dovrei fare? Dovrei continuare a dire obbediente sì mamma, certo mamma, hai sempre ragione tu mamma? La verità è un'altra: tu per po' mi hai voluto bene, quando ero piccola. Ma poi, crescendo, quell'affetto è diventato un'ossessione, si è tramutato, con la paura di perdermi, di trovarti un giorno sola, in un possesso che mi ha tolto ogni voglia di vivere.

- Non ti riconosco più.

- Nemmeno io mi riconosco più; poco fa mi sono guardata allo specchio e ho visto il volto di una donna spenta, di un essere umano che l'infelicità ha reso del tutto inutile.

- Per me sei tutto, non potrei esistere senza te!

- Esisterai lo stesso, mamma, con me o senza di me, perché quello che tu chiami vita e a cui mi hai costretto è una sorte di morte dentro che non necessita della presenza di altri.

La madre proruppe in un lamento – Ahi, che emicrania mi hai fatto venire! La mia vita è solo sofferenza, dolore che anche tu alimenti.

Sara non rispose e finì di truccarsi; pensava all'appuntamento con il collega d'ufficio e sperava, ma non voleva illudersi inutilmente; avrebbe fatto di tutto perché quell'ultima occasione fosse propizia, perché anche per lei ci fosse quella vita che le era stata negata.

Si vestì, si rimirò allo specchio, poi, finalmente pronta, aprì la porta di casa.

- Se vai, non ti voglio più vedere! Non tornare!

La porta di casa sbatté mentre Sara si affacciava alla vita.   

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014039158 »