L’eterno
riposo dona a loro, o Signore
di
Renzo Montagnoli
Ogni
anno, in questo giorno di metà aprile, esco dalla canonica e,
sempre più malfermo sulle gambe, prendo la strada che lascia
le ultime case del paese, per poi inoltrarsi nel bosco, e salire,
dopo un paio di tornanti, sulla rupe dove, da tempo immemore, accanto
alla chiesa dedicata a Santo Stefano c’è il nostro
piccolo cimitero, talmente piccolo che per contenere tutti i nostri
defunti gli stessi vengono sepolti in piedi. Già il sole è
quasi scomparso dietro le cime innevate dell’Adamello e l’ombra
sempre più si allunga, prendendo possesso dell’intera
valle; è primavera, ma le ore di luce sono ancora poche,
l’aria è frizzante e qua e là, irriducibili, ci
sono ancora chiazze di neve. Che cosa mi spinge in questo posto di
silenzio in un’ora così tarda? Che cosa mi impone di
rinunciare alla comodità del divano e al tepore della vecchia
stufa in ghisa per avventurarmi con le poche forze che mi rimangono
in questo percorso dal luogo dei vivi a quello dei morti? Non sono
pazzo, non ho la demenza senile, ma io, don Cherubino Solari, già
parroco del paese, da alcuni anni rimosso per raggiunti limiti di
età, vengo in questo posto in pellegrinaggio, per ricordare,
ringraziando, chi non molti anni fa mi ridiede la fede che stavo
perdendo. E’ una storia lunga e vedrò, per quanto
possibile, di essere breve. Divenni prete più per soggezione
che per vocazione, più per soggezione nei confronti dei miei
genitori che tanto lo desideravano al punto di farmi battezzare con
il nome di Cherubino. Ma poi, quale pastore del mio gregge, sentii
nascere in me il desiderio di esserne la guida, di partecipare alle
poche gioie e ai tanti dolori che guerre e malattie dispensavano a
piene mani. Li accompagnavo nell’ultimo viaggio, convinto che
sarebbero andati incontro a una nuova vita, ma quando mi lasciarono
mio padre e mia madre sentii un vuoto profondo, una disperazione
perché nulla poteva assicurarmi del loro cammino nella vita
eterna. Fu un periodo infelice e non so se ne accorsero i miei
parrocchiani, ma se percepirono qualcosa furono talmente fraterni da
non darmelo a vedere. Erano giorni in cui a dubbi atroci si
alternavano improvvise ed effimere certezze, in cui riperdevo la fede
che avevo appena riagguantata, così che cominciai a disperare,
ma proprio allora avvenne il fatto. Una famiglia veniva da anni in
paese per la villeggiatura, tanto che avevano comprato una vecchia
bicocca e l’avevano sistemata affinché il soggiorno non
si limitasse solo a un paio di mesi estivi, ma anche a uno di quelli
invernali. Erano un padre, una madre, una bambina e un cane.
L’inverno prima non erano venuti e si seppe che era per le
condizioni di salute della bimba, colpita da un male che non perdona.
Quando la piccola (aveva otto anni) si accorse che la vita le
sfuggiva di mano espresse il desiderio di venire a morire al paese e
di essere sepolta nel suo cimitero. Non riuscii a farle visita quando
era ancora viva perché come arrivò chiuse gli occhi per
sempre. La ricordo bionda, minuta, quasi scheletrita, ma con il volto
sereno. Il cane, un setter, guaiva ai piedi del letto, sembrava
soffrire e poi mi dissero che morì alcune ore dopo. Il comune
concesse la tumulazione nel proprio cimitero e così
accompagnai anche lei nel suo ultimo viaggio, con i necrofori che,
nell’ultimo tratto da fare a piedi portando in spalla la bara,
si lamentavano del peso non trascurabile della stessa, tanto che a
più d’uno venne il dubbio che vi fosse rinchiuso anche
il corpo del cane. Dopo la messa nella chiesetta e la tumulazione mi
attardai non so per quale ragione, ma anche allora, come adesso,
scesero veloci le ombre della sera e alla luce quasi irreale della
luna non vidi, ma avvertii due spiriti che lasciavano la terra per
innalzarsi in cielo, e mi parve di sentire anche il latrato di un
cane e un’esclamazione di gioia di una bambina. Alzai gli occhi
al cielo, ora sapevo che esisteva un’altra vita, che non tutto
finisce e mi sorpresi a dire fra le lacrime “L’eterno
riposo dona a loro, o Signore”. Da allora non manco un
anniversario e ogni volta avverto in me la presenza di due anime che
si ritrovano, che gioiscono, che corrono per gli immensi prati del
cielo, o che scendono giù al torrente a guardare la luna
specchiarsi nelle pozze, o che risalgono queste vette innevate per
fiondarsi nell’infinito. Alloro mi raccolgo in preghiera,
mentre dentro di me cresce una gioia che vorrei gridare al mondo, una
speranza per tutti, anche per chi non crede, perché in
quest’ordine perfetto nulla si crea e nulla si distrugge. Anche
ora mi scendono copiose le lacrime e prima di lasciare questo luogo
di pace sussurrerò “L’eterno riposo dona a loro, o
Signore”, aggiungendo “e anche a me” che avverto
inesorabile, ma non più terribile, l’avvicinarsi di
quell’ultimo passo.
Le
stelle brillano in cielo, la luna sembra sorridere, e leggero come
una piuma mi appresto a tornare a casa.
Nota:
Il racconto ha origine da un fatto vero, dal desiderio di
una bambina, malata, di essere sepolta nel cimiterino di quel paese
che tanto amava. Il resto è frutto di pura creatività.
|