Camminava
lentamente, la schiena incurvata, i piedi striscianti sull'acciottolato, il
capo chino; quella strada che percorreva ogni giorno da chissà quanto tempo
sembrava diventare sempre più lunga. Arrivato di fronte ad un edificio
scalcinato, con i vetri rotti alle finestre, le grondaie cadenti, si fermò ed
alzò gli occhi: scolorito dal tempo sulla facciata c'era un cartello. Non
vedeva quasi più, ma a memoria sapeva quello che c'era scritto, e poi quante
volte era stato lì, tante che neppure se le ricordava. Con un ultimo sforzo
varcò il portone divelto della stazione ferroviaria e raggiunti i binari si
lasciò cadere su una panchina; stropicciò gli occhi e guardò le rotaie
arrugginite: sarebbe arrivato oggi, o avrebbe dovuto ancora aspettare?
Richiuse
gli occhi e ripensò a se stesso; era da anni che attendeva quel treno che non
arrivava mai. A poco a poco la cittadina si era spopolata ed
era rimasto solo lui; non c'era più la luce, non funzionava neppure il gas ed
ormai i suoi pasti erano costituiti dalle radici del giardino; all'inizio aveva
dovuto contenderle agli animali, ma poi anche questi erano spariti.
Nulla di nuovo da vedere: solo case che l'inclemenza del tempo lentamente
sgretolava ed era anche quella una ragione valida per trascorrere la giornata
in stazione, in un'attesa che non sembrava avere mai fine.
Sdraiato
sulla panchina ripensava al passato, tanto lontano al punto che dubitava che
fosse esistito.
Si
rivide così l'immagine di un giovane snello e fiero il giorno della visita di
leva, il suo primo contatto da adulto con il mondo degli adulti; correva l'anno
1910 e venne
fatto abile. Si concluse tutto in un
giorno, ma si sarebbero ricordati di lui da lì a poco con la Grande Guerra. Scacciò le immagini
dolorose che cominciavano ad apparirgli dinanzi ed allora corse a quella del
matrimonio e rivide il vecchio calendario con la pubblicità del lucido da
scarpe: aveva evidenziato in rosso il 3 giugno 1920 ed appunto in quella data
si era sposato. Era bella la sposa, ma faticava a ricordarne il volto: gli
sovveniva, per quanti sforzi facesse, solo un viso aperto in un sorriso, un
viso piatto, solo i contorni ed una fessura scintillante di bianco, la bocca.
Come poteva essersi dimenticato la fisionomia di sua moglie, perché anche in
seguito, negli episodi in cui lei era presente, si intravedeva solo un'immagine
sfocata e perché quando ne guardava la fotografia subito scordava l'aspetto di
quanto gli era stato più caro? Era una domanda a cui
non voleva dar risposta, anche se questa c'era ed era anche il motivo per il
quale lui a trecentosessantanni era ancora lì, non
una gioia, ma una condanna . Aveva visto a poco a poco morire gli amici, i
conoscenti, poi i figli, i nipoti, i pronipoti ;
infuriavano epidemie provocate dagli uomini e la gente cadeva per strada, si
lasciava andare, scivolava accanto al marciapiedi nell'indifferenza generale di
chi ancora sperava di vivere. E se ne era andata anche sua moglie, nonostante
il patto scellerato che aveva firmato. Quella vicenda così
dolorosa se la ricordava bene; la moglie si era ammalata senza speranza e tutto
sembrava inutile; aveva girato ovunque alla ricerca di medici che potessero
guarirla, ma senza successo. Una sera che, affranto, la vegliava accanto
al letto di dolore si accorse di un ombra sulla porta
della camera, un'immagine indefinita.
L'ombra
si avvicinò al letto e lui le si parò davanti,
“Lasciami fare, sono venuto a prenderla; è la sua ora.” “Prendi me, lasciala
vivere.”
“Per
te è troppo presto, ma quando sarà il momento mi rivedrai.”
“Ancora
un po' di tempo, ancora un po' di gioia insieme, ti prego…”
“Tu
vuoi veramente bene a tua moglie, ma sai che il distacco
prima o poi ci sarà, e non sarà meno doloroso di adesso. Questo è
l'ordine delle cose ed io e te non ci possiamo far nulla.”
“Lasciami ancora qualche ora con lei, che la
possa stringere, possa vivere in questo poco tempo l'emozione
di una vita trascorsa insieme. Ti prego: il mio cuore deve dirle ancora tante
cose…”
“E va bene, ripasserò fra due ore, ma ad una
condizione: tu vivrai tanto, sarai l'ultimo a lasciare questo mondo. Non c'è
nessuna cattiveria in questo patto: tu hai chiesto di cambiare l'ordine delle
cose e così potrai vedere le conseguenze di questa richiesta. Dimmi se sei
d'accordo?”
“Sì, anche se non mi interessa di vivere così
a lungo, ma se questo è necessario perché tu la lasci in pace per un paio d'ore
mi sta bene; invecchierò, ma molto di più degli altri, e forse non sarà così
brutto.”
“Te ne accorgerai e presto comincerai a sperare
che io venga da te.”
E
così riuscì a rinviare la morte della moglie di due ore; ricordava di come
l'aveva tenuta stretta a sé in quel breve lasso di tempo, di come le aveva
accarezzato i capelli, di come aveva sentito il battito del suo cuore rallentare
sempre di più fino a fermarsi. Aveva provato un dolore indicibile, ma
l'angoscia era cessata: aveva preso coscienza dell'ineluttabilità dell'evento,
ma non poteva ancora supporre l'angoscia che avrebbe provato dopo. Gli anni
passavano e intorno a lui la vita si spegneva; poco a poco aveva cominciato a
invidiare chi se ne andava, si era esposto a ogni possibile pericolo,
soprattutto durante l'epidemia, ma mentre tante giovani vite venivano
falciate dal morbo lui procedeva imperterrito, con la morte solo nel cuore.
Aveva
avuto un momento di speranza quando gli aveva fatto
visita una sera l'ombra, ma questa gli aveva solo ricordato che per lui sarebbe
arrivata con l'ultimo treno.
E
così, giorno dopo giorno, se n'era stato sempre in stazione, nell'attesa di
quel treno che non arrivava.
Girò
il fianco: da tempo gli dolevano tutte le ossa. Fu allora che gli sembrò di
sentire un fischio lontano; si scosse e provò ad ascoltare meglio: nulla, il
silenzio assoluto. Poi lo udì nuovamente, sollevò il capo ed ecco che in fondo
al binario veniva avanti una locomotiva con al seguito
una sola carrozza.
Sbuffando
si fermò davanti a lui. “E' l'ora” disse l'ombra sporgendo dalla macchina. “E'
l'ora che così tanto hai desiderato.”
Raccolse
le ultime forze, salì i due scalini del vagone aggrappandosi alle maniglie, poi
entrò nello scompartimento.
Si
gettò sul divano: non si sentiva più stanco, ma avvertiva un crescente torpore.
Reclinò il capo e sentì che gli occhi si chiudevano, ma prima, nitido, come
fosse stato davanti a lui, rivide il volto della moglie.
“Si
parte” mormorò l'ombra. Ma lui non rispose, gli occhi chiusi, il volto sereno,
disteso, sembrava sorridere.
Il
treno si avviò traballando e in breve scomparve all'orizzonte.