La
Messa di mezzanotte
di
Renzo Montagnoli
Stava
ritto davanti lo specchio del bagno, attento a non farsi male;
tagliava con metodo, usando una forbicina, i peluzzi che uscivano dal
naso, quel cespuglio che Aristide, la mattina, si era dimenticato di
spuntare, accanendosi invece su quei quattro capelli che gli erano
rimasti, e per giunta di un indefinibile colore. - Bianco sporco –
aveva sentenziato il barbiere, ridendo sguaiatamente alla sua
richiesta di colorarli un po’. - Qualsiasi tinta, Aristide, ma
che sia accettabile.- Il barbiere aveva detto di no scuotendo il capo
e aggiungendo, in una bottega piena di gente: - Devi andare a morose
proprio per Natale, con tutti i giorni che ci sono?
Era
avvampato, gli sembrava che tutti lo guardassero, ma era rimasto
zitto, fuggendo a gambe levate dopo aver pagato il conto e aver
ricevuto l’immancabile omaggio annuale del calendarietto
profumato con le fotografie di alcune signorine ben poco vestite.
Il
suo problema era sempre stata la timidezza, fin da quando andava a
scuola, arrossiva con niente, si impappinava, e peggio ancora era
accaduto quando, uscito dalla pubertà, aveva cercato la
compagna della sua vita. Calogero aveva fatto qualche tentativo,
forse avrebbe anche avuto più di un’opportunità,
perché non era brutto e perché grazie agli studi
compiuti (era ragioniere) aveva un buon posto in banca. Se però
non fosse stato per l’Adele, un’infermiera dalle forme
abbondanti e generose, sarebbe rimasto scapolo, ma lei aveva occhio e
quel timidone faceva al caso suo, un uomo da comandare, da dirigere
come fosse stato un orchestrale. Eppure lui non aveva eccepito nulla
e da quella unione, priva di figli, aveva ritratto soddisfazione,
arrivando beatamente alla soglia della pensione, in un menage dove
chi prendeva le decisioni era solo lei e lui non aveva di che
preoccuparsi. Già pregustava i giorni in cui sarebbe stato
sempre disponibile per eseguire tutti quei lavori domestici che gli
venivano imposti, allorché l’Adele contrasse una
malattia tanto breve quanto grave che l’aveva reso vedovo
pressoché in un amen.
Rimase
attonito, quasi non ci credeva, e si sentì improvvisamente
solo e indifeso, si chiuse a lungo in casa, ma poi la sorella, che
era sempre stata prodiga di consigli, un giorno gli fece un
discorsetto – Calogero, non sei ancora vecchio decrepito, ma se
continui così come minimo ti viene la demenza senile. Ti devi
trovare un’altra moglie. Non sei brutto, hai una buona
posizione, vedrai che un’altra vedova o a una zitella che
ancora non disperi la trovi.
Già
– pensò Calogero – facile a dirsi, ma come fare?
Al problema s’era aggiunta la ricomparsa timidezza e lui sapeva
che era stata l’Adele a conquistarlo, e pertanto adesso
trovarne un’altra della sua tempra e del suo carattere era
quasi impossibile.
Non
sapeva proprio come fare, si guardava intorno, ma di occasioni non ne
vedeva; cominciava a disperare quando una domenica a Messa la vide.
Seduta nel secondo banco, esile, a differenza dell’Adele, c’era
una signora di bell’aspetto (così a lui almeno sembrò);
si chiese se fosse libera e allora, nonostante la timidezza, si
precipitò al secondo banco, ma una donna piuttosto in carne si
interpose fra lui e il suo obiettivo, non tanto però da
impedirgli di notare che l’esile figura non portava un anello
matrimoniale all’anulare della mano sinistra; si accertò,
a fugare ogni dubbio, che anche le dita della mano destra fossero
libere. Terminata la funzione religiosa si ripromise di seguirla e
vide che sgambettava, da sola, lungo la via, fino a quando arrivò
a una casetta in cui entrò. Calogero attese un attimo, poi
guardò se c’era un campanello e il campanello c’era
con un nome, uno solo: Laura Parini.
Cominciò
a sperare.
Passava
di lì tutti i giorni, ma non riusciva a vederla, la
intravvedeva solo alla messa della domenica, ma più che
sedersi allo stesso banco non riusciva, perché c’era
qualcuna che si frapponeva fra lui e lei.
Intanto
il tempo passava, era già arrivato dicembre, freddo, nebbioso
e con non rare spruzzate di neve: Calogero pensò amaramente
che anche quell’anno il suo Natale sarebbe stato orfano di una
presenza femminile in casa, gli vennero i lucciconi agli occhi e
decise che doveva almeno tentare di conoscerla, timidezza o non
timidezza. La prossima Messa sarebbe stata quella della Vigilia,
quella di mezzanotte, e si preparò spiritualmente e
fisicamente alla sua missione, cercando di non peggiorare il suo
aspetto, scegliendo gli abiti migliori.
Nevicava
anche quella sera e arrivò alla chiesa ben prima dell’inizio
della funzione, andando a occupare un posto subito nel secondo banco.
Guardava quel povero Cristo in croce e anche lui si sentiva in croce,
poi guardava l’ingresso della chiesa, volgeva il capo in
avanti e poi lo girava all’indietro. Doveva essere stato in uno
di quei momenti che i suoi occhi indugiavano sul crocefisso che lei
era entrata, così grande fu il suo stupore quando se la trovò
di fianco. Cercando di non farsi notare la guardò nel chiaro
scuro del tempio: era esile con un viso dolce e un naso sbarazzino
che sembrava ringiovanirla, ma altri segni denotavano che la gioventù
era già trascorsa da un po’. Iniziò la funzione e
lui pregò, pregò il Signore che gli concedesse la
grazia di finire i suoi giorni con una donna accanto, con una persona
con cui scambiare due chiacchiere e due carezze; la vita sarebbe
stata meravigliosa se avesse potuto ricevere e, a sua volta donare,
un po’ d’amore. Quando si trattò di scambiarsi il
segno di pace le loro mani si incontrarono, fu solo un istante, ma a
Calogero parve un’eternità. Finita la messa uscirono
tutti e s’incamminarono verso casa sotto una nevicata quale non
si vedeva da anni. Lui la seguiva a una decina di metri, quando,
forse per una lastra ghiacciata, lei scivolò, ruzzolando per
terra. Corse subito.
-
Si è fatta male?
-
No, grazie.
-
Adesso la tiro su.
Ma
non fu di certo facile, perché anche lui scivolò,
finendole addosso; si trovarono così viso a viso, con le
labbra che quasi si sfioravano.
-
Mi scusi – biascicò con voce tremante Calogero.
Con
non poche difficoltà si rimisero in piedi e lo fecero ridendo
come due bambini, ma la neve era entrata dappertutto, sotto i
cappotti, fra i capelli, insomma erano bagnati fradici. Lei lo
guardò: vide un uomo che sembrava un pulcino intirizzito, ma
nei suoi occhi si leggeva una speranza, non era male quell’uomo,
chissà forse era quello che le era sempre mancato. Cercarono
di scrollarsi di dosso la neve, ma era un’impresa ardua e
allora lei gli disse:
-
Dobbiamo toglierci gli abiti e asciugarci, altrimenti possiamo
prendere un malanno; per fortuna che abito qui vicino, mi segua.
Calogero
la seguì come un cagnolino, mancava solo che scodinzolasse.
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