Conca
di Plezo – 24 ottobre 1917
H.
01,00 antimeridiane
-
Che trincea di merda! Come fai un passo ti impantani
subito; mica come quei signori della seconda linea, al caldo e al sicuro dentro
le loro fortificazioni di cemento armato. Ci sarà un motivo, però, se lei mi ha
svegliato, visto che c'è una calma assoluta. Sputi il rospo, tenente.
-
Ha detto bene lei, capitano. C'è una calma assoluta da almeno dodici ore e
francamente non ricordo una cosa simile in tre anni che sono al fronte.
-
Qualche ipotesi?
-
Per me quelli stanno preparando un attacco e quando sorgerà il sole
cominceranno a martellarci con tutti i calibri.
-
Può essere, ma non ho ricevuto avvisi dal comando e quindi è inutile fare
congetture. La invito, però, a raddoppiare i turni di guardia, perché le due
trincee in alcuni punti non distano più di una sessantina di metri e un colpo
di mano è sempre nell'aria.
-
Sarà fatto. Mi scusi se l'ho disturbata.
-
Non si preoccupi, perché ha fatto più che bene e poi, francamente, non riuscivo
a dormire, con tutti quei ratti che continuano ad andare su è giù per il
ricovero. Pensi che una notte mi sono svegliato di
colpo perchè ce n'era uno che razzolava sul cuscino!
-
Per non parlare delle pulci che ci tormentano 24 ore su 24: sono peggio di una
quinta colonna.
-
E' la guerra, dove non si distinguono più gli uomini dalle bestie. Ora comunque
mi ritiro e mi raccomando di tenere gli occhi bene aperti.
-
Buona notte, signor capitano.
Il
tenente passò la consegna alle vedette e cercò di indovinare nel buio di una
notte senza luna i confini di quella stretta valle, un vero e proprio corridoio
in cui un esercito teoricamente non sarebbe potuto
passare, e in effetti quel terreno non era stato teatro di vere e proprie
battaglie, ma al più di brevi scaramucce, azioni di disturbo senza speranza di
risultati.
H.
02.00
Il
silenzio della notte fu lacerato dal rombo simultaneo di migliaia di bocche da
fuoco. L'impressione era che tutto il fronte si fosse risvegliato all'improvviso.
Il
capitano corse subito, insieme al tenente, al posto di osservazione:
l'orizzonte si era illuminato come se l'alba avesse anticipato il suo orario.
-
Non capisco una cosa, tenente: il tiro dei cannoni è lungo, diretto alla nostra
seconda linea e sembra che usino piccoli calibri, giacché le esplosioni ci
arrivano come soffocate.
-
E noi niente, nemmeno un colpo.
-
Mi sembra di vedere davanti a noi della nebbia, che prima non c'era, e quel che
è peggio viene verso le nostre trincee, sospinta da un po' di vento. Un po' di
vento…la nebbia, ma non è possibile che ci sia questo fenomeno atmosferico e
ora che è più vicina mi sembra tanto strana, con quel colore quasi azzurro…Gas,
è gas! Mettere tutti le maschere!
E
ognuno indossò quella specie di bardatura che lo faceva sembrare un essere
mostruoso e che filtrava talmente l'aria
che si riusciva a inspirarne ben poca.
-
Ecco cosa preparavano, tenente. Ma adesso li sistemiamo noi; per precauzione
faccia sparare alle mitragliatrici una raffica in quella nebbia ogni cinque
secondi e comunichi al comando di preparare il tiro di controbatteria.
Si
mise quindi la maschera e attese la nube che, come una serpe malefica,
strisciava sul terreno, si infilava nelle buche scavate dalle granate, risaliva
gli avvallamenti e si avvicinava silenziosa alla trincea.
Quando
arrivò al punto di vedetta avanzato la sentinella si strappò la maschera, si
dibatté come avvinta da
un mostro e poi cadde in avanti rantolando. Non passarono che una decina di
secondi e comparve sul bordo della trincea, lasciandosi cadere all'interno e
avvolgendo tutto e tutti.
Ci
fu chi riuscì a tenere indosso la maschera, ma senza benefici, se non quelli di
rallentare il momento della morte; i più, invece, se la tolsero, emettendo
gemiti gorgoglianti, mentre i polmoni si corrodevano, facendo traboccare quel
sangue che avrebbe dovuto ossigenarsi e che invece dilagava nel corpo come un
torrente in piena. Qualcuno cercò di fuggire, scalando invano il bordo ripido
della trincea e le sue mani si rattrappirono nel disperato tentativo di
aggrapparsi alle travi di rinforzo.
Il
tenente, contorcendosi come se fosse avvolto dalle fiamme, prima di chiudere definitivamente gli
occhi riuscì a scorgere il capitano che, con uno sforzo immane, si tirava un
colpo di pistola alla tempia, unico rimedio per porre rapidamente fine al
tormento.
H.
02.45
Quattro
compagnie di fanti della prima linea giacevano ormai esanimi: non un solo
superstite, non un ferito anche grave, ma unicamente una lunga fila di morti.
Ciò
nonostante cominciarono a esplodere sulle trincee i proiettili di piccolo e
medio calibro delle artiglierie di appoggio, inframmezzati dal boato devastante
dei grossi zaini di bombarda.
Quest'azione
non durò più di una decina di minuti, poi nella valle ritornò il silenzio e il
nemico cominciò a muovere.
H.
02.55
Ombre
scure si avvicinarono guardinghe alle nostre trincee, soldati dalla divisa
azzurra e dagli stivali neri, protetti da grosse maschere che ricoprivano
completamente il capo fino alle spalle.
Scivolarono
sotto quello che restava dei cavalli di frisia, lanciarono per sicurezza qualche granata, poi
oltrepassarono, saltandola, la nostra trincea di prima linea, tranne alcuni
lasciati a ispezionarla per sicurezza.
Le
nostre artiglierie di rincalzo tacevano; le bocche da fuoco fissavano inerti il
fronte nemico, mentre ai loro piedi, accanto alle cataste di proiettili,
dormivano per sempre i loro serventi.
La
stessa sorte era toccata alle batterie incavernate,
dove era stato sufficiente un solo proiettile ben piazzato per fare scempio di
tutti i soldati, alcuni dei quali, in preda ai dolori più atroci e alla
disperazione, non avevano esitato a saltare nel vuoto, sfracellandosi sulle
rocce sottostanti.
H.
11,30
-
Herr General, un risultato
superiore alle più rosee aspettative. Ieri a quest'ora temevano queste difese e
ora, che il gas si è disperso, stiamo passeggiando sulla loro prima linea, su quella trincea
che ci sembrava insormontabile. E aggiungo che abbiamo avuto delle perdite
irrisorie, mentre il nemico è stato massacrato e i superstiti volgono in fuga
disordinata verso la pianura veneta, incalzati dalle nostre valorose truppe.
-
Questo è un giorno solenne per il nostro impero; dopo undici battaglie
sull'Isonzo, con le quali abbiamo contenuto la spinta offensiva degli italiani,
è finalmente giunta l'ora del riscatto.
-E
che giorno!
-
Dovrei essere felice, ma non lo sono; è come se questa vittoria non mi
appartenesse, come se fosse stata ottenuta a tavolino e non dopo una dura,
cruenta battaglia. Vede, colonnello Litmann, sono le
nostre truppe che avanzano, ma non sono loro che hanno sconfitto il nemico. Non
è più tempo di battaglie cavalleresche, di spade contro spade, di corpo a corpo furibondi; siamo nell'epoca della
tecnologia della morte e se noi ora camminiamo in questa trincea del nemico è
merito solo di questo nuovo gas che hanno inventato i nostri alleati germanici:
la croce azzurra o acido cianidrico.
Li
vede come sono morti: soffocati dal loro stesso sangue e non in un
combattimento fra uomini.
Temo
che un giorno si inventerà qualche cosa di ancor più orribile che annienterà
ogni forma di vita senza possibilità di scampo.
-
E' il progresso, Herr General.
-
Sì, il progresso. Il fine giustifica i mezzi, vero? E così la cavalleria,
l'arma per eccellenza, la più nobile, è destinata a scomparire e tutto poco a
poco si risolverà in un massacro senza che nemmeno i contendenti si possano
vedere, proprio come questa notte.
-
L'importante è la vittoria.
-
Vero, ma non riesco a concepire anche il più grande dei successi senza gloria.
Il
cielo era sempre imbronciato e l'umido autunno contribuiva a rendere ancora più
triste lo scenario di morte nella conca.
Il
vecchio generale si accese un sigaro, guardò per un'ultima volta la desolazione
che lo circondava, poi si incamminò sul percorso scosceso e devastato, mentre
truppe di rincalzo gli passavano a fianco, gridando entusiaste – Zum
Caporetto!.