Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Narrativa generica  Noir  Storie di paese Prima Serie  I racconti del nonno  Fiabe  Horror  Storie di paese Seconda Serie  C'era una volta  Racconti di Natale 

  Racconti  »  Narrativa generica  »  La croce azzurra 10/04/2006
 

Conca di Plezo – 24 ottobre 1917

 

H. 01,00 antimeridiane

 

- Che trincea di merda! Come fai un passo ti impantani subito; mica come quei signori della seconda linea, al caldo e al sicuro dentro le loro fortificazioni di cemento armato. Ci sarà un motivo, però, se lei mi ha svegliato, visto che c'è una calma assoluta. Sputi il rospo, tenente.

- Ha detto bene lei, capitano. C'è una calma assoluta da almeno dodici ore e francamente non ricordo una cosa simile in tre anni che sono al fronte.

- Qualche ipotesi?

- Per me quelli stanno preparando un attacco e quando sorgerà il sole cominceranno a martellarci con tutti i calibri.

- Può essere, ma non ho ricevuto avvisi dal comando e quindi è inutile fare congetture. La invito, però, a raddoppiare i turni di guardia, perché le due trincee in alcuni punti non distano più di una sessantina di metri e un colpo di mano è sempre nell'aria.

- Sarà fatto. Mi scusi se l'ho disturbata.

- Non si preoccupi, perché ha fatto più che bene e poi, francamente, non riuscivo a dormire, con tutti quei ratti che continuano ad andare su è giù per il ricovero. Pensi che una notte mi sono svegliato di colpo perchè ce n'era uno che razzolava sul cuscino!

- Per non parlare delle pulci che ci tormentano 24 ore su 24: sono peggio di una quinta colonna.

- E' la guerra, dove non si distinguono più gli uomini dalle bestie. Ora comunque mi ritiro e mi raccomando di tenere gli occhi bene aperti.

- Buona notte, signor capitano.

Il tenente passò la consegna alle vedette e cercò di indovinare nel buio di una notte senza luna i confini di quella stretta valle, un vero e proprio corridoio in cui un esercito teoricamente non sarebbe potuto passare, e in effetti quel terreno non era stato teatro di vere e proprie battaglie, ma al più di brevi scaramucce, azioni di disturbo senza speranza di risultati.

 

H. 02.00

 

Il silenzio della notte fu lacerato dal rombo simultaneo di migliaia di bocche da fuoco. L'impressione era che tutto il fronte si fosse risvegliato all'improvviso.

Il capitano corse subito, insieme al tenente, al posto di osservazione: l'orizzonte si era illuminato come se l'alba avesse anticipato il suo orario.

- Non capisco una cosa, tenente: il tiro dei cannoni è lungo, diretto alla nostra seconda linea e sembra che usino piccoli calibri, giacché le esplosioni ci arrivano come soffocate.

- E noi niente, nemmeno un colpo.

- Mi sembra di vedere davanti a noi della nebbia, che prima non c'era, e quel che è peggio viene verso le nostre trincee, sospinta da un po' di vento. Un po' di vento…la nebbia, ma non è possibile che ci sia questo fenomeno atmosferico e ora che è più vicina mi sembra tanto strana, con quel colore quasi azzurro…Gas, è gas! Mettere tutti le maschere!

E ognuno indossò quella specie di bardatura  che lo faceva sembrare un essere mostruoso e che filtrava  talmente l'aria che si riusciva a inspirarne ben poca.

- Ecco cosa preparavano, tenente. Ma adesso li sistemiamo noi; per precauzione faccia sparare alle mitragliatrici una raffica in quella nebbia ogni cinque secondi e comunichi al comando di preparare il tiro di controbatteria.

Si mise quindi la maschera e attese la nube che, come una serpe malefica, strisciava sul terreno, si infilava nelle buche scavate dalle granate, risaliva gli avvallamenti e si avvicinava silenziosa alla trincea.

Quando arrivò al punto di vedetta avanzato la sentinella si strappò la maschera, si dibatté come avvinta  da un mostro e poi cadde in avanti rantolando. Non passarono che una decina di secondi e comparve sul bordo della trincea, lasciandosi cadere all'interno e avvolgendo tutto e tutti.

Ci fu chi riuscì a tenere indosso la maschera, ma senza benefici, se non quelli di rallentare il momento della morte; i più, invece, se la tolsero, emettendo gemiti gorgoglianti, mentre i polmoni si corrodevano, facendo traboccare quel sangue che avrebbe dovuto ossigenarsi e che invece dilagava nel corpo come un torrente in piena. Qualcuno cercò di fuggire, scalando invano il bordo ripido della trincea e le sue mani si rattrappirono nel disperato tentativo di aggrapparsi alle travi di rinforzo.

Il tenente, contorcendosi come se fosse avvolto dalle fiamme,  prima di chiudere definitivamente gli occhi riuscì a scorgere il capitano che, con uno sforzo immane, si tirava un colpo di pistola alla tempia, unico rimedio per porre rapidamente fine al tormento.

 

H. 02.45

 

Quattro compagnie di fanti della prima linea giacevano ormai esanimi: non un solo superstite, non un ferito anche grave, ma unicamente una lunga fila di morti.

Ciò nonostante cominciarono a esplodere sulle trincee i proiettili di piccolo e medio calibro delle artiglierie di appoggio, inframmezzati dal boato devastante dei grossi zaini di bombarda.

Quest'azione non durò più di una decina di minuti, poi nella valle ritornò il silenzio e il nemico cominciò a muovere.

 

H. 02.55

 

Ombre scure si avvicinarono guardinghe alle nostre trincee, soldati dalla divisa azzurra e dagli stivali neri, protetti da grosse maschere che ricoprivano completamente il capo fino alle spalle.

Scivolarono sotto quello che restava dei cavalli di frisia, lanciarono per sicurezza qualche granata, poi oltrepassarono, saltandola, la nostra trincea di prima linea, tranne alcuni lasciati a ispezionarla per sicurezza.

Le nostre artiglierie di rincalzo tacevano; le bocche da fuoco fissavano inerti il fronte nemico, mentre ai loro piedi, accanto alle cataste di proiettili, dormivano per sempre i loro serventi.

La stessa sorte era toccata alle batterie incavernate, dove era stato sufficiente un solo proiettile ben piazzato per fare scempio di tutti i soldati, alcuni dei quali, in preda ai dolori più atroci e alla disperazione, non avevano esitato a saltare nel vuoto, sfracellandosi sulle rocce sottostanti.

 

 

H. 11,30

 

- Herr General, un risultato superiore alle più rosee aspettative. Ieri a quest'ora temevano queste difese e ora, che il gas si è disperso, stiamo passeggiando sulla loro prima linea,  su quella trincea che ci sembrava insormontabile. E aggiungo che abbiamo avuto delle perdite irrisorie, mentre il nemico è stato massacrato e i superstiti volgono in fuga disordinata verso la pianura veneta, incalzati dalle nostre valorose truppe.

- Questo è un giorno solenne per il nostro impero; dopo undici battaglie sull'Isonzo, con le quali abbiamo contenuto la spinta offensiva degli italiani, è finalmente giunta l'ora del riscatto.

-E che giorno!

- Dovrei essere felice, ma non lo sono; è come se questa vittoria non mi appartenesse, come se fosse stata ottenuta a tavolino e non dopo una dura, cruenta battaglia. Vede, colonnello Litmann, sono le nostre truppe che avanzano, ma non sono loro che hanno sconfitto il nemico. Non è più tempo di battaglie cavalleresche, di spade contro spade, di corpo a corpo furibondi; siamo nell'epoca della tecnologia della morte e se noi ora camminiamo in questa trincea del nemico è merito solo di questo nuovo gas che hanno inventato i nostri alleati germanici: la croce azzurra o acido cianidrico.

Li vede come sono morti: soffocati dal loro stesso sangue e non in un combattimento fra uomini.

Temo che un giorno si inventerà qualche cosa di ancor più orribile che annienterà ogni forma di vita senza possibilità di scampo.

- E' il progresso, Herr General.

- Sì, il progresso. Il fine giustifica i mezzi, vero? E così la cavalleria, l'arma per eccellenza, la più nobile, è destinata a scomparire e tutto poco a poco si risolverà in un massacro senza che nemmeno i contendenti si possano vedere, proprio come questa notte.

- L'importante è la vittoria.

- Vero, ma non riesco a concepire anche il più grande dei successi senza gloria.

Il cielo era sempre imbronciato e l'umido autunno contribuiva a rendere ancora più triste lo scenario di morte nella conca.

Il vecchio generale si accese un sigaro, guardò per un'ultima volta la desolazione che lo circondava, poi si incamminò sul percorso scosceso e devastato, mentre truppe di rincalzo gli passavano a fianco, gridando entusiaste – Zum  Caporetto!.    

 

    

      

 

 

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014030926 »