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  Racconti  »  Narrativa generica  »  Il rimedio 18/10/2008
 

                        Il rimedio

                      di Renzo Montagnoli

 

Non c'è rimedio, stanco mi trascino lungo una vita che sempre più mi allontana. Il tempo passa e nulla cambia, nulla di quanto speravo.

 

 

E' l'alba di un giorno livido d'inverno, d'un grigio che sembra voler spegnere anche la debole luce del sole. I soliti rumori di una città che si risveglia, auto che vengono messe in moto, luci che si accendono, insomma una giornata come le solite, con i bimbi che vanno a scuola e i pendolari che assonnati e incupiti ciondolano nel metrò.

Qualcuno parla, soprattutto di calcio, della partita della sera prima, altri leggono i quotidiani o fingono di leggerli, assorti nelle abitudini di una vita sempre ripetuta.

 

 

Com'è possibile che gli altri non si accorgano del tempo che passa, che non facciano nulla per rimediare alla vita insulsa che si conduce senza il piacere di esistere?

 

 

L'altoparlante della vettura ogni tanto scandisce le stazioni e allora alcuni si preparano accanto all'uscita e quando il treno ferma scendono rapidamente, contrastando la fiumana di quelli che salgono.

E' una varia umanità, confusa in se stessa, anonima e rassegnata. Oggi il lavoro, quando c'è, questa sera lo stesso percorso per tornare a casa, la cena con i precotti, poi il divano a guardare uno spettacolo televisivo di cui non si serberà ricordo, e quindi a letto, perché anche domani ci si deve alzare presto per arrivare in orario in fabbrica, per avvitare i bulloni, per ingrassare gli snodi, per arricchire i padroni.

 

 

Sono talmente anonimo che non mi conosco.

 

 

Sì, i padroni, loro sono fortunati, perché arrivano in ditta con il Mercedes, appena entrati in ufficio sono viziati dalle segretarie con il caffè e con i giornali, tutti pendono dalle loro labbra.

Si sentono degli dei, capiscono che i cosiddetti dipendenti sono la versione moderna degli schiavi.

Di sé dicono che vivono solo per il lavoro ed è certamente vero, anche lì una vita ripetitiva, magari con qualche trasgressione che presto finisce con il venire a noia.

 

Al mondo c'è chi comanda e chi obbedisce, ma tutti sono schiavi di se stessi.  

 

Più che mezzi di trasporto questi sono treni che conducono ai lager e anche là c'era scritto che il lavoro rendeva liberi, ma non era vero, così come non è vero che il denaro, compenso del lavoro, renda liberi.

Guarda il caso del rag. Novanta, sempre vestito di blu, impeccabile, con la stilografica d'oro infilata nel taschino, ecco lo si direbbe un uomo felice, con una bella casa, una moglie fedele e due figli belli e di sicuro avvenire.

Ha una ditta che produce cuscinetti a sfere e, da quanto si dice, va che è una meraviglia.

Eppure…

 

 

Non ce la faccio più ad andare avanti, casa e ufficio, ufficio e casa, non sogno più, non ho un ieri, né un oggi e neppure un domani, tanto sono tutti uguali. 

 

 

Dicevamo del rag. Novanta che è insoddisfatto, che si è fatto un'amante, che fa dei giochetti con la Rina, la sua giovane segretaria, ma che non ritrae più piacere.

Allora ha provato con la cocaina, poi si è dato all'extasi e infine si è dato la morte.

Sì, perché quella frenata brusca, i viaggiatori sballottati, gli abbracci indesiderati per non cadere, sono dovuti a un uomo che all'improvviso alla stazione Duomo si è lanciato in mezzo ai binari.

Nella borsa, che da sempre l'accompagnava e che prima del gesto ha lasciato cadere sul marciapiedi, c'era un foglio, una lettera, poche frasi, incompiuta e non firmata che sto leggendo. Quell'intercalare di quanto ho scritto fino a ora sono il contenuto del suo ultimo messaggio, quasi un epitaffio.

I passeggeri bestemmiano, urlano perché arrivano in ritardo al lavoro, ma per rimuovere il corpo occorre la presenza del medico legale e del procuratore. Dei due io sono l'uomo di legge e attendo che arrivi questo medico del cazzo per andare in ufficio, anzi ci stavo andando, ma quel disgraziato, anonimo e deluso, ha voluto un attimo di notorietà.

Lo conoscevo? No, assolutamente no, ma ho immaginato la sua vita, perché sono tutte uguali le esistenze, magari su piani diversi, con portafogli più o meno gonfi, ma con sempre presente l'incapacità di cambiarla.

Ora è là, sotto un telo, conciato male, nient'altro che un nome e due date.  

 

 
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