Una
giornata molto particolare
di
Renzo Montagnoli
Un'estate così sarebbe stata da ricordare negli anni a venire.
Giorni e giorni di un sole che bruciava, notti torride
imperversano da almeno un mese e i loro effetti cominciavano ad avvertirsi
chiaramente. A parte la gente che si trascinava al lavoro sotto la canicola, i
decessi per disidratazione
o per colpi di sole, erano sempre più frequenti i casi di
qualcuno che usciva di testa. Non passava giorno senza che sul giornale si
leggesse di un integerrimo cittadino trovato a girare nudo per la città,
declamando La
Gerusalemme liberata, oppure di una suora impazzita che spergiurava
di avere avuto un colloquio a tre con Dio e il Maligno. E questi erano i casi
più inoffensivi, perché non era raro che qualcuno, sceso in strada con un
coltello in mano con cui stava affettando il salame, si mettesse a menar
fendenti a destra e a manca, per non parlare dell'episodio del marito tradito
che, per vendetta nei confronti dei maschi, si era messo a fare collezione di
testicoli altrui.
Anche nei luoghi in cui si decidevano le sorti del paese non era
meglio, anzi le cose erano peggiorate, tanto da far pensare che dei matti erano
impazziti, con il presidente del consiglio che, fra il proclama di essere il
migliore di tutti i tempi e la promessa che, grazie a lui, sarebbero state
guarite tutte le malattie di questo mondo, con tono serio dichiarava che il
105% della popolazione approvava il suo operato.
In questo contesto non era difficile prevedere che quell'estate
prima o poi sarebbe scoppiata in qualche cosa di imprevedibile ed eclatante, ma
se su questo assunto c'era un concorde giudizio, sul quando e sul come nessuno
si sentiva di azzardare previsioni.
I giorni passavano, il caldo aumentava, le colonnine di mercurio
scoppiavano.
Il 31 luglio, giornata più torrida della precedente già dall'alba,
il notaio Girolamo Sbrogliacarte uscì dalla sua abitazione per recarsi allo studio, distante non
più di cinquecento metri. Era anziano, ormai ottuagenario, ma, come sua
abitudine, usava il mezzo primitivo, cioè i suoi piedi, per fare una
passeggiatina, come soleva dire, anche se 34 gradi già alle 7 del mattino la
rendevano ben più faticosa di un'escursione.
Il moto fa bene – aveva detto alla moglie che gli comandava di non
andare in ufficio o comunque di ricorrere a un taxi.
Sarà un po' faticoso, ma si muovono i muscoli, i nervi si tendono,
le vene varicose ne hanno un beneficio – aggiunse.
In verità quei 500
metri, o qualcosina di più, gli consentivano di passare
dal bar a bersi un caffè fatto come Dio comanda, a fumarsi quella rilassante
sigaretta assolutamente proibita da sua moglie e da Linuccia, una cariatide da 120 Kg., sua assistente
nello studio e che di fatto se n'era impossessata, a
comprare il giornale da quel simpaticone dell'edicolante e a parlare con lui
dei titoli di testa, a conversare con tante altre persone che iniziavano, anche
loro, ad animare la giornata della piccola cittadina.
Il problema suo era che gli mancava un po' di libertà; in casa, la
moglie gli aveva sempre comandato, trattandolo anche con disprezzo e non era
certo meglio l'atmosfera dell'ufficio, con quella Linuccia che non solo mancava
di rispetto appena possibile, ma che addirittura, con il passare degli
anni, era diventata quasi una seconda moglie, del tutto simile alla sua.
Come fu fuori di casa trovò, come sempre, l'avvocato Armentano
che, stranamente, andava di fretta. Dico stranamente perché era conosciuto per
la congenita letargia delle pratiche trattate, cause che si trascinavano da
decenni, in cui gli attori e i convenuti mutavano inevitabilmente per
successione.
- Buongiorno, avvocato.
- Buongiorno a lei notaio.
- Come ha trascorso la notte?
- Non bene, ma mi deve scusare, perché vado di fretta e sono
costretto a non fermarmi.
- Di fretta, avvocato? Come mai?
- E' una di quelle cause avviate dai nonni e ora con mandanti i
nipoti, e sembra che si possa concludere alla svelta.
- Ebbene?
- Ebbene, ci devo mettere tutto il mio ingegno, senza farmi aiutare
da quegli scansafatiche dei giovani di studio. Sa, come si dice, chi fa da sé
fa per tre.
Boom!
In un attimo il notaio di trovò di fronte
tre avvocati Armentano, uguali come gocce d'acqua, che si allontanavano
velocemente salutandolo in coro.
Sbrogliacarte rimase a bocca aperta, poi si passò una mano sulla
fronte, che scottava.
- Questo caldo fa venire anche le visioni – sbottò, poi prosegui,
ma fatti nemmeno pochi metri s'imbatté nella delizia di ogni giorno, la dottoressa Anna Dejure,
magistrato del locale tribunale. Alta, ben tornita, due seni da urlo, questa sì
che faceva impazzire.
- Buona giornata, signor giudice.
- Buona giornata a lei.
- Fa jogging anche con questo caldo?
- Sì, la forma prima di tutto, e poi quest'ora di corsa mi rilassa
e mi aiuta a giudicare meglio.
- Ha ragione.
- Le posso chiedere un favore?
- Dica.
- Può inventarsi un appuntamento con me per oggi nel pomeriggio?
Benché avanti con gli anni, Sbrogliacarte inizio
a sbavare, con gli occhi fissi sul ballonzolamento dei seni (il giudice
continuava a saltellare su due piedi) e sospirò:- A che proposito?
- Nessuno, ma devo liberarmi del Dottor Pisano, il presidente del
tribunale che, con la scusa di una sistemazione delle udienze e a conoscenza
del fatto che non ci sarà mio marito, vuole avermi con sé nel pomeriggio per
farmi delle proposte che anche lei penso possa immaginare.
- Non c'è problema, ma che devo fare? – ansimò.
- Questa mattina gli fa una telefonata, dice che ha provato a
cercarmi, ma non mi ha trovato, poi lo prega di avvisarmi che l'importante
appuntamento nel suo studio di domani è anticipato a
oggi nel pomeriggio.
- Va bene, ma lei poi verrà al mio studio?
- Certo che no, ho altri impegni.
Sbrogliacarte fece un sorrisetto di circostanza, poi, di
malavoglia, assicurò che avrebbe provveduto in merito.
- Grazie, notaio, lei è sempre gentile. Non sa il piacere che mi
ha fatto, perché sa, come si dice, è meglio un morto in casa che un Pisano
all'uscio.
Boom!
Squillò il telefonino del giudice, lei accostò l'orecchio e
impallidì, poi il suo volto assunse un'espressione d'angoscia.
- Che è successo?
- Devo correre a casa, è morto mio marito!
Rimase basito e la guardò correre verso casa il più velocemente
possibile.
Come imbambolato riprese il cammino e quasi nemmeno s'accorse del
parroco che lo sorpassò. Notò solo le chiappe che dondolavano, belle tornite,
d'un bianco latteo rispetto al resto del corpo, nudo come mamma l'aveva fatto.
Era il momento del giornale, quello più atteso, con l'edicolante, Matteo Stampa, già
sessantottino, poi della gioventù comunista, approdato con rammarico al Partito
Democratico.
- Buongiorno, notaio. Ha sentito la notizia?
- Quale notizia.
- Il nostro segretario ha detto che quello che sta al governo,
quello che comanda tutti deve andarsene. Lei che dice?
- Dico che finalmente l'opposizione fa l'opposizione.
- Parole sante, soprattutto perché dette da un borghese come lei.
Mi piace il nostro segretario, uomo deciso, che dice pane al pane e vino al
vino. Era ora che ci fosse una dichiarazione del genere e ora, a quello, gliela
faremo vedere noi!
- Vedremo.
- Vedremo? Il nostro ha fatto il passo, dicendo quello che vado
predicando da tempo: bisogna prendere il toro per le corna!
L'edicola, un chiosco in ghisa, ebbe come dei sussulti, come se
fosse sbattuta di qua e di là.
Sbrogliacarte alzò gli occhi dalla prima pagina del suo
quotidiano, già immaginando quello che avrebbe visto e così fu.
Matteo Stampa si affannava, con uno sforzo sovrumano, a resistere a un
magnifico toro Miura che teneva per le corna. La bestia, ma che dico, il
mostro, sbuffava, scalciava, con gli occhi iniettati di sangue.
Il notaio si allontanò il più velocemente possibile, percependo
con la coda dell'occhio che l'edicola, divelta dalle sue fondamenta, veniva
sbattuta in aria.
Un caffè, ecco quello che ci voleva, un caffè forte e quindi si
precipitò al bar.
- Un caffè, Marianna.
- Che fretta, Notaio, non ha caldo?
- Sì, sì ho caldo, ma bramavo il tuo caffè.
- Un attimo e lo faccio. A proposito, ha saputo di quel che è
successo alla signora Lidia?
- Lidia?
- Sì, quella mezz'età ancora fascinosa e con la faccia da troia.
- Ho capito, ma cos'è accaduto?
- Lei, che lo ha sempre tradito con il primo paio di pantaloni che
incontrava, lo ha trovato a letto con la Rosa.
- Chi ha trovato a letto?
- Ma Ernesto, il marito!
Sbrogliacarte prese la notizia con beneficio di ampio e accurato
inventario, perché Marianna, la lingua lunga del quartiere, ne raccontava di
vere due e di false dieci.
- Ernesto con la Rosa? Lui ha una quarantina d'anni e lei ne ha
ottanta!
- Beh, che c'è, al cuor non si comanda.
- Certo che deve avere un bello stomaco.
- Eh, caro notaio, la Rosa non sarà un fiore, ma è una esperta e certi uomini desiderano cose inconfessabili.
- Spero almeno che l'abbia fatto a luce spenta, ma mi sembra
talmente impossibile, che stento a credere.
- Notaio, la qui presente Marianna non racconta balle. Che mi
prenda un fulmine, se ho mentito.
- Noooooooooooo!
Boom.
Una volta ripresosi dall'abbagliamento di quella luce accecante,
cercò invano Marianna, ma oltre il banco non trovò che
un mucchietto di carne carbonizzata.
Niente caffè, una giornata jellata.
Riprese il cammino e per fortuna fino a quasi nei pressi dello
studio non incontrò nessuno, a parte uno scalmanato che gettava mobili dal
balcone, un altro che da dietro a una finestra sparava sui passanti dell'altro
marciapiede e un'automobilista che si sforzava di parcheggiare dentro un cassonetto
delle immondizie.
- Caro Girolamo!
La voce si materializzò con il possessore.
Sbrogliacarte guardò l'uomo che gli si trovava davanti, ma per
quanti sforzi facesse non gli ricordava nessuno.
- Terza elementare, secondo banco da sinistra.
- Non ricordo.
- Non ricordi? Ma se ti rubavo sempre le merendine.
Ci fu una prima schiarita nelle nubi mentali del notaio.
- Figlio di un cane, allora eri tu il ladro.
- Ragazzate, bambinate, e poi è passato tanto tempo.
- Sì, ora mi viene in mente, ma non ricordo il nome.
- Antonio, Antonio Gazza.
- Ma certo, Antonio, l'Arsenio Lupin delle merendine.
- Ti piace sempre scherzare, noto.
- La butto in ridere, ma tu non puoi sapere quanto mi sono mancate
le merendine. Beh, come stai e come ti va?
- Sto bene e mi va liscia come l'olio, ho fatto carriera.
- Non rubi più le merendine, allora; mi chiedo il perché sottrarre
a un altro bambino la sua colazione, visto che tu avevi la tua.
- Sai, Girolamo, come si dice l'occasione rende l'uomo ladro.
- Nooooooooo!
Non accadde nulla, però.
- No? Prendi i nostri politici, che non si accontentano delle
occasioni che si presentano ma che le creano.
- Vero.
- Girolamo, ora devo andare, ma ti assicuro che ci ritroveremo.
Ciao.
- Ciao.
Strano, ma non era successo nulla, proprio nulla. Guardò l'amico
ritrovato allontanarsi, poi riprese la strada verso lo studio.
Erano accadute cose strane, che lo avevano turbato, ma ora si
sentiva calmo e leggero. Leggero? Un po' troppo leggero e la
sua mano corse frenetica alla tasca interna della giacca dove teneva il
portafoglio, senza tuttavia trovarlo.
Antonio, hai fatto
veramente carriera, dalle merendine ai portafogli – disse fra sé.
Un ordine imperioso lo fece trasalire.
- Presto, che è tardi – il bombolone da 120 Kg. stava sulla porta dello
studio, lo sguardo torvo, agitando una mano come se tenesse il frustino.
- C'è da fare, al lavoro, pelandrone.
Sbrogliacarte pensò alla sua vita, fra l'incudine (il bombolone) e
il martello (sua moglie): ordini su ordini, nessuna libertà, prospettive zero.
Gli venne l'idea, ben sapendo quello che faceva e con sollievo
urlò: - No! Basta, vecchia balena!
Lei lo guardò stupita, mentre lui la fissava ripetendo mentalmente
Fa che lo dica, fa che lo dica…
Il bombolone sbottò in una risata, esclamando: - Ma che ti prende?
Non ti ho mai visto così, cacasotto; sei sempre stato a testa china e ti
ribelli ora che sei decrepito? Io lo so
che cosa ti è capitato, anzi ne sono sicura, ti è venuto l'alzheimer. Certo, l'alzheimer,
e magari già ti pisci addosso.
Lui non rispondeva, in ansia attendeva quella frase, si limitò
solo a riderle in faccia.
- Ridi, che hai da ridere? Sei proprio diventato scemo e se non è così che
mi venga un accidente!
Fu un attimo e il bombolone rovinò a terra, con un gran
sconquasso, sollevando un polverone.
Sbrogliacarte tirò un sospiro di sollievo, perché dopo una vita da
sottomesso quello era il suo giorno fortunato e doveva approfittarne. Non
restava che lei, quell'arpia di sua moglie, ma adesso l'avrebbe sistemata. Si
avviò veloce verso casa, con il sudore che colava a rivoli, e poi a ruscelli, e
poi a veri e propri fiumi che lo inzuppavano tutto.
Quella frase, quella pronunciata dal bombolone doveva uscire anche
dalle labbra della sua acida metà.
Gliela avrebbe tirata fuori, rinfacciandole tutta una vita di tormenti,
di ordini, di piatti lavati, di pulizie effettuate in casa, ah sì non avrebbe
potuto non reagire a quello che le avrebbe detto.
Giunse infine davanti alla porta, suonò.
Nulla, nessun rumore, nemmeno la sua voce sguaiata, suonò di
nuovo, stesso risultato. Allora prese la chiave, l'infilò tremando nella toppa
ed aprì. Il corridoio era buio, come tutta la casa, con ancora le serrande
abbassate. Cominciò a preoccuparsi, andò in ogni camera e fu nel bagno che la
trovò, riversa sul pavimento, gli occhi sbarrati, ormai esanime
da ore.
Si mise a ridere, alzò le braccia al cielo e s'inginocchiò a
ringraziare il Dio dei reietti.
Restò così, ancora incredulo, poi si rialzò e ritornò in bagno.
Sì, non c'era ombra di dubbio, l'arpia era proprio morta.
Gli occhi sbarrati fissavano il vuoto e anche lui provò a seguirne
il percorso: il lavandino, le mattonelle verdastre, la doccia. Non avrebbe
più gridato, né lo avrebbe obbligato a pulire i pavimenti, insomma era
finalmente libero.
Si spogliò lentamente, poi si accoccolò nella doccia, a godere
della frescura dell'acqua che scivolava sulla sua pelle.
- Libero! - gridò.
- Libero! – ripeté più volte.
Uscì dal piatto e vide riflessa nello specchio l'immagine di un
vecchio cadente, con la pelle raggrinzita, le spalle piegate, il pene floscio.
- Libero, ma di far che? – si domandò.
Una vita prossima futura in completa solitudine, in attesa
dell'ultimo passo e cominciò a rimpiangere le sgridate del bombolone, gli
ordini secchi e perentori della moglie.
La vendetta ha sempre un amaro sapore ed era quello che sentiva
nella sua bocca, mentre dallo stomaco saliva come una serpe il rimorso.
Si accorse che se ripensava alla sua vita questa era stata solo un
susseguirsi di sconfitte, dalla professione ereditata dal padre e che aveva
svolto di malavoglia, a quel matrimonio combinato che lo aveva reso schiavo
della moglie.
E ora che aveva finalmente ottenuto una vittoria, si accorgeva che
in pratica era una sconfitta, che i vinti, anzi le vinte, nel lasciarlo solo lo
avevano messo di fronte alla realtà di un fallimento totale e insanabile.
Non c'era più tempo per ricominciare, tutti i giochi sul tavolo
della roulette erano fatti e la pallina del destino, che girava vorticosa, si
sarebbe fermata su un numero che non sarebbe mai stato il suo, su decisioni che
non aveva mai preso e che non aveva mai voluto prendere, a meno che…
Gli si abbozzò sul volto un ghigno ironico, prese
fiato e poi gridò con tutte le sue forze - Che mi venga un accidente!
All'improvviso balenò negli occhi un sorriso di sollievo, questione di attimi,
di impercettibili istanti, mentre intorno a lui si spegneva ogni luce.