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  Racconti  »  Storie di paese Prima Serie  »  L'uomo dei treni 03/02/2006
 

- Quando sono partito questa mattina era già là e quando sono ritornato l'ho ritrovato seduto sulla panchina di ferro sgangherata, incurante dell'umidità e del freddo. Così da più di due mesi, da quando gli è morta la moglie.

Il Guercio si grattò il mento e poi si rivolse al suo interlocutore che, per lavoro, andava ogni giorno in città utilizzando il treno – E tu non gli hai mai chiesto perché sta lì?

- Sì, un paio di volte e mi ha sempre risposto che aspetta, solo non si sa che cosa. Guercio, quello è vecchio, con la morte della moglie è andato giù di testa. Se non si fa qualche cosa, va a finire che si ammala.

- Va bene, vedrò di parlargli.

Il giorno dopo il Guercio fece un salto in stazione, si guardò intorno e vide il vecchio seduto sull'unica panchina; gli si avvicinò e gli chiese – Signor Testa, aspetta il treno?

- Sì, ma come al solito è in ritardo.

- Beh, non si può aver tutto; fino a qualche hanno fa non c'era nemmeno un treno, per colpa della guerra, la linea era distrutta e ora lentamente si sta ricostruendo e i convogli ricominciano a passare, anche se non hanno un orario fisso. Deve andare in città,  per caso?

- No, aspetto il treno fino a quando lui non scenderà e mi correrà incontro per abbracciarmi.

- Scusi, lui chi?

. Franco, mio figlio, disperso in Russia. Che vuol dire disperso? Che non lo trovano e che quindi magari è in un campo di concentramento, dove soffre le pene dell'inferno e nemmeno sa che la sua mamma è morta.

Il Guercio avvertì un improvviso imbarazzo, un senso di inquietitudine per l'atteggiamento rassegnato, ma ancora con un filo di speranza, di quel povero vecchio, rimasto solo e nel dubbio per la sorte del figlio.

E fece allora una cosa di cui in seguito avrebbe avuto modo di pentirsene: offrì al genitore tutta la sua disponibilità per cercare di ritrovare il disperso.

Si mise in moto subito; dapprima ne parlò al segretario provinciale del partito  che gli fece tante ampie promesse di interessamento da avere più di un ragionevole dubbio sul mantenimento delle stesse. Decise, comunque, anche per una questione di gerarchie, di attendere un po' prima di tornare alla carica, cosa che fece dopo un mesetto.

- Caro compagno, hai avuto notizie del disperso in Russia?

- Che cosa?

- Ma sì, quel caso di cui ti ho parlato una trentina di giorni fa.

- Mi sono interessato, ma sono ricerche lunghe, laboriose, e non si sa ancora nulla.

Il Guercio, sempre sospettoso, escogitò il sistema per verificare se le parole del suo capo rispondevano a verità e, accomiatandosi, così come per caso buttò lì – Che cosa devo dire allora al Sig. Festucci per le ricerche di suo figlio Carlo?

E quello, con una naturalezza impressionante, nell'accompagnarlo alla porta, pronunciò con tono solenne una frase che fece andare il sangue al cervello del Guercio – Gli devi dire che il segretario provinciale ha sempre impresso nella sua mente il nome di Carlo Festucci e che quanto prima sarà possibile dargli una risposta.

Come arrivò in strada, cominciò a tirar moccoli a tutto spiano finché, sbollita l'ira, ritrovò se stesso e la sua capacità di ragionare. Il problema era ora cosa dire al vecchio quando sarebbe sceso dal treno che lo riportava dalla città in paese.

Ci pensò continuamente durante il breve tragitto, ma senza trovare una soluzione. Quando la locomotiva si fermò sferragliando, scese a occhi bassi e guardò subito verso la panchina. Il vecchio si era alzato in piedi a guardare la gente che lasciava le vecchie carrozze di legno, ma poi, quando tutti abbandonarono il marciapiedi, ritornò a sedersi, impassibile.

Il Guercio tirò un sospiro di sollievo e lasciò velocemente la stazione, ripromettendosi però in cuor suo di tentare nell'impresa accedendo a gerarchie più elevate.

L'occasione gli si presentò all'incirca tre mesi dopo, alla festa provinciale dell'Unità; una sera era atteso come un vate addirittura il segretario generale del partito, quel Palmiro Togliatti che tanto incantava le folle di operai e contadini.

Il problema era di avvicinarlo; il Guercio sapeva che non avrebbe potuto parlargli alla presenza del segretario provinciale e allora pensò scrivergli una bella lettera in cui spiegava la questione, senza tuttavia far cenno al tentativo esperito infruttuosamente.

Meditò a lungo sulle parole, poi decise di mettere tutto nero su bianco.

“Caro compagno,

so che i tuoi impegni sono sovrumani, ma ti chiedo una cortesia, e non per me, ma per un povero padre, vedovo, che dispera di rivedere l'unico figlio disperso durante la seconda guerra mondiale nell'Unione Sovietica.

Se tu, grazie ai contatti che hai là, puoi fare ricerche, non solo io e questo sventurato padre, ma tutti i lavoratori del mio paese te ne saranno eternamente grati e il partito avrà un motivo in più per essere orgoglioso.” La lettera si chiudeva con i convenevoli e con i dati anagrafici e militari del disperso.

Quando gliela consegnò personalmente, in mezzo a un frastuono di suoni e di voci, gli tremavano le mani e fu con disappunto che vide che lui non era che uno dei tanti che aveva escogitato quel modo per comunicare con il capo del partito.

Durante il ritorno al paese si sentì vincere dall'angoscia che tutto fosse stato inutile e che quella sua lettera potesse perdersi nella miriade di quelle consegnate quella sera; quando scese dal treno si ripeté la stessa scena che aveva già osservato una volta: il vecchio che si alzava, guardava la gente che lasciava le carrozze con uno sguardo attento e poi tornava a sedersi come annichilito.

Gli andò bene anche quella sera e poté svicolare senza dover spiegare lo stato delle sue ricerche.

Dopo una decina di giorni, quando il Guercio ormai disperava che il suo messaggio fosse giunto a chi di dovere, il postino gli recapitò una lettera della segreteria generale del partito, con la quale personalmente Palmiro Togliatti prometteva il suo interessamento, aggiungendo però in calce che non avrebbe potuto garantire il risultato, stante la situazione.

Nondimeno il Guercio non poté evitare di trattenere un urlo di gioia e mise subito la lettera fra le reliquie a lui care: la foto di sua madre,  una vecchia edizione del Capitale e il diario della sua esperienza partigiana.

Fu tentato di comunicare la notizia al vecchio, ma si trattenne, memore improvvisamente di tante promesse poi non mantenute.

Passarono così i giorni, anzi i mesi e da Roma non perveniva nulla.

Il Guercio cominciò a inquietarsi, prese ad attendere ogni giorno con ansia l'arrivo del portalettere, ma fra la numerosa e varia corrispondenza che gli veniva recapitata non c'era mai la tanto sospirata lettera da Roma.

Quando aveva necessità di andare in stazione lo faceva quasi di nascosto, timoroso di una richiesta di notizie da parte del vecchio, sempre presente.

Dopo che erano passati due anni il Guercio aveva cominciato a mettersi l'animo in pace, dando un colpo di spugna alle sue ansie con le più disparate congetture, dalle quali aveva voluto forzatamente escludere la possibilità di un disinteressamento del segretario del partito.

Ogni tanto si ripeteva “l'Unione Sovietica è un paese immenso e non è facile trovare un disperso”, oppure “ Magari quello si è trovato una moglie russa, ha cambiato identità e quindi non è rintracciabile”.

Si era quasi dimenticato della questione quando questa si riaffacciò improvvisamente il 5 marzo 1953, giorno della morte di Stalin e grande lutto per il comunismo mondiale. Appresa la notizia, fu immediatamente convocato a una riunione straordinaria dei quadri del partito a Roma. Fece in fretta e furia la valigia e corse in stazione; si fermò sulla banchina in attesa del treno e fu allora che si sentì chiamare.

- Sig. Chiocchetti, è di partenza?

Si volse e vide il vecchio che reclamava la sua attenzione; si sentì quasi mancare quando si sovvenne della faccenda che proprio lui aveva avviato.

- Sì, devo correre a Roma: è morto Giuseppe Stalin.

- Pace all'anima sua.

- Sì.

- E' da un po' di tempo che volevo parlarle. Posso?

- Certamente.

- Lei si è preso la briga di avere notizie di mio figlio.

- E' vero, ma purtroppo non ho nuove da comunicarle.

- E' meglio così, anzi la prego di non dirmi mai nulla, tranne nel caso che venga a sapere che è vivo e che il suo ritorno è prossimo.

- Scusi, ma non capisco.

- Sono gli ultimi anni di vita che mi restano, solo se non con la mia illusione, unica compagnia che mi consente di tirare avanti. Sono ormai quasi sicuro che Franco non tornerà, ma ancora mi resta una piccola flebile speranza di vederlo un giorno scendere dal treno, guardarsi intorno, vedermi e poi correre da me per abbracciarmi. In un'esistenza che volge alla fine nulla può essere più crudele della verità, mentre il sogno, così lontano dalla realtà, per me è vita.

Il Guercio lo abbracciò e riuscì a stento a trattenere la commozione, indi con sollievo salì sul treno per Roma.

Trascorsero altri due anni e una sera di primavera del 1955, quando ormai l'ultimo treno era passato sferragliando, il capostazione si accorse che il vecchio era scivolato giù dalla panchina. Pensò a un incidente, a un malore, ma il medico condotto, prontamente accorso, non poté far altro che constatarne il decesso.

Il giorno dopo si svolsero i funerali e a tutt'oggi della sorte del figlio Franco non si hanno ancora notizie.    

 

 
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