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  Racconti  »  I racconti del nonno  »  Il più bel giorno della mia vita 05/04/2006
 

“Nonno, hai qualche racconto un po' allegro?”

“Sì, ne ho uno che riguarda il più bel giorno della mia vita.

 

 

Era una gelida giornata dei primi di dicembre, il giorno 6 per l'esattezza, e la guerra, la Grande Guerra era terminata da circa un mese. Poco a poco le truppe erano smobilitate e venne anche il nostro turno, la volta del ritorno degli Alpini dell'Adamello. Eravamo partiti in tanti, con promesse di libertà e di giustizia, e sulla tradotta ora salivamo in pochi, con l'animo ferito da tanto orrore, ma ancora con la speranza che qualche cosa potesse veramente cambiare nella nostra vita. Ci illudevamo che anche per noi ci sarebbe stato un po' di sole, e invece…, ma questo non fa parte del racconto di oggi.

In treno non parlavamo; le nostre menti correvano alle case lontane che avremmo presto rivisto, alle donne che ci aspettavano e che avevano patito la guerra al pari di noi. Il paesaggio scorreva davanti ai finestrini di quelle carrozze di terza classe, ma non lo scorgevamo: davanti a noi c'erano ancora le immagini delle trincee contorte, della neve insanguinata e degli amici caduti; queste ultime, che al fronte erano state accantonate, nascoste negli angoli più reconditi del cervello, ora prorompevano da quel temporaneo oblio a ricordarci che anche loro avevano permesso il nostro ritorno.

Era quasi sera quando arrivammo in stazione a Mantova e là sul marciapiedi, accanto ai binari, la folla dei nostri cari era in attesa.

Scorsi subito Marianna; provai  una sensazione indescrivibile, una gioia così intensa che ebbi paura che il cuore mi uscisse dal petto. “Dio, com'è bella” e lo dissi ad alta voce; scesi dal treno e di quei momenti ho un ricordo confuso, indescrivibile. Mi sembrò di essermi alzato in volo; le gambe si muovevano da sole, non comandate dal cervello, ed il cuore che batteva sempre più forte; non fu un abbraccio, fu l'apoteosi della passione fino allora soffocata dalla guerra. Le baciai i capelli, le guance, il naso, la bocca; intorno, benché ci fosse una moltitudine, per me c'era il vuoto assoluto: in quei momenti lì  s'incontravano, sostavano, vivevano il momento più bello della loro vita solo due persone: io e  Marianna. Le accarezzai il volto, lasciai scorrere le dita su quell'ovale perfetto, poi la fissai negli occhi e dissi solo “Eccomi di nuovo”. Lei non rispose, ma lo sguardo valeva più di mille parole: leggevi la gioia di una donna per il ritorno del suo uomo da uno scampato pericolo.

Piano piano, tenendoci per mano, ci avviammo verso casa, il che voleva dire  circa otto chilometri di scarpinata, ma non m'importava: avrebbero potuto essere anche mille e non mi sarei spaventato, perché ora con me c'era lei.

Il buio già incombeva, ma la luce delle stelle ci avrebbe guidato in quella camminata che non avrei mai voluto che dovesse finire.

Ogni tanto mi volgevo a guardarla e lei mi sorrideva: ah, la guerra ormai era sparita, dimenticata, e ora c'era finalmente la vita, per quanto di fatica, di lavoro, di povertà, ma c'era ed era quel mio piccolo mondo, io e lei; il resto non contava.

Arrivammo che era buio pesto; ancora non abitavamo insieme perché la guerra ci aveva impedito di sposarci. Accompagnai  Marianna a casa sua e prima di lasciarla “ Amore mio, che vuoi che ti dica?” “Dimmi che mi ami.” La guardai e “Ancora meglio: vuoi sposarmi?” “Sì” e ci abbracciammo, mentre le mie lacrime si mescolavano alle sue.

Mi allontanai lentamente a ritroso, quasi avessi paura che quel buio l'inghiottisse, e quando entrò in casa andai per la mia strada. Passai vicino al vecchio lavatoio, dove le donne si ritrovavano a fare il bucato ed aspirai a pieni polmoni il profumo del sapone, passai le mani sui vecchi scanni, poi le immersi nell'acqua.

La luna vi si specchiava ed io, increspando la superficie, ne mutavo i riflessi, l'immagine enigmatica che tutti conosciamo. Ecco, questa era l'aria di casa, in cui ero cresciuto e da cui forzatamente avevo dovuto allontanarmi per più di quattro anni. Mi appoggiai alla vecchia quercia e chiusi gli occhi; che ne sarebbe stato adesso della mia vita, che cosa avrei fatto? Non trovai risposte, ma l'immagine sorridente della Marianna fugò ogni incertezza sul futuro. Qualunque sarebbe stato, non avrebbe potuto che essere bello, perché io ora ero con lei.

Mi chinai a raccogliere una zolla di terra; la strinsi forte e ne uscì il profumo acre ed intenso della vita; stetti un attimo ancora a guardare il cielo stellato, che avrei voluto raccogliere fra le mie braccia per farne dono a Marianna, e poi mi avviai: a casa di certo mi attendevano in ansia.

 

 

 
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