Spending review
di Renzo Montagnoli
Chissà perché ai nostri politici piace
tanto la lingua inglese, con cui intercalano i loro vacui discorsi in modo da
renderli ancora più incomprensibili. Comprendo che a volte ci siano termini
pressoché intraducibili, ma “Revisione della spesa” è tutto sommato migliore di
questo “Spending review”,
spesso pronunciato erroneamente. Lo scopo però dell'articolo non è questa mania
degli anglicismi, bensì vedere un po' la Legge di stabilità propinataci da un Renzi che parla troppo, promette tanto e mantiene poco o
niente.
Occorre dire ci sono provvedimenti che
non possono non piacere ai destinatari, come la conferma del bonus di 80 euro, il taglio
dell'Imposta regionale sulle attività produttive, l'azzeramento dei contributi
per le assunzioni a tempo indeterminato,
i fondi per i nuovi ammortizzatori, il taglio di 5 miliardi dell'IRAP
sul lavoro. Renzi assicura che in pratica in questo
modo figurano 18 miliardi di tasse in meno e mi sforzo di crederci, e dopo si
comprenderà il perché. A parte che alcuni provvedimenti nell'ottica di
rilanciare l'economia hanno una loro validità e nel complesso la manovra può
anche sembrare atta allo scopo, tuttavia c'è un macroscopico punto debole: le coperture.
Analizziamole: 3,6 miliardi derivano dall'aumento della tassazione delle
rendite finanziarie, 3,8 dalla lotta all'evasione, 11 miliardi da un aumento
del deficit che il prossimo anno dovrebbe risultare il 2,9% del PIL, contro il
2,2% previsto, 15 miliardi, la fetta più grossa, dalla spending
review, poi per la differenza da fonti e interventi
vari; insomma la manovra vale nel complesso 36 miliardi. È un valore rilevante
e temo che non riuscirà andare in porto a pieno regime, perché la copertura
delle spese, cioè le nuove entrate per lo stato sono aleatorie; tanto per
intenderci, i 3,8 miliardi di lotta all'evasione, una quisquiglia perché una
decisa lotta all'evasione dovrebbe permettere di introitare almeno il triplo,
sono solo sulla carta, e cioè ammesso che si individuino gli evasori, che le
imposte da loro dovute si quantifichino in almeno 3,8 miliardi, ma da lì ad
incassarle ne passa di tempo, fra ricorsi e controricorsi, tanto che
statisticamente poi lo stato non riesce mai a incamerare più del 40% del
dovuto; gli 11 miliardi derivanti dall'aumento del deficit, cioè un ulteriore
indebitamento sono sì nei termini massimi fissati dall'Unione Europea del 3%
del PIL, ma occorre verificare due dati: la veridicità del debito pubblico e,
soprattutto, il prodotto interno lordo che effettivamente si raggiungerà, e
quindi anche lì non c'è certezza; resterebbero i 15 miliardi di spending review, ma che cosa si
taglia in effetti? Il grosso è dato da minori trasferimenti agli enti locali (4 miliardi alle regioni, 1,4 ai comuni, 1
alle province). E' inevitabile che ci saranno dei contraccolpi e data la
possibilità impositiva di questi enti, non è improbabile che ci toccherà
assistere a nuovi
tagli contestualmente a nuove tasse. Insomma con la manovra
si danno soldi da una parte, e se ne tolgono dall'altra, con l'aggravante che
beneficiari e vessati raramente coincideranno.
E a proposito di spending review ci sarebbero degli interventi strutturali di grande
efficacia e a costo zero, come l'accorpamento fra comuni (in Italia ci sono
troppi piccoli comuni), la riduzione delle partecipate (ben 9.000 da noi contro
nemmeno le 1.000 della pur statalista Francia), l'uniformità della spesa
sanitaria, pari ad almeno il 60% delle uscite regionali. Se con i primi due
interventi i benefici sarebbero tangibili, ma non di grande entità, con il
terzo le cose cambierebbero parecchio, perché non è possibile che ci siano
regioni in cui il costo di una comune siringa sterile è di 10 centesimi ed
altre dove invece è di un Euro; è illogico che quasi ovunque nella sanità
regionale il numero degli amministrativi sia di molto superiore a quello dei
medici e degli infermieri. Come è possibile comprendere, se si agisse in questi
comparti i risparmi sarebbero colossali e i servizi migliori, ma è evidente che
ci sono interessi contrastanti, che i costi diversi dello stesso prodotto sono
probabilmente conseguenze di tangenti e allora si ritorna all'eterno problema
della nostra nazione, e cioè la corruzione. Purtroppo, l'esperienza insegna che
corruzione e politica vanno a braccetto, e che quindi nella sostanza nulla si
fa per debellarla Occorrerebbero pene severissime, magari anche i lavori
forzati, ma già le sanzioni sulla carta sono modeste e poi, grazie
all'imperante sistema che tutela i colpevoli e non gli innocenti, da noi in
galera non va nessuno, a meno che non sia un morto di fame che ha rubato per
mangiare.