Francoforte 2014,
gli editori e i (non)lettori italiani
di
Sergio Sozi
Le
sconfortanti cifre del contesto librario italiano - come sempre puntualizzate
in occasione della importante fiera del libro tedesca - iniziano lentamente a
giungere ai padiglioni auricolari di quegli italiani ancora capaci di seguire
(capendolo) dall'inizio alla fine almeno un articolo di giornale. Ed ha parlato
di quel deprimente bilancio editoriale, fra gli altri, Il Fatto Quotidiano
online. Dicendoci che ormai si legge di piú in Portogallo, ovvero siamo i
penultimi dell'Unione Europea, prima della Grecia (dove immagino però che si
legga di meno solo perché i greci non hanno materialmente i soldi per comprare
i libri, non per libera scelta come da noi).
Insomma
quel giornale ci ha riportato il solito coro in cui all'unisono – cosa
rarissima – i nostri grandi editori si lamentano dell'ignoranza italiana. E
l'articolista si dava un'occhiata intorno notando che, mentre nella
metropolitana francofortese la gente legge libri, in Italia i passeggeri di
Milano stanno tutti come ebeti a rincoglionirsi sugli smartphone. A fine
articolo, i lettori del Fatto ne approfittavano per commentare, dicendo
che la scuola, lottizzata dagli editoroni, non fa altro che imporre agli
studenti nuove edizioni dei ''Promessi sposi'' (un crimine imporne ancora lo
studio sui banchi!) e antologie absolete, pesanti e polverose.
Questo
il succo dei commenti all'articolo apparso i primi di ottobre 2014 sul Fatto
online. Dunque, esaminare le proposte editoriali di lancio degli editoroni
visitando le pagine principali dei loro siti in rete, sarà il fine principale
di questo mio pezzo.
Prima,
però, urge una breve riflessione preliminare: se veramente gli studenti
italiani capissero a fondo il Manzoni - ergo veramente i professori sapessero
farlo amare e leggere spiegandolo come si deve a scuola, - almeno i ragazzi in
età 14-25 saprebbero mettere la punteggiatura ai posti giusti e le iniziali
maiuscole, quando scrivono qualcosa sul web o altrove. E almeno i milioni di apiranti
scrittori italiani sarebbero in grado di capire se loro stessi hanno qualcosa
di profondo da esprimere, nonché sarebbero capaci di dominare le piú elementari
tecniche narrative e regole grammaticali, prima di mettersi a scrivere e, poi,
di proporre agli editori i propri romanzi manoscritti.
Da
parte editoriale, però, qual è la richiesta? Cosa sembrano cercare i grandi
editori italiani?
Vedendo
le pagine principali dei siti di cinque grandi case editrici, non dubito che lo
capiremo a sufficienza. La ricerca è stata effettuata nei giorni 8 e 9 ottobre
2014. Fra parentesi, la tipologia del libro e la nazionalità dell'Autore.
La Einaudi, fra gli otto libri
posti in maggior evidenza, presenta un'opera ciascuno di: Corrado Augias (ITA -
narrativa), Thomas Pynchon (USA - narrativa), Luciano
Gallino (ITA - saggio), Gianrico Carofiglio
(ITA - narrativa gialla), Francesco Piccolo (ITA - attualità), Massimo Recalcati (ITA - attualità, pedagogia, didattica), Maurizio
de Giovanni (ITA - narrativa gialla), Nicola Lagioia
(ITA - narrativa noir).
Dunque dedurne quanto segue resta facile: su
questi otto libri, tre opere narrative sono storie gialle o simili, tre sono
saggi sull'attualità e soltanto due sono romanzi non di genere, quelli dello
statunitense Pynchon e dell'italiano Augias. Se Pynchon è autore strettamente letterario e letterato (oltre
che morto da decenni), Augias, invece, proviene dal mondo della televisione,
anche se di alto profilo culturale. In sintesi: su otto titoli-lancio,
Einaudi presenta solo un titolo di letteratura fuori dalle mode del momento e
dalla facilitazione promozionale rappresentata dalla notorietà in televisione.
Un titolo su otto, e neanche italiano, ma statunitense, mica mozambicano o
coreano. Il colosso torinese, dunque, rischia poco, anzi niente e punta sul
sicuro a tutto tondo, poiché anche Pynchon è nome
arcinoto, ovvero consolidato nelle vendite, in Italia. Un lato positivo: sette
firme italiane ed una traduzione dall'inglese americano. Questo va
riconosciuto.
E veniamo a Mondadori. Sei i libri.
Di: Sophie Kinsella (GB –
narrativa femminile), Paola Turci (ITA – autobiografia), Pearl S. Buck (USA – premio Nobel - narrativa), Nicholas Kulish e Souad Mekhennet (USA e GER - storia contemporanea), Adriano
Panatta e Paolo Villaggio (ITA – attualità sportiva e dello
spettacolo/autobiografia), Francesca Caferri (ITA –
saggio giornalistico).
Sarà qui interessante notare la provenienza
degli Autori: la inglese Kinsella scrive ‘'chicklit'', ossia, traducendo, letteratura da
pollastrelle vendutissima ovunque, Turci è una
affermata cantautrice, la Buck è un Premio Nobel
morta quarant'anni fa ma ha gli americani alle spalle (garanzia non da poco), Kulish e Mekhennet sono famosi
giornalisti internazionali che nel loro libro scrivono della ricerca di un
medico nazista scampato agli arresti del Dopoguerra – argomento sempre attuale
e di sicuro successo, – l'asso del tennismo Panatta e
Fantozzi sono quel che sono, o meglio quel che erano prima del pensionamento,
infine la giornalista di Repubblica Caferri
(solita sboba: mix di politica e società). Trovate forse un solo letterato
di professione, eccetto la lungideceduta Buck? Per carità: niente cultura, siamo italiani, mica la
capiamo. Abbiamo gli smartphone, noi, sempre
in mano.
Rizzoli.
Il massimo dello spasso. Tre ‘'novità da non perdere'': Dazieri/Bonini/de Cataldo/Fois/Morchio/Pandiani (ITA – sei racconti noir), James Lecesne (USA – narrativa per ragazzi), Benedetta Parodi
(ITA – ricettario).
Allora: il primo libro è una serie di
racconti neri all'italiana intitolata ‘'I semi del male'' con sottotitolo ‘'I
cattivi lo fanno, i buoni lo sognano'', insomma la consueta deleteria apologia
del male, noiosa e malata reiterazione dell'antibuonismo ed anticonformismo
d'accatto purtroppo affermatosi nel Sessantotto nostrano e ancora imperversante
fra i maledetti con la pancia piena (che se andassero a lavorare in
fabbrica il male se lo sentirebbero nelle ossa ogni mattina, altro che sogni); il
libro per ragazzi (perché parla di cose universalmente destinate ai
ragazzi: gay, bullismo, società preadolescenziale americana, identica si sa
all'italiana) di Lecesne è la traduzione dall'inglese
americano di un libro basato sulla sceneggiatura (di un cortometraggio)
realizzata negli USA ispirandosi ad un one-man-show
televisivo di successo dello stesso Lecesne (notato i
passaggi?); il ricettario della ex bonazza
serve a fare le frittate: pancia mia fatti capanna. Be' questo è il regno di
galateo e alimentazione: direi binomio da corso universitario o quanto meno
Pubblicità Progresso. Di vitale importanza per l'Italia, altro che da non
perdere.
A casa Garzanti trovo quattro
titoli. Uno: riecco il solito Bruno Morchio (ITA)
col suo gialletto genovese, poi, soddisfatta la sete
di globuli e bandiere invariabilmente rossi, c'è una biografia di Truman Capote
firmata da tale George Plimpton (statunitense
scomparso nel 2003, Wikipedia lo definisce cosí: ‘'was an
American journalist, writer,
literary editor, actor, and occasional amateur
sportsman''), Meg Wolitzer (ancora USA – narrativa.
Stranamente questa sembrerebbe qualcosa di simile ad una letterata, almeno a
giudicare dalla biografia che insiste sui – mefitici penso – corsi di
letteratura creativa da lei tenuti e seguiti) e infine Cosimo Calamini (ITA – narrativa).
Il Calamini è uno
sceneggiatore cinematografico e documentarista toscano che qui pubblica il suo
terzo romanzo. Che dire? Uno sportsman, un giallista, una creativa in
odor di letteratura e uno sceneggiatore.
Concludiamo questo selezionato panorama
italiano e l'articolo con Bompiani. Tre i libri sui quali punta:
Andrea De Carlo (ITA – narrativa), David Cronenberg (canadese – narrativa),
Katherine Pancol (FRA – narrativa). Esamíno su tutto ciò: De Carlo scrive cose mediocri ab origine, prima ancora del big bang ed inoltre,
aggravante non di poco conto, partecipa allegramente a cose orride tipo
programmi per aspiranti scrittori di Rai Tre; Cronenberg è il regista… ovviamente sarà un genio anche nella letteratura,
presumiamo, vedendo che questo è il suo esordio di narratore e sapendo che si
laureò a Toronto in letteratura inglese nel 1967, come qualche altra buona
migliaia di suoi connazionali forse. E la Pancol?
Eccola, presa dal suo precedente ‘'Muchachas 1''
(sempre Bompiani): “Stella sente la sveglia, apre un
occhio. Le sette e dieci, come indica il braccio di Topolino. Allunga una gamba
fuori dal piumino. Appoggia un piede per terra. Freddo, molto freddo. Il piede
ancora tiepido lascia una traccia che si cancella velocemente. Scorge le sue
calze sul termosifone. La sua maglietta bianca. I suoi mutandoni da agricoltore
americano. La salopette arancione XXL, il maglione pesante blu marine.
Preparati il giorno prima. Pronti per essere indossati. È il momento che più
teme in tutta la giornata”. Bello temere insieme a lei: io che la
Pancol venda troppo anche in Italia e lei, l'autrice non la muchacha, non so,
qualcosa temerà di sicuro, forse di leggere Omero. Roba difficile. Complicata.
Scolastica. Ah che fastidio sarebbe, con tutti 'sti insinuanti Ulissi ad
occhieggiare nei mutandoni da zappaterra statunitense dei suoi originalissimi
personaggi.
Ecco. Avete capito cosa valorizzano, lanciano,
promuovono, ossia anche cercano i grandi editori italiani? Che i letterati, fra
gli autori visti finora, siano rari come monache di clausura mi sembra cosa
condivisibile. Che i ''Promessi sposi'' sfigurino davanti a simile accozzaglia
di varia umanità anche.