Il dissesto del territorio
di Renzo Montagnoli
Piove e i fiumi, anche quelli piccoli,
esondano, il terreno frana, le case crollano,
migliaia di auto finiscono sotto l'acqua, gente che si rifugia sui tetti e non
mancano anche le vittime, senza contare il danno economico, difficilmente
quantificabile, ma dell'ordine di miliardi euro. Sembra un bollettino di guerra e in effetti
lo è con il risultato tragico di un conflitto, già perso in partenza, dell'uomo
con la natura. La irresponsabile economia dei consumi sta distruggendo il
pianeta, senza nessun beneficio per i suoi abitanti, che dovranno sempre di più
fronteggiare stagioni anomale, penuria di materie prime e di prodotti agricoli.
Se il problema è generale (la soluzione appare ormai indifferibile, consistendo
in un ridimensionamento delle economie e nella scelta di un nuovo stile di vita
più improntato a un'armonia con il Creato, soluzione che agli inizi potrà
sembrare onerosa, ma che alla fine ci restituirà un mondo meno ingiusto più umano) nella nostra nazione risulta più
accentuato per la miopia dei suoi abitanti. E' da anni, infatti, che ci si
ostina in una politica aggressiva nei confronti del territorio, con una
cementificazione selvaggia e del tutto inutile che impedisce al terreno
l'assorbimento della pioggia; non bastasse questo, si è disboscato ovunque,
costruendo anche abitazioni dove un minimo di intelligenza avrebbe dovuto far
capire la pericolosità geologica dell'ubicazione. Se già appare sconvolgente
che si sia edificato sulle pendici del Vesuvio, che non è un vulcano spento da
secoli, ma che risulta inserito in un'area di attività magmatica rilevante,
appare del tutto pazzesco che abitazioni siano state erette nell'alveo di fiumi
e torrenti, su speroni di roccia in precario equilibrio e ai piedi di costoni scoscesi, senza che si
sia fatto uno studio preliminare della consistenza e si siano adottati almeno
muri di contenimento di adeguata struttura.
No, si doveva costruire, in ogni caso, per una sete inestinguibile di
guadagno, senza un minimo pensiero al futuro, con un pressapochismo e una
mancanza di materia grigia che lascia esterrefatti. Che non siamo un paese che
risplenda per razionalità è da tempo assodato, che il senso dello stato non
rientri nel nostro sentire è visibile ogni giorno, ma che poi arriviamo a
tirarci la zappa in testa è il colmo. Infatti, finite queste alluvioni, si
dimentica tutto, si continua a testa bassa a sbagliare e di messa in sicurezza
del territorio non si parla, come se tutti questi disastri fossero solo
imputabili al caso; già i nostri governi dimostrano scarsa sensibilità al
riguardo, ma che poi anche noi ci disinteressiamo fino alla prossima alluvione
è criminale. Cosa dovremmo fare?
Quello che non abbiamo mai fatto, cioè
capire finalmente che far parte di uno stato significa vigilare affinché esso
sia correttamente gestito, affinché gli interessi collettivi prevalgano su
quelli individuali, e dato che per questo esisterebbe il mezzo, cioè le
elezioni, ma queste portano sempre a un mantenimento della situazione,
capovolgerla con dimostrazioni di piazza, anche con continue pressioni, perché,
se avete ben capito, quello che è in gioco non è il prevalere di un'idea
politica su un'altra, ma è il nostro avvenire, la nostra sicurezza, la nostra
vita che, se pur breve, può essere gratificante, purché una volta per tutte
comprendiamo che per diritto naturale siamo tutti uguali e che chi ci
rappresenta e ci amministra ha gli stessi nostri diritti, ma ha più doveri di
noi. Senza questa preliminare visione non ci potranno essere miglioramenti, ma
quel declino a cui ormai assistiamo tenderà ad accentuarsi e ai nuovi disastri
del tempo si aggiungerà un'avvilente miseria. Quindi, se siamo insoddisfatti di
come si comportano gli amministratori, cacciamoli, perché è nostro diritto e
perché è l'unico modo per poter uscire da questo pantano di fiumi esondati, di corruzione, di disonestà, insomma di ciò che è
il frutto di una politica gestita da ladri, incapaci e cialtroni. E non
dimentichiamoci che il nostro vero problema è l'indifferenza, che ci porta a
lasciar fare qualsiasi cosa, anche quella che ci danneggia. Se la democrazia è
governo di popolo, dimostriamo di essere un vero popolo, non una massa
impaurita e piagnucolante, capace solo di lamentarsi senza reagire e senza
cercare di cambiare la situazione.