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  Editoriali  »  Un anno 22/12/2006
 

Un anno

                   

 

Come d'abitudine, in questo periodo i giornali, le varie televisioni fanno un bilancio dell'anno che sta per finire, evidenziando quegli eventi che ritengono più significativi e riproponendoceli.

Non è mia intenzione procedere analogamente, con una sequela di fatti più o meno importanti, ma intendo parlare di qualche cosa che, secondo la mia personale opinione, è rilevante in questo 2006.

Ci sono due elementi, antitetici se vogliamo, ma che a mio parere esprimono in modo inequivocabile il sempre più profondo malessere che corrode la nostra società e che si manifesta in tanti modi, fra i quali un progressivo disgregamento del concetto di giustizia, ridotta ormai a una parola di significato totalmente vuoto.

Uno di questi fatti si trascina ormai da anni, fra parole di indignazione e levate di scudi, l'altro invece è proprio del corrente anno.

Mi riferisco al famigerato carcere di Guantanamo  e al provvedimento d'indulto dell'attuale governo. Che cosa hanno in comune? A prima vista poco, ma se approfondiamo il discorso sono le due facce della stessa moneta.

Comincerò con il parlare di come un grande paese che si dichiara democratico viola sistematicamente non solo i suoi principi costituzionali, ma anche ogni senso morale.

Mi si potrà obiettare che gli Stati Uniti hanno dovuto patire l'orrendo atto terroristico dell'11 settembre e che quindi un paese che si sente minacciato ha tutto il diritto di adottare i provvedimenti che ritiene più validi ad assicurare la sua protezione. Su questo modo di comportarsi non posso che concordare, ricordando però che la fermezza non vuol dire brutalità, non può tradursi in una violazione sistematica non solo delle norme giuridiche, ma di ogni concetto di buon senso.

Mi spiego meglio, reduce dalla lettura di un interessante volumetto “Guantanamo Speaking” (Michele Di Salvo Editore, 2006), frutto delle interviste effettuate da Roger Willemsen a ex detenuti della prigione in questione. Pur trattandosi di persone riconosciute innocenti, vi è da considerare che alcune potrebbero aver ingigantito i fatti, a conseguenza del naturale risentimento di cittadini liberi imprigionati senza colpe.

Infatti, non vi tedierò con notizie di torture fisiche e psicologiche, ma con un argomento che dimostra inequivocabilmente che il mondo ormai è diviso in cittadini con solo diritti (pochi) e in sudditi (tutti gli altri), ritornando di fatto alle epoche più buie e atroci della storia.

In questo mi viene in aiuto l'interessantissima introduzione scritta da Michele Di Salvo; questa, da sola, vale l'intero libro, perché è frutto di osservazioni incontrovertibili.

Guantanamo è molto di più di un carcere, ma è il simbolo dell'onnipotenza di un ristretto gruppo di uomini che non solo vogliono un mondo ai loro piedi, ma che pretendono di disporre del destino altrui.

Una volta si parlava di despoti, cioè di veri e propri dittatori che potevano agire indisturbati in quanto non esisteva la democrazia. Ma, ora che esiste la democrazia, com'è possibile che pochi uomini si permettano di imprigionare solo sulla base di semplici sospetti degli altri individui, di segregarli per degli anni senza processo, di torturarli fisicamente e psichicamente? Com'è possibile che un numero rilevante di questi imprigionati poi venga liberato perché innocenti, senza nemmeno scuse e risarcimenti dei danni morali e materiali?

In qualsiasi società civile, come la intendiamo, chi si permette di compiere questi atti viene considerato un despota, e tali erano visti sia Hitler che Stalin.

Allora, non è il sistema politico che determina l'ingiustizia, ma è e rimane sempre l'uomo. Non avrei mai potuto immaginare che in un regime democratico avvenissero fatti come quelli di Guantanamo, che fosse non solo tollerato, ma incentivato l'uso della violenza, l'abuso di qualsiasi forma coercitiva, in uno scenario che richiama alla mente l'epoca di Torquemada.

La cosa più straordinaria, poi, è che questo comportamento appare correlato a quello del provvedimento dell'indulto, perché se là si incarcera gente senza alcuna giustificazione, da noi sono stati liberati delinquenti senza che ci sia una logica coerente alla base.

L'estremo sovraffollamento delle prigioni non è un motivo valido, considerato che ce sono alcune che, da anni, attendono di entrare in funzione.

Del resto, l'amnistia e l'indulto sono sempre state proprie di regimi ben diversi, là dove esisteva un monarca che ogni tanto si compiaceva di dimostrare la sua magnanimità con un gesto di clemenza che cadeva dall'alto e non era quindi volontà di un popolo.

Da noi, nonostante che i sondaggi di alcuni autorevoli quotidiani avessero dimostrato che il 90% degli italiani era contrario a tale provvedimento, si è deciso di procedere lo stesso e la dichiarazione del presidente del consiglio con cui se ne assume tutte le responsabilità ha il marchio di quel potere assoluto che in democrazia non dovrebbe esistere.

Dunque, le due facce della stessa medaglia, di quei comportamenti che non rispecchiano la volontà del popolo, unica fonte di un regime democratico, e quindi l'amara constatazione che solo chi ha il potere potrà decidere del nostro futuro.

Mi si potrà obiettare che in democrazia è il popolo, sono gli elettori che delegano altri a rappresentarli e che quindi questa è una prova inequivocabile che il mio giudizio è sbagliato.

Si dimentica, però, un dato facilmente verificabile, esaminando i comportamenti dei precedenti governi americani e italiani: sono costanti in queste decisioni difformi dalla volontà popolare e questo allora richiede un ulteriore approfondimento.

Se nulla cambia, mutando i partiti al governo, è segno che quel popolo vuole così, oppure che si è costituita un'oligarchia che di fatto impedisce una scelta effettiva agli elettori?

Sulla base dell'esperienza fino ad ora maturata (per gli Stati Uniti basti pensare alla guerra in Vietnam, per il nostro paese a precedenti indulti), devo ritenere che in effetti il popolo deleghi i suoi poteri a una consolidata oligarchia che, sotto l'apparenza di ideologie diverse, governi soprattutto per se stessa.

 

 

 

 
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