Un anno
Come d'abitudine, in questo periodo i
giornali, le varie televisioni fanno un bilancio dell'anno che sta per finire,
evidenziando quegli eventi che ritengono più significativi e riproponendoceli.
Non è mia intenzione procedere
analogamente, con una sequela di fatti più o meno importanti, ma intendo
parlare di qualche cosa che, secondo la mia personale opinione, è rilevante in
questo 2006.
Ci sono due elementi, antitetici se
vogliamo, ma che a mio parere esprimono in modo inequivocabile il sempre più
profondo malessere che corrode la nostra società e che si manifesta in tanti
modi, fra i quali un progressivo disgregamento del concetto di giustizia,
ridotta ormai a una parola di significato totalmente vuoto.
Uno di questi fatti si trascina ormai
da anni, fra parole di indignazione e levate di scudi, l'altro invece è proprio
del corrente anno.
Mi riferisco al famigerato carcere di
Guantanamo e al provvedimento d'indulto
dell'attuale governo. Che cosa hanno in comune? A prima vista poco, ma se
approfondiamo il discorso sono le due facce della stessa moneta.
Comincerò con il parlare di come un
grande paese che si dichiara democratico viola sistematicamente non solo i suoi
principi costituzionali, ma anche ogni senso morale.
Mi si potrà obiettare che gli Stati
Uniti hanno dovuto patire l'orrendo atto terroristico dell'11 settembre e che
quindi un paese che si sente minacciato ha tutto il diritto di adottare i
provvedimenti che ritiene più validi ad assicurare la sua protezione. Su questo
modo di comportarsi non posso che concordare, ricordando però che la fermezza
non vuol dire brutalità, non può tradursi in una violazione sistematica non
solo delle norme giuridiche, ma di ogni concetto di buon senso.
Mi spiego meglio, reduce dalla
lettura di un interessante volumetto “Guantanamo Speaking” (Michele Di Salvo Editore,
2006), frutto delle interviste effettuate da Roger Willemsen a ex detenuti
della prigione in questione. Pur trattandosi di persone riconosciute innocenti,
vi è da considerare che alcune potrebbero aver ingigantito i fatti, a
conseguenza del naturale risentimento di cittadini liberi imprigionati senza
colpe.
Infatti, non vi tedierò con notizie di
torture fisiche e psicologiche, ma con un argomento che dimostra
inequivocabilmente che il mondo ormai è diviso in cittadini con solo diritti
(pochi) e in sudditi (tutti gli altri), ritornando di fatto alle epoche più
buie e atroci della storia.
In questo mi viene in aiuto
l'interessantissima introduzione scritta da Michele Di Salvo; questa, da sola,
vale l'intero libro, perché è frutto di osservazioni incontrovertibili.
Guantanamo è molto di più di un
carcere, ma è il simbolo dell'onnipotenza di un ristretto gruppo di uomini che
non solo vogliono un mondo ai loro piedi, ma che pretendono di disporre del
destino altrui.
Una volta si parlava di despoti, cioè
di veri e propri dittatori che potevano agire indisturbati in quanto non
esisteva la democrazia. Ma, ora che esiste la democrazia, com'è possibile che
pochi uomini si permettano di imprigionare solo sulla base di semplici sospetti
degli altri individui, di segregarli per degli anni senza processo, di
torturarli fisicamente e psichicamente? Com'è possibile che un numero rilevante
di questi imprigionati poi venga liberato perché innocenti, senza nemmeno scuse
e risarcimenti dei danni morali e materiali?
In qualsiasi società civile, come la
intendiamo, chi si permette di compiere questi atti viene considerato un
despota, e tali erano visti sia Hitler che Stalin.
Allora, non è il sistema politico che
determina l'ingiustizia, ma è e rimane sempre l'uomo. Non avrei mai potuto
immaginare che in un regime democratico avvenissero fatti come quelli di
Guantanamo, che fosse non solo tollerato, ma incentivato l'uso della violenza,
l'abuso di qualsiasi forma coercitiva, in uno scenario che richiama alla mente
l'epoca di Torquemada.
La cosa più straordinaria, poi, è che
questo comportamento appare correlato a quello del provvedimento dell'indulto,
perché se là si incarcera gente senza alcuna giustificazione, da noi sono stati
liberati delinquenti senza che ci sia una logica coerente alla base.
L'estremo sovraffollamento delle
prigioni non è un motivo valido, considerato che ce sono alcune che, da anni,
attendono di entrare in funzione.
Del resto, l'amnistia e l'indulto
sono sempre state proprie di regimi ben diversi, là dove esisteva un monarca
che ogni tanto si compiaceva di dimostrare la sua magnanimità con un gesto di clemenza
che cadeva dall'alto e non era quindi volontà di un popolo.
Da noi, nonostante che i sondaggi di
alcuni autorevoli quotidiani avessero dimostrato che il 90% degli italiani era
contrario a tale provvedimento, si è deciso di procedere lo stesso e la
dichiarazione del presidente del consiglio con cui se ne assume tutte le
responsabilità ha il marchio di quel potere assoluto che in democrazia non
dovrebbe esistere.
Dunque, le due facce della stessa
medaglia, di quei comportamenti che non rispecchiano la volontà del popolo,
unica fonte di un regime democratico, e quindi l'amara constatazione che solo
chi ha il potere potrà decidere del nostro futuro.
Mi si potrà obiettare che in
democrazia è il popolo, sono gli elettori che delegano altri a rappresentarli e
che quindi questa è una prova inequivocabile che il mio giudizio è sbagliato.
Si dimentica, però, un dato
facilmente verificabile, esaminando i comportamenti dei precedenti governi
americani e italiani: sono costanti in queste decisioni difformi dalla volontà
popolare e questo allora richiede un ulteriore approfondimento.
Se nulla cambia, mutando i partiti al
governo, è segno che quel popolo vuole così, oppure che si è costituita
un'oligarchia che di fatto impedisce una scelta effettiva agli elettori?
Sulla base dell'esperienza fino ad
ora maturata (per gli Stati Uniti basti pensare alla guerra in Vietnam, per il
nostro paese a precedenti indulti), devo ritenere che in effetti il popolo
deleghi i suoi poteri a una consolidata oligarchia che, sotto l'apparenza di
ideologie diverse, governi soprattutto per se stessa.