Era il 23 maggio 1915
di Renzo Montagnoli
Era il 23 maggio di cento anni fa, una
giornata di avanzata primavera, con cielo terso e caldo sole splendente e
sarebbe stata come le altre che l'avevano immediatamente preceduta se non si
fosse verificato un fatto da tempo atteso, da non tanti auspicato e da
moltissimi temuto. Infatti, il giorno prima l'ambasciatore italiano a Vienna
aveva consegnato al ministro Burian la dichiarazione
di guerra all'Austria-Ungheria, con effetto dal 24
maggio, stessa nota recapitata contestualmente all'ambasciatore austriaco a
Roma. Iniziava, così, per il nostro paese un lungo e sanguinoso conflitto che,
soprattutto per motivi propagandistici, si sbandierò che sarebbe stato
sicuramente vittoriose e breve, tanto da stimarne la conclusione al più tardi
entro il Natale dello stesso anno.
Nessun cenno, ovviamente, per il tributo di sangue e comunque si
sviluppò una massiccia campagna volta a far digerire alla popolazione questo
mostruoso rospo, una campagna già in atto da tempo e che voleva la nostra
partecipazione accanto alla Francia, la Russia e la Gran Bretagna. Queste
ultime nazioni, tranne la Russia, non erano disinteressate, al punto che
foraggiavano i vari movimenti interventisti e lo stesso Benito Mussolini
beneficiò di un consistente assegno.
Peraltro, la guerra contro l'Austria e la Germania era già in atto da
tempo (dal 23 agosto 1914, allorchè l'impero
asburgico aveva dichiarato guerra al piccolo regno di Serbia e quasi immediatamente,
per il gioco delle alleanze, lo stato di belligeranza si estese alla Germania,
alla Russia, alla Francia e alla Gran Bretagna) e dalle prime speranze di un
suo corso brevissimo si era passati a una dolorosa rassegnazione. E l'Italia? Il nostro paese era alleato, per
scopi meramente difensivi, da circa un trentennio con l'Austria e la Germania.
Poiché era stata l'Austria a promuovere la guerra, l'Italia poteva restare
neutrale e così fece, con il segreto scopo di far pagare a caro prezzo questa
sua neutralità, oppure di denunciare il trattato di alleanza, stipulandone uno
nuovo con Francia, Gran Bretagna e Russia. E così entrò in gioco un intreccio
diplomatico, fatto di tira e molla, con l'Austria che accoglieva alcune nostre
richieste territoriali, dietro pressione della Germania, e con Francia e Gran
Bretagna che rilanciavano, promettendo di più. Finì come noto e cioè che agli
inizi del maggio 1915 l'Italia rescisse
dal patto di Alleanza con Austria e Germania e ne sottoscrisse uno nuovo,
questa volta con i nemici di queste due nazioni.
Per quanto concerne l'andamento
iniziale della guerra, come al solito noi italiani non eravamo preparati e
questo probabilmente spiega l'eccessiva prudenza tenuta nei primi trenta
giorni, quando un deciso affondo nella zona di Cortina, difesa da un velo di
truppe, ci avrebbe aperto le porte di Vienna. Si perse un'occasione preziosa,
unica, con un risultato che sarebbe stato veloce e che forse avrebbe imposto
sia all'Austria che alla Germania di chiedere un armistizio, risparmiando così
milioni di vite su tutti i fronti. C'è anche da dire che un attacco deciso e
mirato avrebbe richiesto un'altra mentalità, con scorrerie veloci, penetrazioni
aggiranti capisaldi, sistemi che non erano tanto nelle corde dei capi militari dell'epoca,
soprattutto di Cadorna che era rimasto ai metodi di battaglia di Napoleone, con
reiterati attacchi frontali che le nuove armi, soprattutto la mitragliatrice,
vanificano, con perdite ingentissime.
Non sto lì a dilungarmi sugli anni di
guerra, sulle battaglie, perché non sono uno storico e questo articolo non ne
ha lo scopo. Dico solo che a guerra finita gli italiani morti risultarono circa
651.000 contro i 400.000 austriaci, che pure hanno avuto fino alla fine del
1917 un numero di effettivi largamente inferiori ai nostri, che risultavano
sempre almeno il triplo, e così dicasi per le artiglierie. Insomma, la tattica
di Cadorna, mai mutata, dell'assalto frontale richiese un tributo di sangue
enorme e sproporzionato rispetto ai risultati, invero modesti.
Né intendo parlare della disfatta di
Caporetto, colpa soprattutto dei nostri comandanti, ma a cui si unì anche una
disaffezione dei nostri soldati, sempre e da troppo tempo considerati carne da
macello, vestiti inadeguatamente, assai poco nutriti e sovente puniti con una
ferocia inaudita per mancanze anche di poco conto. Durante quei giorni di
ritirata, con i comandanti per lo più assenti, le truppe in parte si
sbandarono, ma non furono poche quelle che fecero il loro dovere fino in fondo.
Quindi, il proclama di Cadorna che attribuiva i motivi della rotta esclusivamente ai soldati
italiani non sono che la conferma che il generalissimo, oltre a essere un
macellaio, era anche un vigliacco.
Poi come si sa, si arrivò al 4
novembre 1918 con l'armistizio di Villa Giusti, preceduto dalla vittoria di
Vittorio Veneto, a cui non poco contribuirono i reparti inglesi e francesi
venuti in soccorso all'indomani di Caporetto, e così questa guerra ebbe fine,
con rammarico dei nostri governanti che raccolsero poco e con il dolore di
tante madri e spose dei caduti e con la rabbia dei superstiti per aver
combattuto per ottenere un pugno di mosche.
Oggi in tutta l'Italia ci saranno
cerimonie commemorative, ove si sprecheranno discorsi retorici per ricordare un
conflitto che sì ci portò alla vittoria, ma che induce a una domanda: che
sapore può avere un trionfo di fronte ai tanti morti, dall'una e dall'altra
parte, uomini che avrebbero preferito vivere in pace e in un mondo più giusto,
testimoni muti di un gioco fra potenti di cui loro stati pedine e vittime
inconsapevoli? Tutti quei poveri caduti
forse credevano di battersi per una grande famiglia come la loro patria, erano
stati illusi, con una propaganda capillare, che dopo, finite le battaglie,
avrebbero visto la fine delle disuguaglianze e della loro miseria. Ignoravano,
invece, di servire le brame dei potenti che mai, e poi mai, avrebbero cambiato
un mondo di cui loro disponevano a piacere. La guerra non è altro che un
macabro giocattolo con cui si trastullano coloro che, per la loro posizione
dominante, credono di essere diventati degli dei. Ed è così da sempre e sempre
sarà così, a meno che tutti prendano
coscienza non solo dell'inutilità della guerra, ma che questa società umana ha bisogno di un radicale riequilibrio in
modo da arrivare al concetto che non ci sono uomini di serie A e di serie B, ma
solo uomini con diritti e doveri del tutto uguali. Quello che i tanti lamentano, cioè la
mancanza di beni materiali che possano rendere sicura e dignitosa la loro vita
è solo frutto del comportamento bestiale di pochi che l'hanno sottratto agli
altri. Quindi la Patria diventa un concetto puramente retorico, da usare quando
necessario per le mire dei potenti; la Patria esiste solo per i paria, per
coloro che devono solo subire e tacere. Su molte lapidi troviamo scritto
“caduto per la Patria”, ma sarebbe meglio riportassero una semplice dicitura
“derubato, sfruttato e ucciso da uomini senza scrupoli”. I morti della prima
guerra mondiale e quelli di tutte le guerre attendono una giustizia che appare
ancora lontana.