Cos'è
il 25 aprile
di Ferdinando Camon
"Avvenire"
25 aprile 2015
Per chi c'era, in quella fine aprile e inizio maggio del 1945, la liberazione
dai nazifascisti fu un evento enorme, e come tale allora non valutabile e non
comprensibile. Sì, scappavano i fascisti e i nazisti, ma chi restava? E chi
veniva? Per fare che cosa? S'intuiva che nella liberazione dai nazi-fascisti
c'era il germe oscuro di un'Italia dai molti partiti, forse ancora monarchica
(ma diversamente), forse addirittura repubblicana, comunque senza manganelli,
senza olio di ricino, con manifestazioni pubbliche, giornali, giornali radio.
Si sentiva che la Resistenza avrebbe contato moltissimo. Noi eravamo un popolo
che “aveva la Resistenza”. Sì, eravamo il popolo che aveva inventato il
fascismo e il fascismo era stato il maestro del nazismo. Che poi l'allievo
avesse superato il maestro, questo era già nella storia. Però noi avevamo
inventato il fascismo ma anche la lotta al fascismo, la resistenza del popolo.
Ci sono popoli che ci sfottono con la famosa barzelletta coniata contro di noi:
“Qual è il libro più breve del mondo? Risposta: l'elenco degli eroi di guerra
italiani”. A questa barzelletta rispondeva Brecht (“Infelice quel popolo che ha
bisogno di eroi”), ma rispondiamo anche noi, quando vediamo sul digitale o su
Sky o al cinema, qualcuno dei tanti film costruiti sui cosiddetti eroi di
guerra: la grandezza della guerra e la grandezza umana stanno su piani diversi,
ambedue sono memorabili ma una sola è benefica. E la Resistenza ha avuto un suo
eroismo, che nasceva proprio dall'essere la parte militarmente improvvisata e
dunque più debole. Bande contro esercito. Oggi, 25 aprile, noi festeggiamo la
vittoria delle bande. Abbiamo un lungo elenco di eroi partigiani, perché
abbiamo avuto una lunga Resistenza. E possiamo dire: “Infelici quei popoli che,
avendo una dittatura, non hanno anche una Resistenza”. Magari avranno
diserzioni, tradimenti, congiure, attentati, ma le congiure dei comandi
militari, gli attentati alla vita del dittatore, le bombe alle sue riunioni,
sono atti eroici, molto eroici, però non sono azioni del popolo, sono sempre
azioni del vertice.
Man mano che cresceva la Resistenza al fascismo e che cresceva la repressione
fascista, si faceva chiaro un concetto: una parte avrebbe vinto e l'altra
avrebbe perso. La parte perdente non combatteva più per la vittoria: combatteva
per la vendetta. Il suo motto era: “Morire come lupi”. È questo che rende
impossibile oggi onorare ambedue le parti. Aver pietà per i morti dell'altra
parte è umano ed è cristiano, ma il tributo d'onore è un'altra cosa. Il capo
dello Stato, il cattolico Mattarella, ci ricorda che una parte combatteva per
la libertà, l'altra per la sopraffazione. Da una parte è venuta l'Italia in cui
viviamo, che avrà mille difetti ma li possiamo denunciare e combattere,
dall'altra sarebbe venuta un'Italia in prosecuzione di quella che moriva, che
avrebbe continuato a far vivere i suoi cittadini in attuazione della volontà di
un uomo o di una oligarchia o di una dottrina. Controllato da quella volontà,
tu dovevi essere fascista, non potevi essere marxista, non potevi essere
cristiano... È questa la differenza. Ed è una differenza che sta nella
Costituzione. Il che significa che il risultato più grande e più duraturo della
Resistenza è la Costituzione che abbiamo. Chi è morto da partigiano o da
resistente, è morto perché fosse cambiata la Costituzione. La Costituzione si
può perfezionare, tutto è perfettibile, ma non si può tradirla. Ricordare oggi
la Resistenza vuol dire ricordarsi di questo.
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