Il valore
Se andiamo a vedere, su un qualsiasi
dizionario della lingua italiana, il significato della parola valore restiamo
colpiti dalle invero numerose accezioni. Si va da ciò che una persona o una cosa
valgono, al complesso di qualità che rende una persona degna di considerazione
o di stima, oppure si intende così definire, con una forma arcaica, la virtù,
la nobiltà d'animo, senza dimenticare che questo sostantivo significa anche
coraggio o ardimento. Un'altra accezione
si riferisce invece al complesso delle qualità positive e ideali che
costituiscono punti di riferimento fondamentali, considerate secondo un
criterio di giudizio personale o, soprattutto, mutuate da un determinato ambito
sociale e culturale.
Non vado oltre, perché i significati
sarebbero ancora non pochi, ma quelli enunciati fino a ora bastano e avanzano
per questa riflessione.
E' doloroso constatare che di tutte
queste accezioni le uniche effettivamente rimaste in uso sono solo un paio,
mentre la più importante, l'ultima in ordine di enunciazione, sembrerebbe
tramontata. Si sente infatti spesso dire che la nostra
civiltà non ha più valori, mentre attribuisce la massima importanza al concetto
pecuniario di valore, con estensione anche alla caratterizzazione dell'uomo
ideale: ha denaro, è potente e quindi è di alto valore.
Diciamo pure che, quasi senza che ce
ne siamo accorti, si è passati da un concetto morale di valore a un concetto
materiale.
La sostituzione, però, comincia a
mostrare tutti i suoi limiti, con una progressiva accentuazione del grado di
insoddisfazione. Infatti, se assume rilevanza l'individuo solo per le sue
possibilità economiche, la naturale rincorsa a somigliargli porterà
inevitabilmente a trovare sempre che ci sarà qualcuno
di maggior valore e l'invidia non è mai apportatrice di felicità, perché a ogni
iniziale appagamento seguirà sempre, e in misura ancor più rapida, la
consapevolezza che si è raggiunto solo uno dei numerosissimi traguardi.
I valori di un tempo che,
sommariamente, possiamo elencare in fede, patria e
famiglia, pur presentando a volte delle distorsioni anche pericolose,
riuscivano a polarizzare una società in una meta che accomunasse tutti, senza
metterli in contrasto fra di loro.
La famiglia va da tempo
disgregandosi, anzi c'è il rischio che progressivamente sparisca; la patria,
intesa come l'unione di genti che hanno comunanze profonde, ormai è quasi
morta, anche per effetto di una globalizzazione
selvaggia che non porta benefici se non a pochi e in ogni caso sempre di
carattere economico; la fede, o comunque il senso morale, resistono più in un
aspetto di facciata che non in una effettiva
consapevolezza di ciò che l'uomo vuole dare a base e significato della sua
vita.
Erano valori, questi, che non procuravano
ricchezze materiali, ma che rendevano, coloro che erano partecipi, certi del
loro modo d'agire e anche soddisfatti della loro esistenza, almeno a livello
morale.
Il mettere, invece, al centro della
propria vita solo il successo è limitare grandemente le possibilità umane, è
togliere quello strato di coesione di base che aiuta meglio a sopportare le
delusioni, che consente di non precipitare in un baratro se qualche cosa non va
per il verso giusto, e in un mondo in cui la competizione è esasperata, dove i
colpi bassi sono la norma, è da mettere in conto che sarà più facile cadere che
salire.
Quando si lotta senza i valori morali
alla base, la sconfitta nell'unico scopo a cui si è
orientata la propria esistenza è una tragedia immane, perché non c'è nulla a
cui aggrapparsi e quello che resta è solo il vuoto.