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  Editoriali  »  Il valore 29/12/2006
 

Il valore

 

Se andiamo a vedere, su un qualsiasi dizionario della lingua italiana, il significato della parola valore restiamo colpiti dalle invero numerose accezioni. Si va da ciò che una persona o una cosa valgono, al complesso di qualità che rende una persona degna di considerazione o di stima, oppure si intende così definire, con una forma arcaica, la virtù, la nobiltà d'animo, senza dimenticare che questo sostantivo significa anche coraggio o ardimento.  Un'altra accezione si riferisce invece al complesso delle qualità positive e ideali che costituiscono punti di riferimento fondamentali, considerate secondo un criterio di giudizio personale o, soprattutto, mutuate da un determinato ambito sociale e culturale.

Non vado oltre, perché i significati sarebbero ancora non pochi, ma quelli enunciati fino a ora bastano e avanzano per questa riflessione.

E' doloroso constatare che di tutte queste accezioni le uniche effettivamente rimaste in uso sono solo un paio, mentre la più importante, l'ultima in ordine  di enunciazione, sembrerebbe tramontata. Si sente infatti spesso dire che la nostra civiltà non ha più valori, mentre attribuisce la massima importanza al concetto pecuniario di valore, con estensione anche alla caratterizzazione dell'uomo ideale: ha denaro, è potente e quindi è di alto valore.

Diciamo pure che, quasi senza che ce ne siamo accorti, si è passati da un concetto morale di valore a un concetto materiale.

La sostituzione, però, comincia a mostrare tutti i suoi limiti, con una progressiva accentuazione del grado di insoddisfazione. Infatti, se assume rilevanza l'individuo solo per le sue possibilità economiche, la naturale rincorsa a somigliargli porterà inevitabilmente a trovare sempre che ci sarà qualcuno di maggior valore e l'invidia non è mai apportatrice di felicità, perché a ogni iniziale appagamento seguirà sempre, e in misura ancor più rapida, la consapevolezza che si è raggiunto solo uno dei numerosissimi traguardi.

I valori di un tempo che, sommariamente, possiamo elencare in fede, patria e famiglia, pur presentando a volte delle distorsioni anche pericolose, riuscivano a polarizzare una società in una meta che accomunasse tutti, senza metterli in contrasto fra di loro.

La famiglia va da tempo disgregandosi, anzi c'è il rischio che progressivamente sparisca; la patria, intesa come l'unione di genti che hanno comunanze profonde, ormai è quasi morta, anche per effetto di una globalizzazione selvaggia che non porta benefici se non a pochi e in ogni caso sempre di carattere economico; la fede, o comunque il senso morale, resistono più in un aspetto di facciata che non in una effettiva consapevolezza di ciò che l'uomo vuole dare a base e significato della sua vita.

Erano valori, questi, che non procuravano ricchezze materiali, ma che rendevano, coloro che erano partecipi, certi del loro modo d'agire e anche soddisfatti della loro esistenza, almeno a livello morale.

Il mettere, invece, al centro della propria vita solo il successo è limitare grandemente le possibilità umane, è togliere quello strato di coesione di base che aiuta meglio a sopportare le delusioni, che consente di non precipitare in un baratro se qualche cosa non va per il verso giusto, e in un mondo in cui la competizione è esasperata, dove i colpi bassi sono la norma, è da mettere in conto che sarà più facile cadere che salire.

Quando si lotta senza i valori morali alla base, la sconfitta nell'unico scopo a cui si è orientata la propria esistenza è una tragedia immane, perché non c'è nulla a cui aggrapparsi e quello che resta è solo il vuoto.

 

 

 

 

 
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