Una
città non vive senza libri
di Ferdinando Camon
"La Stampa" 12
gennaio 2016
Cinque città italiane son famose per cinque festival culturali: Mantova è
il Festival della Letteratura, Pordenone è Pordenonelegge,
Modena e Carpi sono il Festival della Filosofia, e Padova è la Fiera delle
Parole: una settimana d'incontri, conferenze e dibattiti con i maggiori
scrittori italiani. L'anno scorso sono stati 250. La notizia, brutta, è che
quest'anno il festival di Padova sta per saltare. La giunta ha pressoché
completato la scaletta delle attività culturali per il 2016, e la Fiera delle
Parole non c'è. Costava troppo? Ma no: l'anno scorso è costata 106mila euro, e
vista la mole degli incontri, la quantità di autori venuti da tutt'Italia, e la
massa di spettatori corsi ad ascoltarli, circa 11-12mila al giorno, è una cifra
irrisoria. Evidentemente, chi amministra la città non sente l'utilità di queste
feste dei libri, degli autori e dei lettori. Ma evitiamo l'ironia: uscire dalla
crisi è un'operazione che non finisce mai, nei bilanci dei Comuni anche un
migliaio di euro ha il suo peso, l'imperativo è risparmiare su tutto ciò che
non serve alla ripresa. Spendiamo quel poco che abbiamo in modo che sia utile.
A chi, amministrando la città di Padova, fa un simile ragionamento, e a chi,
amministrando Carpi, Modena, Pordenone, Mantova, sente la tentazione di
copiarlo, vorrei ricordare un proverbio cinese (ce l'ho sempre in mente) che
dice: «Se hai sei denari, spendine tre per il pane e tre per i gigli». I gigli
sono i libri. Se li spendi tutti e sei per il pane, ti fai del male. Devi
mantenerti in vita e mantenere in vita i tuoi figli, ma la vita dev'essere vivibile, la devi riempire di qualcosa, per
avere e dare ai tuoi figli la soddisfazione di vivere. Noi italiani abbiamo
conosciuto altre crisi, la più terribile fu quella del dopoguerra, da quella
crisi (non avevamo niente) son risalite le famiglie che han fatto
studiare i figli. Le altre son rimaste bloccate. Guardiamo i popoli che ci stanno
davanti: hanno più scuole, più laureati, più libri, più giornali. Ci dicono
sempre che c'è una ripresina se il latte o la carne hanno un minimo incremento
di vendite. In realtà la vera ripresa comincerà quando i libri e i giornali e i
dischi e i film vedranno crescere il loro mercato. Meno crisi vuol dire più
vita, e c'è più vita se girano più libri. Durante la Fiera delle Parole la
città era piena di festa, tutte le sale disponibili erano occupate di pubblico,
per i grandi oratori, Paolo Mieli, Dacia Maraini, Massimo Gramellini…,
non c'era più un posto a sedere già un'ora prima che loro arrivassero, e non
c'è negazione della crisi più completa delle file di lettori che aspettano
l'autografo col libro in mano. Quando quest'anno verrà ottobre, e la Fiera delle
Parole non si aprirà, e le librerie resteranno semivuote, e le sale grandi e
piccole del Comune e dei collegi saranno deserte, tutto quello ci darà la
visione deprimente della crisi in atto. E la visione della crisi genera crisi.
La città dove non girano libri ha l'aspetto mortuario che hanno le case senza
biblioteca. Se sei invitato a cena in una casa e non vedi libri, ti si chiude
lo stomaco e ti va via l'appetito. Io mi siedo sull'orlo della sedia e non vedo
l'ora di andarmene. Se una vita senza cultura è invivibile, e una casa senza
libri è inabitabile, allora una città senza un festival delle parole non ha
niente da dire: è ammutolita.
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