Necessità
ed utilità di credere in un Dio
di
Lorenzo Russo
:
Ho
difficoltà a credere nel Dio celebrato dalla chiesa -come in
quello proclamato da altre istituzioni religiose- in pratica
esercitato più per esercitare il dominio sui credenti che per
realizzare le vere annunciazioni del suo fondatore Gesù
Cristo, in quanto esso comporterebbe per il credente la rinuncia allo
strapotere terreno.
Tra
i credenti noto una sostanziosa parte di coloro che, con questo
credo, tendono a raggiungere, direi comodamente, una forma di
serenità interiore concordante con l'accettazione della vita
così come è.
Non
sono quindi quelli che vogliono vivere nel senso annunciato da Gesù
Cristo.
Affrontare
il problema del credo nel Dio cristiano richiede infatti una
preparazione interiore accurata e continua, e non solo per attestare
la propria idoneità, troppo dipendente dal proprio stato
fisico biologico, bensì per formare la necessaria volontà
e fermezza di proseguire fino in fondo davanti alle incertezze e
crisi che un credo così radicale forzatamente presenta.
Un
credo forte e profondo richiede una volontà e fermezza ferrea.
Più
elevato e profondo è, più forti e difficili sono gli
scontri con la realtà dimensionale.
Qui
occorre tener conto che, più basso è lo stato sociale
del credente, più elevata è la sua disposizione a
seguire gli annunci cristiani.
Infatti
egli non ha nulla da perdere, a differenza del benestante e potente.
Che
cosa spinge l'uomo al credo in un Dio?
È
il bisogno di serenità interiore non realizzabile con le
proprie forze?
È
l'incapacità di comprendere il senso della sua vita?
È
il desiderio di raggiungere sfere superiori?
È
il desiderio di immortalità e quindi superamento delle
limitatezze dimensionali nelle quali si vede relegato?
È
il bisogno di scoprire la sua origine, che lo spinge a perlustrare il
suo intimo e lo spazio che lo circonda, nella speranza di scoprire
qualcosa di soprannaturale, al quale affidare il suo animo e trovare
forza per la vita?
Per
prima cosa l'uomo avrebbe bisogno della grazia di discernere tra il
bene e il male che gli doni la capacità della rinuncia a tutto
ciò che lo indebolisce, e cioè al troppo materialismo,
quale consumo senza limiti, godimenti insani che distruggono il suo
fisico, la sua anima e coscienza, fino a renderlo un fardello senza
scopo e futuro.
Da
qui la necessità della preghiera, quale analisi introspettiva
della sua coscienza.
Ogni
pensiero ed azione nasce dal confronto tra il bene e il male e
determinano il suo stato di limitatezza.
Più
basso è il suo stato di coscienza, più alto è il
pericolo di danneggiamento.
Una
coscienza ancora sana riconosce subito il pericolo che gli si
presenta, mentre una insana più tardi o non più, quando
ormai l'agire nel male è diventato costume, abitudine.
Quando
leggo che la nostra cultura è cristiana, sento la necessità
di relativare perchè non corrisponde alla realtà.
Infatti
essa è troppo dominata da fraudolenti, tessitori di trame e
imbrogli, usurpatori, usurai, opportunisti e così via, mentre
pochi sono i rimasti onesti e umili, da poter affermare che il mondo
si trovi veramente alla deriva.
Oggi
è difficile raggiungere lo stato di beatitudine, che tanto
aiuta a sostenere la vita nelle sue complicate e turbolente
espressioni, perchè l'uomo ha perso la capacità di
immaginarsi l'esistenza di un padre celeste, buono e comprensivo, al
quale affidarsi.
Qui
vengono in gioco l'eccessiva razionalità di concezione della
vita che chiude l'accesso all'immaginazione, una volta una medicina
per i bisognosi di conforto e aiuto, e l'irrazionalità che
rende l'uomo fanatico e distruttore dei valori sociali.
Un
mondo, che ha „un Dio“ quale punto di riferimento, ha
ancora la possibilità di rigenerarsi, ad eccezione che questo
rapporto lo renda paranoico e quindi distruttore di ogni valore
umano, quale umanesimo, buonismo, tolleranza, senza i quali alla fine
non rimarrebbe che il buio della miscredenza e primitività.
Un
mondo senza riferimento a un Dio buono (affermo buono non perchè
lo sia veramente, ma perchè è così creduto dal
credente), fallirebbe nel momento in cui l'uomo dovrebbe dimostrare
di essere in grado di crearsi un futuro.
Il
credo in „un Dio“ è quindi riconoscenza dei propri
limiti e freno al materialismo estremo, dirompente e distruggente
quei valori che sono garanzia di rinascita dopo ogni sconfitta.
Il
rapporto con „un Dio“ è un barlume di speranza che
infine ci sarà giustizia e uguaglianza tra i popoli.
E
qui mi viene di paragonare il rapporto dell'uomo con un Dio con
quello tra fratelli.
All'inizio
si amano perchè si sentono uniti geneticamente e sono educati
insieme dai loro genitori.
Nel
corso del loro crescere incominciano, però, a emergere
caratteristiche personali differenti, necessarie a garantire il loro
sviluppo di persona adulta.
Da
qui capita che incomincino a non comprendersi, a contrastarsi e
talvolta a odiarsi anche per tutta la vita.
Si
nota che ciò che sorge da una formula genetica originariamente
indivisa, nel corso della vita si divide, così come l'uomo si
allontana dal suo Dio, cioè dalla sua origine.
La
vita terrena si prende i suoi figli e li allontana dalla loro
origine.
Da
qui emerge che sta all'uomo evolvere il rapporto con il suo Dio,
affinchè generi frutti buoni, cioè sani e duraturi, che
garantiscano il suo ritorno all'origine.
Eppure
è anche giustificabile affermare che Dio è una
invenzione dell'uomo, come è giusto ritenere che solo con Lui
l'uomo è in grado di aprirsi un varco sovradimensionale che lo
liberi dei suoi limiti.
Dio,
vero o no, è quindi una necessità per l'uomo, ma una
necessità variabile nel tempo e seguente i suoi sviluppi
ricettivi, cognitivi e di coscienza.
E
qui mi preme affermare che lo sviluppo umanistico raggiunto sia stato
possibile unicamente con l'identificazione con le verità
cristiane, come anche di altre religioni volte al bene sociale.
Lo
sviluppo sociale raggiunto ha, però, mutato il modo di vivere
dei credenti, una volta sempre presenti alle funzioni religiose,
mentre oggi si preferisce rivolgersi agli addetti specializzati,
statali o privati.
Di
fatto lo stato ha assunto in buona parte la funzione di assistente
sociale dei bisognosi che una volta era esclusività delle
autorità religiose.
Conseguentemente
si nota un affievolimento del riferimento ad un Dio benevole e
paterno.
Infine
aggiungo che ricezione, cognizione e coscienza devono concordare,
perchè solo così si crea equilibrio tra il bene e il
male, fattore indispensabile per non finire nella nullità.
Chissà
se un giorno l'uomo si sarà così tanto evoluto, da
diventare un componente valido e importante dell'Universo, da poter
fare a meno di crearsi un Golem, nella sua immagine fantasioso, ma
misericordioso o distruttore secondo il grado della sua presunzione
ed egocentricità.
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