Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Editoriali  »  Necessità e utilità di credere in un Dio, di Lorenzo Russo 14/02/2017
 

Necessità ed utilità di credere in un Dio

di Lorenzo Russo



:



Ho difficoltà a credere nel Dio celebrato dalla chiesa -come in quello proclamato da altre istituzioni religiose- in pratica esercitato più per esercitare il dominio sui credenti che per realizzare le vere annunciazioni del suo fondatore Gesù Cristo, in quanto esso comporterebbe per il credente la rinuncia allo strapotere terreno.

Tra i credenti noto una sostanziosa parte di coloro che, con questo credo, tendono a raggiungere, direi comodamente, una forma di serenità interiore concordante con l'accettazione della vita così come è.

Non sono quindi quelli che vogliono vivere nel senso annunciato da Gesù Cristo.



Affrontare il problema del credo nel Dio cristiano richiede infatti una preparazione interiore accurata e continua, e non solo per attestare la propria idoneità, troppo dipendente dal proprio stato fisico biologico, bensì per formare la necessaria volontà e fermezza di proseguire fino in fondo davanti alle incertezze e crisi che un credo così radicale forzatamente presenta.

Un credo forte e profondo richiede una volontà e fermezza ferrea.

Più elevato e profondo è, più forti e difficili sono gli scontri con la realtà dimensionale.

Qui occorre tener conto che, più basso è lo stato sociale del credente, più elevata è la sua disposizione a seguire gli annunci cristiani.

Infatti egli non ha nulla da perdere, a differenza del benestante e potente.

Che cosa spinge l'uomo al credo in un Dio?

È il bisogno di serenità interiore non realizzabile con le proprie forze?

È l'incapacità di comprendere il senso della sua vita?

È il desiderio di raggiungere sfere superiori?

È il desiderio di immortalità e quindi superamento delle limitatezze dimensionali nelle quali si vede relegato?

È il bisogno di scoprire la sua origine, che lo spinge a perlustrare il suo intimo e lo spazio che lo circonda, nella speranza di scoprire qualcosa di soprannaturale, al quale affidare il suo animo e trovare forza per la vita?

Per prima cosa l'uomo avrebbe bisogno della grazia di discernere tra il bene e il male che gli doni la capacità della rinuncia a tutto ciò che lo indebolisce, e cioè al troppo materialismo, quale consumo senza limiti, godimenti insani che distruggono il suo fisico, la sua anima e coscienza, fino a renderlo un fardello senza scopo e futuro.

Da qui la necessità della preghiera, quale analisi introspettiva della sua coscienza.

Ogni pensiero ed azione nasce dal confronto tra il bene e il male e determinano il suo stato di limitatezza.

Più basso è il suo stato di coscienza, più alto è il pericolo di danneggiamento.

Una coscienza ancora sana riconosce subito il pericolo che gli si presenta, mentre una insana più tardi o non più, quando ormai l'agire nel male è diventato costume, abitudine.

Quando leggo che la nostra cultura è cristiana, sento la necessità di relativare perchè non corrisponde alla realtà.

Infatti essa è troppo dominata da fraudolenti, tessitori di trame e imbrogli, usurpatori, usurai, opportunisti e così via, mentre pochi sono i rimasti onesti e umili, da poter affermare che il mondo si trovi veramente alla deriva.

Oggi è difficile raggiungere lo stato di beatitudine, che tanto aiuta a sostenere la vita nelle sue complicate e turbolente espressioni, perchè l'uomo ha perso la capacità di immaginarsi l'esistenza di un padre celeste, buono e comprensivo, al quale affidarsi.

Qui vengono in gioco l'eccessiva razionalità di concezione della vita che chiude l'accesso all'immaginazione, una volta una medicina per i bisognosi di conforto e aiuto, e l'irrazionalità che rende l'uomo fanatico e distruttore dei valori sociali.

Un mondo, che ha „un Dio“ quale punto di riferimento, ha ancora la possibilità di rigenerarsi, ad eccezione che questo rapporto lo renda paranoico e quindi distruttore di ogni valore umano, quale umanesimo, buonismo, tolleranza, senza i quali alla fine non rimarrebbe che il buio della miscredenza e primitività.

Un mondo senza riferimento a un Dio buono (affermo buono non perchè lo sia veramente, ma perchè è così creduto dal credente), fallirebbe nel momento in cui l'uomo dovrebbe dimostrare di essere in grado di crearsi un futuro.

Il credo in „un Dio“ è quindi riconoscenza dei propri limiti e freno al materialismo estremo, dirompente e distruggente quei valori che sono garanzia di rinascita dopo ogni sconfitta.

Il rapporto con „un Dio“ è un barlume di speranza che infine ci sarà giustizia e uguaglianza tra i popoli.

E qui mi viene di paragonare il rapporto dell'uomo con un Dio con quello tra fratelli.

All'inizio si amano perchè si sentono uniti geneticamente e sono educati insieme dai loro genitori.

Nel corso del loro crescere incominciano, però, a emergere caratteristiche personali differenti, necessarie a garantire il loro sviluppo di persona adulta.

Da qui capita che incomincino a non comprendersi, a contrastarsi e talvolta a odiarsi anche per tutta la vita.

Si nota che ciò che sorge da una formula genetica originariamente indivisa, nel corso della vita si divide, così come l'uomo si allontana dal suo Dio, cioè dalla sua origine.

La vita terrena si prende i suoi figli e li allontana dalla loro origine.

Da qui emerge che sta all'uomo evolvere il rapporto con il suo Dio, affinchè generi frutti buoni, cioè sani e duraturi, che garantiscano il suo ritorno all'origine.

Eppure è anche giustificabile affermare che Dio è una invenzione dell'uomo, come è giusto ritenere che solo con Lui l'uomo è in grado di aprirsi un varco sovradimensionale che lo liberi dei suoi limiti.

Dio, vero o no, è quindi una necessità per l'uomo, ma una necessità variabile nel tempo e seguente i suoi sviluppi ricettivi, cognitivi e di coscienza.

E qui mi preme affermare che lo sviluppo umanistico raggiunto sia stato possibile unicamente con l'identificazione con le verità cristiane, come anche di altre religioni volte al bene sociale.

Lo sviluppo sociale raggiunto ha, però, mutato il modo di vivere dei credenti, una volta sempre presenti alle funzioni religiose, mentre oggi si preferisce rivolgersi agli addetti specializzati, statali o privati.

Di fatto lo stato ha assunto in buona parte la funzione di assistente sociale dei bisognosi che una volta era esclusività delle autorità religiose.

Conseguentemente si nota un affievolimento del riferimento ad un Dio benevole e paterno.

Infine aggiungo che ricezione, cognizione e coscienza devono concordare, perchè solo così si crea equilibrio tra il bene e il male, fattore indispensabile per non finire nella nullità.

Chissà se un giorno l'uomo si sarà così tanto evoluto, da diventare un componente valido e importante dell'Universo, da poter fare a meno di crearsi un Golem, nella sua immagine fantasioso, ma misericordioso o distruttore secondo il grado della sua presunzione ed egocentricità.






 
©2006 ArteInsieme, « 014093121 »