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Editoriali
» Gli studenti non sanno l'Italiano, di Ferdinando Camon |
14/02/2017 |
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Gli
studenti non sanno l'Italiano
di
Ferdinando Camon
Quotidiani
locali "Espresso-Repubblica" 12 febbraio 2017
Ho
insegnato Italiano per tutta la vita, e ho una sconfitta che mi
brucia ancora. Una studentessa delle Magistrali, in un compito in
classe in cui doveva raccontare una gita, aveva scritto: “Il
prof Gamba cade e si rompe la medesima”. Le segno errore blu.
Viene alla cattedra a protestare: “Il prof si chiama Gamba?”,
Sì”, “E non si è rotto una gamba?” ,
“Sì”, “ E non posso scrivere che si è
rotto la medesima?”. Lunga discussione, ma non ha capito. Non
era un errore di lessico, o grammatica, o sintassi: era un errore
logico, del cervello. Scrivere bene in italiano vuol dire far
funzionare bene il cervello. Noi abbiamo alcuni parlamentari, più
d’uno, che sbagliano i congiuntivi e i periodi ipotetici. Ce
n’è uno, allevato dal suo partito come futuro presidente
del consiglio, che se fa tre congiuntivi li sbaglia tutt’e tre.
Lui fa un congiuntivo
e lo sbaglia, lo corregge e sbaglia, lo ri-corregge e ri-sbaglia.
Non
dovrebb’essere in parlamento, andava fermato prima. E quando?
Prima della Maturità. I docenti universitari che protestano
col governo perché gli arrivano studenti che fanno errori da
terza elementare, hanno ragione. Purtroppo.
Ma non vorrei che
l’università si ritenesse innocente di fronte a questo
disastro. Una volta ci si laureava scrivendo un libro, che era
appunto la tesi di laurea: una prova di abilità intellettuale,
ricerca delle fonti, confronto delle testimonianze, costruzione del
proprio punto di vista, e scrittura a mano o a macchina. La tesi era
il primo libro scritto dal laureando, che si sperava poi ne scrivesse
tanti altri. Che cos’è oggi una tesi? Una galoppata
attraverso Internet: in Internet c’è tutto, il laureando
passa di corsa tra i testi che trattano l’argomento della sua
tesi, e pilucca di qua e di là le idee e le formule che
gl’interessano. Una tesi oggi è un lavoro di taglia e
incolla. Il cervello non c’entra.
Per gli studenti, dalle
elementari all’università, non c’è mai una
vera selezione. Alle elementari e alle medie è considerato un
crimine sociale dare voti bassi o negativi a un bambino o ragazzino.
Tutti vanno incoraggiati e promossi. La Maturità, di ogni
ordine, è una tombola: tutto dipende dalla materie che il
ministero assegna, e da quelle che lo studente può scegliere.
In Italiano devi portare un’opera di qualche autore
contemporaneo, ma è più che sufficiente che impari un
riassuntino. Nove volte su dieci, il commissario che t’interroga
non ha letto quell’opera, e sta molto sulle generali: se lui
non l’ha letta, tu puoi cavartela anche se non l’hai
letta. Stiamo avvicinandoci al cuore del problema: non sappiamo più
scrivere perché non sappiamo più leggere. I nostri
studenti (ma anche i nostri professori, il nostro popolo) legge poco
o niente. Vedo che qualche giornale attribuisce la colpa di non saper
scrivere al fatto che abbiamo avuto cattivi maestri, come Tullio De
Mauro, che condannava l’appiattimento linguistico delle classi
sociali basse sul modello delle classi alte, quelle che facevano la
storia, o come Asor Rosa, che per giudicare un’opera giudicava
il suo impianto ideologico, per cui per essere bella dev’essere
di sinistra. Ma no, tutto questo non c’entra. I ragazzi non
sanno scrivere perché non leggono. Non leggono né libri
né giornali. Siamo diventati un popolo che perde la conoscenza
della sua lingua perché non frequenta i luoghi dove quella
lingua è presente: le librerie e le edicole. Se il parlamento
vuol far qualcosa, tratti meglio la cultura e la lettura, i libri e i
giornali. Ma il fatto è che un popolo a bassa cultura è
rappresentato da parlamentari a bassa cultura: indegno con indegni. E
così il cerchio si chiude, e tutti hanno il proprio interesse,
sia quelli del popolo che quelli del parlamento.
www.ferdinandocamon.it
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