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Editoriali
» Referendum: il Veneto odia Roma, di Ferdinando Camon |
10/11/2017 |
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Referendum:
il Veneto odia Roma
di
Ferdinando Camon
"La
Stampa" 24 ottobre 2017
Il
referendum lombardo-veneto non l’ha vinto la Lega, come dicono
tutti i giornali. L’ha vinto la Liga, cioè la Lega
originaria, che era nata nel Veneto e dal Veneto fu portata via da
Umberto Bossi. La differenza percentuale dei votanti al referendum
tra Veneto e Lombardia è del 20 %. Un’enormità.
Poiché sotto sotto il referendum voleva segnare la distanza
delle due popolazioni, la lombarda e la veneta, da Roma, il risultato
mostra che la distanza è infinitamente maggiore nel Veneto.
Roma per i lombardi è un’altra capitale, la capitale di
uno Stato rivale. Per i veneti è la capitale di uno Stato
nemico. Si va a trattare, con i risultati del referendum lombardo:
nuovi rapporti, nuove relazioni, economiche e fiscali. Con i
risultati del referendum veneto si potrebbe andare, se le leggi lo
permettessero, a trattare la separazione. L’uomo veneto odia
Roma e tutto ciò che è romano, quindi anche l’Italia,
sentita come una provincia romana. Il deamicisiano quesito
referendario (“Vuoi che alla Regione del Veneto siano
attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”),
fu inteso dai votanti così: “Vuoi che la Regione Veneto
prenda più larghe distanze da Roma?”. I veneti hanno
risposto Sì. Ergo, Roma è più lontana.
Ai
tempi di Bossi, Roma era ladrona, cioè rubava ai veneti per
dare al Sud. Ma dopo che Bossi & C. hanno pure loro rubato,
questo slogan è caduto. Adesso Roma è quella delle
tasse. Fatalità, siamo a poche settimane dalla nuova ondata di
tasse. Anche questo ha influito sul referendum. Dopo tante giravolte,
secessione, indipendenza, la richiesta si ferma sull’autonomia,
intesa come autogestione delle tasse. L’odio verso Roma è
la spinta che fa emergere l’identità dell’uomo
veneto, che si manifesta soprattutto come identità economica e
fiscale. L’uomo è i soldi che ha. Ecco perché le
tre province che hanno trainato il referendum sono Padova, Treviso e
Vicenza, le tre città leader del nuovo Veneto, che formano la
magalopoli diffusa Pa-Tre-Vi. Una volta la megalopoli era Pa-Tre-Ve,
e Ve stava per Venezia, che però è un leviatano che
marcisce nella laguna, costa più di quel che rende, e dopo il
Mose passa tra le gestioni corrotte. Le figure interiori dominanti
sono sempre le stesse, Berlusconi, la Chiesa. Berlusconi torna in
campo, e riacquista un suo credito come uomo anti-tasse. La chiesa
significa il patriarca Moraglia: con sorpresa di molti, anche mia,
s’è pronunciato con decisione pro-referendum, e questo
ha pesato sul voto.
Sul risultato pesa anche il voto degli
immigrati, perché nelle altre regioni gli immigrati che
diventano cittadini diventano italiani, ma nel Veneto diventano
veneti: non dicono “noi parliamo italiano”, dicono “noi
parliamo veneto”. E votano di conseguenza. Il Veneto venetizza,
non italianizza. Adesso si va a trattare. Operazione difficilissima.
Soprattutto sulla parte economica. Il Veneto dice che gli spettano 15
miliardi di tasse che non gli tornano mai indietro in servizi, ma
vanno ad altre regioni. Il problema è molto semplice: quei
soldi lo Stato non li ha.
www.ferdinandocamon.it
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