Così
è la vita, ma non in eterno
di
Lorenzo Russo
È
vero, la vita è simile a un viaggio senza destinazione certa,
sia con riferimento al tempo e sia con riferimento alla meta da
raggiungere.
Uno
stimolo forte ci obbliga a scrutare il mondo e il tempo che passa, a
muoverci per scoprire il nuovo che sta davanti a noi, fino a quando
sarà diventato vecchio e già conosciuto in ogni suo
elemento reale e in ogni sua assunzione sensitiva.
Il
tutto si svolge come voluto da una forza superiore e sconosciuta.
Vale
la pena di conoscerla con tutti i rischi che l'accompagnano?
Una
domanda che ogni essere si pone, se non nella sua coscienza almeno
nel suo inconscio, quale prodotto delle forze che tutto crea e regge.
Vale
la pena domandarsi perché si vive e perché si muore?
Quest'ultimo
“perché“ potrebbe essere rassegnazione o
liberazione dalle sofferenze e sconfitte subite.
La
stessa cosa se si credesse in una forza liberatrice, che tutto
regola, o nel nulla; la vita ha un proprio compito da svolgere e
l'uomo non altro è che il suo attore-servitore.
Il
cielo non è sempre sereno, e così è con la
gioia, alla quale susseguono la tristezza e la sofferenza e
viceversa.
Due
stadi della vita di differenti composizioni ma simili nell'intensità
degli effetti che lasciano.
Di
fatto, se il tempo fosse sempre sereno non se ne prenderebbe così
tanto atto come quando si fosse mutato da nuvoloso, così è
con la gioia, che diventa più intensa dopo aver subito la
tristezza.
Le
condizioni dell'esistenza si uguagliano quindi, pur essendo
differenti nella loro composizione.
E
il tutto ha un senso, quello di ripristinare equilibrio da uno stato
di squilibrio.
Nella
stessa maniera si vive e si muore più volte nella vita,
seguendo le sue continue mutazioni a incominciare dalla nascita fino
alla morte finale.
E
cos'è con lo spirito, diventato materia per ubbidienza a una
forza suprema, dopo la sua decomposizione fisica?
A
mio parere lo spirito, uguale a energia, muta di nuovo seguendo il
processo universale, così come le stelle muoiono e rinascono
altrove.
Prendiamo
atto di tutto questo e siamo certi che la morte non è la fine
ma un rinascere altrove in un altro stato, condizione.
Qui
non sto a moralizzare sul comportamento di chi vorremmo che fosse
punito e condannato all'eterna dannazione per i misfatti compiuti.
No,
così non è, perché sono essi la linfa generante
i buoni e generosi, se non altro quale reazione per sopravvivere.
È
l'esistenza dei cattivi e dei buoni che ci spinge a distinguere tra
di loro e a scegliere per se stessi.
Purtroppo
anche qui esistono gli inganni di distinzione, così che in
uno, ritenuto buono, potrebbe agire di nascosto il male, e viceversa.
La
difficoltà di distinzione è una tipica caratteristica
terrena, dalla quale è difficilissimo uscirne.
Da
qui posso affermare che ogni supplica rivolta a un Dio è un
delegare le proprie difficoltà di discernere a una forza
superiore, un liberarsi di un fardello diventato troppo pesante,
incontrollabile, incomprensibile.
Da
qui il mio invito di vivere la propria vita nella cognizione che
siamo tutti ignoranti, difettosi, limitati.
L'ambiguità
è propria dell'uomo. È lei che genera infinite
discordie e incomprensioni nell'ambito sociale e civile, da creare
l'impressione che tutto cambi per poi rimanere come prima.
Siamo
prigionieri della volontà suprema, ma siamo intelligenti e
volenterosi a volerla scoprire e raggirarla verso il nostro meglio.
Questo
non toglie il senso di essere stati puniti per aver commesso una
trasgressione grave, la cui punizione è la relegazione nella
dimensione terrena.
Questa
trasgressione è stata commessa dai nostri antenati che sono
sempre in noi.
Un
po' più di umiltà e disciplina ci aiuterebbe a
sopportare questa vita ed ad assicurarci la redenzione.
Una
supplica da sempre rimasta trascurata perché ritenuta
inapplicabile in quanto troppo futuristica.
Il
bene e il suo antagonista il male determinano la nostra condizione di
vita.
Cristo
l'aveva capito e, pur accettando le regole di questo mondo,
coscientemente ne stava fuori, proiettato com'era nel futuro, che
futuro non è ma un ritorno allo stato d'origine, dove tutto
era logico, ineccepibile.
Come
sia difficile vivere come visse Lui è comprensibile, tanto da
poterlo considerare un illusionista, un infatuato di idee fuori da
questo mondo e venuto in terra per smascherare il male,
immobilizzarlo con la forza del discernere l'origine e le cause del
dissesto dimensionale.
Un
corto circuito del dualismo in atto che mette in scatto matto il
male, cioè la limitatezza dimensionale terrena.
Visto
così, posso affermare che il capitalismo è l'origine
del male dimensionale terreno e Cristo la salvezza annullante le
leggi gravitazionali dell'Universo.
Il
giorno nel quale il tutto si dissolverà sarà un giorno
di gioia perenne universale.
È
meglio crederci che vivere in una condizione insensata, condizionata,
senza via d'uscita.
|