“Non è un paese per vecchi”: riflessioni
di una compaesana.
Sto ritornando adesso dal cinema dove ho visto “Non è un paese per
vecchi”.
Mi appare
la scena dell'autostrada dove fu ucciso Giovanni Falcone e la sua scorta e mi
chiedo dove sta la differenza tra le stragi siciliane e quelle texane .
Intanto
per sedare l'ansia e la tensione che mi sono trascinata a casa ho bisogno di
ricomporle in riflessioni scrivendo.
Siccome
fra tanti giornali e riviste che ho qui davanti c'è anche Repubblica, scrivo
per esso.
Scrivo
soprattutto perché penso che un film ,come questo dei
fratelli Coen, merita di avere sottolineata la
metafora che contiene e, se fosse possibile, aprire anche un dibattito sulla nostra realtà per
fare un viaggio nel contesto storico
sociale in cui si vive, cercare somiglianze e differenze per scendere nella personale
interiorità e confrontarsi con il proprio orientamento ai valori altrimenti,
nonostante gli otto Oscar per cui si propone (stasera vedremo), il film resta
un banalissimo western.
Il film tratto dal romanzo di Cormac Mc Carthy(Einaudi) narra la storia di una borsa-valigia inseguita da
uno sanguinario trafficante di droga che uccide spietatamente,anche senza una
motivazione spiegabile, pur di raggiungere i dollari, frutto dei suoi illeciti
traffici, così come lo spietato mafioso
è capace di sciogliere un bambino di undici anni nell'acido cloridrico.
La
borsa-valigia con due milioni di dollari è nelle mani di un cowboy il quale la
trova in una landa desolata,illuminata da una luna
malata, vicino a El Paso, in
mezzo ad un fiume di sangue, di cadaveri, di macchine abbandonate con dentro
panetti di droga, di cani zoppicanti e stecchiti.
La scena,
anche se con motivazioni diverse, mi ricorda l'eccidio
di Portella della Ginestra ma anche le foto sui giornali della strage di viale
Lazio a Palermo negli anni '60. Si tratta però sempre di traffici illeciti
siano essi potere politico o potere
del cemento,ma sempre di denaro si tratta.
Lo
scenario del film lascia immaginare una lotta feroce tra narco-trafficanti.
Inconsciamente
emergono le figure di quei giovani che cadono nelle trappole di questi loschi
individui, in particolare di quel ragazzo elegante e dal viso pulito che, una decina di
anni fa, mi voleva vendere un omega d'oro per venti mila lire.
Il cowboy,ricordando quanto faticosa è stata la sua vita è deciso, cosi
come avviene nelle favole, a non mollare quella
insospettata cornucopia, ma in tempi in cui i dati personali sono di dominio pubblico perché i
congegni per svelarli sono tanti e complessi, anche una valigia trovata in un
deserto non può essere impunemente portata via.
Essa infatti
contiene una trasmittente per cui il trafficante Ghigurt
sa sempre dove si trova e conosce anche
chi la possiede, ossia l'uomo della pick-up, quel tizio che egli, nella
notte, con la jeep aveva cercato sul crinale della caldera senza riuscire a
trovarlo.
Ambientato
nelle desolate terre di confine tra il Texas e il Messico, il paesaggio fa da
specchio alla durezza della lotta fra tre personaggi: lo spietato Killer
impersonato da Javier Barden; lo sceriffo Tommy Lee
Jones, il quale non comprende il tipo di cambiamento che droga e denaro hanno apportato
nella realtà dell'illegalità sociale e abbandona, pensionandosi, il posto di
lavoro; il cowboy Moss(Llewelyn), l'ingenuo
fortunato, cuore buono che si è cercato i guai soprattutto per essere ritornato
sulla scena della strage per portare “l'agua” ad un
trafficante morente.
La
generosità di Moss sottolinea allo spettatore quello che sembra il filo
conduttore di tutto il film: nella vita non possiamo stare contemporaneamente su
due rive. Siamo costretti sempre a scegliere.
Guardando
il film ci si accorge che in fondo, inconsapevolmente, l'attenzione è
concentrata su quel borsone pieno di dollari. E' come se l'umanità che gira in
una dinamica perversa si appannasse davanti alla protagonista assoluta che è quella
borsa-valigia.
Anche la
spaventosa violenza di Anton Ghigurt sembra
consequenziale e autogiustificata. Forse Leonardo Sciascia la descriverebbe con
l'orrore delle rassegnazione che filtra dal “Giorno
della civetta” e forse Hanna Arendt la analizzerebbe
alla luce della “Banalità del male” proprio per la forza autonoma che il male
assume che sgancia completamente il soggetto dall' essere umano.
Il film
concentra sulla valigia due categorie antietiche sintetizzandole nel “potere
del denaro” che porta in sé implicito il fascino della ricchezza “del faccio quel che voglio” del sentirsi padroni di tutto e di
tutti, ossia del silenzio della mente e del cuore.
Per il
fatto che ci mostra
il denaro come l'arbitro della vita e della morte diventa quasi un film evangelico.
Il turpe
individuo prima di uccidere invita la vittima designata a scegliere la vita o
la morte fra testa e croce cioè sulla stessa moneta. Qui la metafora si fa
profonda:
1° perché
in“quel testa o croce” con cui la vittima è invitata a scegliere prima di
essere condannata sembra
esserci la domanda secolare “Dio o Mammona?”
2° perché
anche quel demonio del trafficante è obbligato a rispettare il libero arbitrio
della vittima.
Infatti non uccide il povero albergatore atterrito dalla
percezione di trovarsi davanti alla incarnazione della violenza assoluta, obbligato
a scegliere ha la fortuna di avere scelto la vita perché la morte stava
dall'altra parte, ossia dalla parte della croce.
3° perché
dimostra che la scelta è obbligatoria. Essa è una legge universale che anche il
più bestiale degli individui è costretto a rispettare (Chissà se al piccolo
Matteo o al giornalista
De Mauro questa possibilità è stata offerta!).
Infatti la moglie del cowboy che si rifiuta di scegliere
viene uccisa.
Secondo
me il film oltre a una riflessione sull'attaccamento dell'uomo al denaro
sottolinea il potere di esso in questa società della finanza tecnologica in cui
è diventato il deus ex machina che fa correre persone
e cose lasciando dentro l'anima il deserto, quel deserto che la fotografia di Deakins ha saputo genialmente inventarsi.
Il denaro
mobilita l'intelligenza umana e la conduce per i crinali pericolosi delle
strategie criminali e furbesche finalizzate a inseguire la carta “marchiata”
senza, peraltro, poterla usare neanche per pulirsi le mani sporche di sangue.
Quel
bagaglio,protagonista assoluto di tutto il film,
diventa agli occhi dello spettatore il paradigma del ruolo che il conquibus ha
assunto nel ventunesimo secolo. Le sue avventure e disavventure sembrano, infatti,
quelle stesse del denaro elettronico, prodotto in gran parte da illeciti
commerci, che gira per i mercati della globalizzazione, che attraversa le
frontiere senza che nessuno riesca mai a vederlo, né a sapere dove effettivamente
si trova.
”Non è
paese per vecchi” è un film pedagogico poiché fa capire anche allo spettatore sprovveduto e
superficiale , o a quello che confonde
ricchezza e valori, la violenza che genera il voler possedere a
qualsiasi costo e nello stesso tempo mostra la frattura etica tra il vecchio e
nuovo mondo, fra modernità e post-modernità.
In fondo
ci dice che chi vuol possedere è sempre un posseduto.
I confini
tra Messico e Stati Uniti
si perdono nella landa desolata .
Se non fosse per quel riconoscimento alla
frontiera del cittadino americano come ex combattente del Vietnam non si
capirebbe dove finisce la democratica America e abbia inizio l'arcaica civiltà
messicana.
Entrambe
vivono quella realtà in cui tutte le frontiere si spezzano sotto l'impeto della
droga-denaro-crimine, unico
collante che tiene uniti i paesi del mondo civilizzato e non.
Così le
domande che sorgono spontanee a me siciliana sono del tipo: ”Dove sta il vecchio e dove sta il nuovo? Dove
stanno i confini geografici della nostra isola? Dove stanno i confini tra le
strutture mafiose e quelle istituzionali? Tra il bene ed il
male?”
Sono le
stesse domande che un prete agrigentino, don Domenico Cufaro,
si poneva quando scriveva “Vi racconto qualcosa sulla mafia”.
Visto che
tutto e dovunque è diventato una puzzolente brodaglia, visto che le vecchie
generazioni si son date alla ritirata, umiliate per la battaglia perduta e le
nuove si rincorrono dietro una valigia di denaro che fa il balletto nelle varie
Borse mondiali e considerato che molti di noi, impegnati a cercare un volto
nuovo in cui riconoscere la capacità politica di ripulire l'Italia dalla
spazzatura, non abbiamo tempo per l'etica, la storia e la morale, non sarebbe
il caso di dire qualche
parola per aiutare gli
italiani a capire oltre i fatti, oltre le immagini e le parole?
Tanti
film oggi avrebbero bisogno di una intelligente
ermeneutica da parte dei critici ma la maggior parte di essi si lava quelle
mani in cui sta il potere di edificare o distruggere valori.
Palermo
23-02-2008
Mela Mondì Sanò