Una
magna charta sui diritti e i doveri del signor Testo
di Sergio Sozi
Questo articolo in realtà vuole essere una semplice elencazione
rivolta in primis (ma non solo, come vedremo poi) a chiunque – per diletto o
per lavoro – voglia o debba metter penna su un qualsivoglia testo non da lui
stesso scritto, cioè su un originale. Il motivo di tale elenco è
semplice e facile a dirsi in poche parole: poiché si è scritto e ultrascritto a
proposito di diritti e doveri di intellettuali, operai, comuni cittadini,
piante, cose inanimate ed animali, si è qui ravvisata la mancanza di un qualche
compendio che parlasse dell'indifeso signor Testo – cioè di un qualsiasi
appartenente alla sua vastamente estesa famiglia: che sia esso uno scritto
ricco o povero, purista o colloquialista,
pio o ateo, purché di cittadinanza linguistica italiana e d'ordine letterario
(dal componimento in verso libero alla poesia elegiaca, dalla novella
autobiografica al racconto nero, dal
saggio serio al sanguemisto narrativo-saggistico eccetera, passando per Sua
Maestà il romanzo).
Dunque di Lui, il signor Testo e la sua
schiatta, qui ora parleremo e dei suoi diritti e doveri – anzi meglio diremmo
che tratteremo di come dovrebbe a nostro
avviso comportarsi chi desiderasse mettergli la penna addosso per un motivo o
per l'altro. Dunque, cari lettori, se l'operazione vi riguarda perché la
compite o la vorreste compiere, leggete e pensateci su professionalmente; se
siete degli autori, leggete questo articolo per prender coscienza di quelli che
sono in buona parte anche i vostri stessi diritti e doveri. Non siete degli addetti ai lavori? Be',
allora meditateci sopra quando acquistate un libro; qualsiasi libro oggi
infatti non è piú il frutto dell'opera di chi ci scrive sopra il proprio nome e
cognome o nome d'arte: il libro è la vittima di chi lo ha rielaborato senza
aver prima tenuto in considerazione questa misera magna charta. Se, infine,
di saper come vengono falsificati i libri nel 2009 non ve ne importa un fico
secco perché leggete solo i contratti lavorativi e guardate solo il Grande
Gemello, arrivederci e grazie: sto parlando con altra gente. Con gente che si
merita il diritto di voto in Italia.
E adesso vediamo.
1)
Quando si deve rivedere e/o correggere
un testo inedito per pubblicarlo, bisogna tenere presente il seguente
inderogabile ed eterno principio di base:
tutto ciò che non sia espressamente vietato dalla grammatica della lingua
italiana ''Lo studio e l'arte dello scrivere'' di Umberto Panozzo (Le Monnier,
Firenze 1961) o da uno qualsiasi dei tanti dizionari di gran tradizione, è
implicitamente permesso e dunque non va corretto; tutto ciò che invece sia
vietato, soggetto a diverse interpretazioni o non indicato espressamente dalla
citata grammatica (la migliore mai esistita da noi) e/o dai vocabolari, va
esaminato, cercando di capire se si tratti di un errore dovuto ad ignoranza
dell'autore del pubblicando testo o alla sua consapevole e libera stilistica
personale. Per compiere doverosamente bene questa ultima operazione, il correttore dovrà ovviamente essere meno
ignorante dell'autore.
Dunque, alla luce di questo principio, vanno per esempio considerati dei veri e
propri abusi sul testo i seguenti adeguamenti alle norme della commerciabilità
del libro:
a)
l'eliminazione di ''d'' eufoniche – come in ''od'', ''ed'' o ''ad'';
b)
la soppressione di segni grafici – tonici e/o d'apertura sillabica e/o
segnalanti fenomeni di aferesi, elisione o troncamento (accenti ed apostrofo) –
nonché di segni d'interpunzione o diacritici, laddove siano stati messi al
punto giusto dall'autore;
c)
la sostituzione con le minuscole di lettere maiuscole laddove permesse – per
esempio nelle sigle o in molte denominazioni;
d)
l'eliminazione o l'aggiunzione di corsivati o neretti solo a causa di propria
interpretazione del testo – la propria interpretazione infatti deve sempre
essere secondaria rispetto a quella dell'autore del testo: queste cose vanno
chieste direttamente all'autore, insomma, perché l'editor non può stare nella
sua testa.
e)
il riposizionamento di proposizioni all'interno del periodo – se, mettiamo per
assurdo, in un periodo vi fossero tre subordinate e quattro coordinate, sei
parentesi e dodici trattini di sospensione, ma tutti sistemati in un ordine
corretto, non sarebbero affari che riguardino l'editor, ma solo l'autore: con
lui dunque, e con lui solo, l'editor dovrebbe ragionare e colloquiare.
Educatamente e con umiltà.
Quanto detto si può concentrare in
questo slogan: un testo è, fino a prova
contraria ed in linea di massima, un'opera d'arte individuale che va riprodotta
esattamente cosí com'è, virgola per virgola, oppure rifiutata in toto.
L'editore serio dovrebbe appunto fare questo: accettare o rifiutare un
dattiloscritto per come esso sia al momento in cui gli è stato presentato
dall'autore e pubblicarlo tale e quale. Se invece il dattiloscritto fosse bello
ma pieno di refusi, errori, sbagli varii eccetera, vuol dire che andrebbe
rifiutato e punto o, magari, sottoposto
ad una correzione, da parte di un editor, che sia esclusivamente tecnica (cioè:
grammatica e sintassi rigidamente applicate al testo e stop), non stilistica:
tutt'al piú l'editore può dire all'autore di riprendere in mano il testo e di
ripresentarglielo dopo la propria revisione. L'unica deroga da tal principio
concerne i testi di tipo documentaristico o giudiziario, o i testi che abbiano
in altro modo un valore puramente testimoniale – compresi i lavori di
ricostruzione filologica di testi antichi purché compiuti con criteri
scientifici.
2) Quando si deve rivedere e/o correggere un testo precedentemente
edito per ripubblicarlo, tale testo va obbligatoriamente – ricordatevi che qui si parla
solo di testi scritti in italiano – trattato come segue:
a)
si ripubblica lo stesso identico testo
della precedente pubblicazione – magari con una differente cura, cioè con
diverse note a pié di pagina ed altri apparati esterni (ipertesto incluso,
ecc.), ma tassativamente senza
metter mano al testo stesso;
b)
si fa un'edizione filologico-critica del
testo ricostruendone (come viene da modalità scientifiche, ormai arcinote,
indicato) le parti mutilate, omesse, censurate o comunque ritrovate ed
ingiustamente escluse dalla precedente edizione – ma con delicatezza, prudenza
e rispetto scientifici estremi. Le collazioni e le comparazioni sono ovviamente
operazioni ammesse, sempre purché non si sposti una virgola della editio
princeps o dell'edizione scelta o, eventualmente, ne si motivi puntualmente
qualsiasi modificazione – apportata solo per favorire la leggibilità del testo
alla esclusiva luce delle indicazioni tipografiche e/o sintattico-grammaticali
tradizionalmente accettate dalle usanze filologiche nazionali od
internazionali.
Qualsiasi altro intervento su un testo italiano già pubblicato
precedentemente è da ritenersi inaccettabile manomissione del testo stesso
nonché mortale offesa all'epoca dell'autore e ai di lui voleri, sentimenti,
conoscenze e desiderii, nonché gravissimo insulto implicito all'intelligenza e
alla studiosità dei lettori contemporanei del curatore (cioè anche a voi che state
ora leggendo questo articolo). E qui vorrò essere spietato e preciso, inesorabile: chiunque
pubblichi una versione ammodernata di un testo italiano – cioè un testo di un
autore italiano tradotto in italiano contemporaneo – è a mio avviso un
propugnatore dell'ignoranza popolare; invito
dunque tutti a leggere e ad acquistare solo ed esclusivamente le edizioni dei
testi italiani che riportino il testo originale con un ricco e ben fatto
apparato di note a pié di pagina e/o di quant'altro sia utile per la comprensione
piena del testo.
Ed i doveri del signor Testo? Non ne abbiamo parlato mica!
Ecco dunque, ditemi: come deve fare, secondo voi, un cittadino italiano
qualsiasi per ritenersi al riparo da ogni ricatto od attacco da parte di
privati, istituzioni o altri? Secondo me deve pagare le tasse e rispettare le
Leggi – almeno quelle comprensibili e chiare – o cercare uno scampo legale
dalle Leggi vessatorie o inique associandosi con altri cittadini onesti ma
perseguitati come lui; al limite, se proprio non c'è altro da fare, deve
evitare di contravvenire in maniera troppo visibile alle Leggi – cioè deve
evàdere solo le tasse che non sia proprio in grado di corrispondere, ma pagare
puntualmente le principali. Ecco: i
doveri del signor Testo saranno proprio nel cercare di rispettare con la
maggior meticolosità possibile le leggi della grammatica e dei migliori
dizionari italiani esistenti, lasciando capire che, quando il rispetto non c'è,
si tratta di licenza poetica e autoriale, non di mera ignoranza.