Il
poema epico: colloquio di Renzo Montagnoli con Fabrizio Corselli
a cura di Renzo Montagnoli
Il poema epico che cos'è e oggi se ne scrivono ancora? A queste e
altre domande, sempre inerenti il tema, ha risposto
Fabrizio Corselli, cultore e autore del genere, nel
corso di un colloquio che di seguito potete leggere.
Credo che ben pochi non
abbiano avuto l'occasione di studiare a scuola l'Iliade, l'Odissea e l'Eneide,
forse i tre poemi epici più conosciuti. E' forse superfluo ricordare la loro
funzione di mezzo di comunicazione orale in epoche in cui i libri erano delle
rarità e in cui ovviamente non esistevano né la radio, né la televisione. Ma
cos' è un poema epico? Per rispondere con poche e semplici parole è un
componimento letterario in cui si cantano le gesta, autentiche o leggendarie,
di un eroe o di un popolo. Il valore dell'Iliade, dell'Odissea e dell'Eneide va
ben oltre la funzione di strumento divulgativo, perché presentano
caratteristiche letterarie, oltre che storiche, che da sole ne giustificano la
fama. Successivamente alle rispettive epoche storiche, ci sono state altre
opere epiche nel Medioevo e nel Rinascimento, magari con caratteristiche
diverse, ma sempre finalizzate a serbare la memoria di personaggi quasi
leggendari (pensiamo al ciclo di re Artù, al famoso Cid,
all'Orlando Furioso). Poi c'è il vuoto, cioè il poema epico non trova più
artefici. Secondo te, quale è il motivo?
Il tutto sta, secondo me,
proprio nella parte definitoria del poema, ossia
quella parte che si riferisce alla conservazione e al tramandare la memoria,
l'identità di un popolo. Del resto, i tratti del personaggio principale o
dell'eroe erano i caratteri distintivi del popolo al quale egli apparteneva, e
nel quale si ritrovava oltremodo l'autore.
In questa nostra modernità si è perduta la
“dimensione eroica”, non nel senso di combattere guerre e ottenere la gloria
eterna, ma trovare il coraggio di sfidare la realtà, tutto ciò che ci circonda,
sia essa semplicemente la paura della morte, o perfino il peso dell'esistenza,
l'elevare se stesso oltre ogni barriera e impedimento. Perché adesso è più
eroico riuscire a mantenere la propria identità che brandire un'arma e uccidere
il prossimo. Ciò che si è perduto in toto è il senso della civiltà, il senso di
coesione, la capacità di guardare alla Natura, ed entrare in piena intimità con
essa; gli antichi ben erano consapevoli di questo aspetto della vita. Gli
antichi erano ebbri di illusioni, come i fanciulli, come ben evidenzia
Leopardi, “erano capaci di azioni eroiche e magnanime; erano anche più forti
fisicamente, e questo favoriva lo sviluppo della loro tempra morale; la loro
vita era più attiva e intensa, e ciò contribuiva a far dimenticare il vuoto
dell'esistenza”. Essi erano, da questo punto di vista, superiori a noi sia
nella vita civile, ricca di esempi virtuosi ed eroici, sia nella vita
culturale. Di contro, il progresso della civiltà e la ragione stessa hanno reso
i moderni incapaci d'operare tutte quante le azioni sopra citate, li ha resi
indolenti, ha intorpidito le loro menti, facendo attecchire in quel nulla la
viltà, la meschinità, l'egoismo e la corruzione dei costumi. In buona sostanza,
vi è una caduta degli ideali.
Abbiamo perduto la figura dell'autore che
continua a credere nell'uomo e nella società in cui vive (chiudendosi nella
propria torre d'avorio invece di divenire egli stesso promotore della cultura).
Vi è una totale asincronia tra egli e la vita. Adesso abbiamo soltanto
“scrittori” che sono schiavi del consumismo e che pensano principalmente alle
loro vendite, alla “fama”. Chi, adesso
scrive veramente, in maniera disinteressata?
Una serie di valori importanti,
contemplati finanche nell'epica, si sono quindi perduti per sempre, ma
soprattutto l'interesse verso il mythos. Mancano le basi umane per poter riforgiare
il “verso epico”, tale che divenga nuovamente uno strumento per la
rivalutazione del proprio popolo, dei propri costumi, della politica, e della
propria identità nazionale.
La vita è soprattutto Polemos, una guerra invisibile,
alla quale siamo tutti destinati a partecipare, non con la spada e lo scudo ma
con la nostra integrità intellettuale e la nostra penna, al servizio degli
altri. La nostra è una falsa Democrazia.
Un secondo problema del “verso epico”, attiene oltremodo alla stilistica. Da Aristotele, lo
stile dell'epica veniva definito col termine semnos, cioè nobile, alto. A
causa della tendenza dequalificante sulla tecnica, che non serve, che non è
necessaria per forgiare una poesia, situazione questa di comodo, la poesia ha
subìto un totale appiattimento. Solo pochi poeti sarebbero realmente in grado
di “emulare” tale linguaggio (e parlo di assimilazione,
in senso positivo), perché per quanto una falsa e tendenziosa liberalizzazione
dell'Arte, voglia tutti poeti e scrittori, tale poetica, anche nell'etichetta
di Moderna, presuppone uno studio e una gran conoscenza. Ci vuole
consapevolezza e capacità di strutturazione. Oltre al semnos si affianca anche il
principio del prepon,
ossia della conformità, cioè il considerare l'opera come un insieme di elementi
fra di loro dialetticamente concatenati, ossia ogni
cosa al suo posto (e non mi riferisco semplicemente al carattere formulare della poesia epica). Molti poeti sono bravi
nella poesia singola, non inquadrata in una visione d'insieme come lo può
essere un romanzo, per tale motivo essa andrà a confluire in una silloge.
L'epica presuppone un lavoro di progettazione, presuppone una pianificazione.
Insomma, un'opera completa, e che lo differenzia dall'aedo (in senso tecnico),
proprio per il suo carattere marcatamente creativo; in questo caso parliamo di
“poeta letterario”.
Ciò che ci manca è forse un altro Medioevo
per capire realmente cosa abbiamo perduto.
Quindi, se volessimo
cercare una data in cui si sono iniziati a perdere i valori assoluti dell'uomo,
sia nei rapporti interpersonali, sia nel suo modo di relazionarsi con la
natura, potremmo identificarla con l'avvento dell'attività industriale, più o
meno verso la fine del XVIII secolo. Tu invochi un altro Medioevo per
comprendere che cosa si sia perduto, ma penso ti riferisca al primo medioevo,
cioè quei secoli bui di
regresso culturale e sociale. Mi sembra, però, che siamo sulla buona strada per
incamminarci verso un nuovo medioevo. Gli stati vanno perdendo le loro
caratteristiche di coesione, la cultura tende a regredire per poter mantenere
lo status quo di un potere corrotto e inetto, le invasioni barbariche sono alle
porte, anche se si tratta di poveri migranti, la passione per l'arte è
soffocata dall'unico dio-ideale rimasto e imposto a forza, cioè il denaro.
Pensi che una crisi
socio-culturale come quella che si verificò nel primo medioevo potrebbe far
risorgere tutti quegli elementi di base del poema epico? Potrei anche
immaginare un poeta che si mette a scrivere La fine di una civiltà. Che ne
dici?
Non hai tutti i torti.
Ciò che stiamo vivendo è ancora il preludio, ma questo lascia presagire la
fine. Ciò che però mi fa storcere il naso è proprio la mancanza della
dimensione eroica. Da ciò che ho potuto vedere, il Medioevo arriverà ben presto
ma non è detto che il popolo reagirà, per cui si presenterà molto più buio; io
scorgo solo un sottostare e soggiacere, perché così va bene e piace a molti. La
nostra civiltà sta in rapporto con tale termine come la pace olimpica moderna
sta a quella antica; è solo una falsariga, una pura illusione, poiché ai tempi
antichi le guerre si facevano lo stesso e perfino nella Olimpiade
104 vi fu invasione di campo durante le gare: è come volere la Democrazia eliminando
in toto la guerra, la schiavitù e tutte le brutture di questo mondo, ovvero
facendo finta che non esistano, impossibile se non presuntuoso. Penso proprio
che ciò potrebbe gettare le basi per un genuino poema epico. Solo quando il
poeta si ergerà al di sopra delle rovine del presente potrà iniziare la sua
opera di scavo da archeologo meticoloso.
Vedo un futuro molto simile a quello di
Atlantide, ma chi farà le veci di Platone nel raccontarne la rovinosa caduta?
Abbiamo detto degli
elementi oggettivi, d'ambiente, perché possa esistere lo spirito e l'esigenza
di un poema epico. Tu hai citato anche un problema stilistico che, a mio
avviso, però, sarebbe secondario. Non posso credere che nell'epoca attuale non
possano esistere autori in possesso della preparazione richiesta; magari non
saranno molti, magari non ricorreranno all'esametro, ma devi pur ammettere che
la cosa non è impossibile. Del resto, mi viene già in mente un nome: Fabrizio Corselli. E a tal riguardo ti chiedo, ed esigo una risposta
estremamente sincera, perché tu solo o quasi?
Il problema non è
secondario, ma pur vero che non impossibile e così focale, del resto ho già
detto che vi sono poeti in grado, ma a loro non interessa. Comunque non si
pretende l'uso dell'ottava in esametro o che si aderisca pienamente in un
rapporto mimetico, peraltro sbagliato, con il canone formulare della poesia
epica.
La vita è Polemos ma allo stesso tempo Nymphos, una “energheia” esistenziale “combattuta fra la primordialità dell'essere e la sua bellezza in una eterna e continua contrapposizione”. Tutto ha cessato di
esistere con il rifiuto del movimento estetico a discapito di un'arbitraria e
millantata superiorità delle Avanguardie; è vero che hanno apportato grandi
innovazioni ma hanno cancellato tutto ciò che vi stava prima. Di danni ne hanno
fatti tantissimi. C'è chi ancora spalleggia la negazione del “classico”,
peccato che la nostra “modernità” poggi inesorabilmente sul passato.
Gnỗthi seautón, questo manca all'uomo di oggi, il “Conosci te
stesso”. È impossibile impostare un'opera densa di significato e soprattutto di
grandi ideali se alla fine il destinatario deficita
nella propria componente caratteriale di grande maturità, il tutto attenendo a
una grande consapevolezza interiore. Il poeta, quello vero, quello sincero ha
una grossa responsabilità nei confronti dei suoi simili, egli è finanche
portatore di quegli ideali che caratterizzano l'era in cui vive.
Sarebbe troppo presuntuoso dire me stesso,
come unico poeta esistente per l'Epica Moderna, però penso che il tutto si
riferisca al mio attivismo, non mi arrendo e tantomeno mi piego
all'annientamento culturale propinato dai media e dalle false classi
intellettuali che invece di diffondere le diverse categorie artistiche, cercano
di fissarle in schemi preformati con troppa convinzione e superficialità. Ti
spiego. Oramai critici e case editrici fanno da padroni, stabiliscono cosa è
Arte o no, cosa è cultura e no, chi è scrittore e no. Se non pubblichi non sei
uno scrittore. Dipende chi vi sta al potere mediatico, al pari della politica
(limitatasi adesso al solo show televisivo). Una cosa comunque è l'Editoria e
un'altra la Scrittura.
Io con animo serafico, mi oppongo a ciò
nella maniera più tranquilla, ossia seguendo i miei ideali, portandoli avanti
con impegno, passione e soprattutto consapevolezza. Per mia scelta ho deciso di
usare per esempio l'e-book per diffondere i miei scritti, potendoli scaricare
gratuitamente. Non faccio alcun male e tanto meno dispetto a nessuno.
Soprattutto adesso che ho il supporto di un vero e proprio sito. C'è ancora chi
mi critica, in maniera tediosa, adducendo questa mia condotta a un presunto
ripiego perché non sono stato pubblicato da un Editore (ritorno al pensiero ciclico
esposto). Ma io i manoscritti non li ho nemmeno consegnati.
Mancano la Passione e l'Amore. Come
ben si evince nell'epica, non esiste solo il Pathos ma anche l'Ethos, e la
separazione del linguaggio del pathos da quello strettamente epico è pressoché
impossibile. Noi siamo travolti dalle emozioni, quelle profonde, dimensione che
ha principalmente caratterizzato la tragedia greca. Il poeta per primo deve
appassionarsi, commuoversi, crederci a tal punto da abbattere totalmente le
barriere del reale, facendosi portavoce di quei sentimenti ai quali ogni uomo è
sottoposto, facendone del dolore, della sofferenza, perfino di un intero popolo
(in questo sta la sua condotta) i temi principali. Per tale motivo è richiesta
fermezza d'animo, fiducia nelle possibilità umane e soprattutto una meditata
speranza sul futuro dell'umanità. Questa mia fermezza di giudizio da molti è
vista come una condotta spocchiosa, come un rifiuto a priori di qualsiasi “loro
vacua lamentela”. Si tratta solo di comprensione. Il pathos oltremodo viene
ancorato alla parola, a quelle scelte lessicali che definiscono espressivamente
un ben preciso stato d'animo e ideale; oggi non hanno più valore le parole: orghé, kalos, komos, e così ancora i virgiliani furor e fremor, la stessa sophrosyne, la
consapevolezza dei propri limiti.
Come è avvenuto il tuo
incontro con il poema epico e il relativo innamoramento?
Fughiamo prima di tutto
ogni indugio. L'interesse e l'amore per il poema epico sono una diretta
derivazione della passione che ho sempre nutrito da piccolo per l'archeologia e
la classicità in rapporto alla terra in cui ho vissuto per ben trentacinque
anni. Non nasce per caso. Si può dire tranquillamente che la mia vita l'ho
passata tra siti archeologici e musei. Ho avuto la fortuna, nel periodo delle
Medie, di visitare il bellissimo museo di Himera
prima che chiudesse successivamente. Per cui il mio interesse non è artificioso
e la mia scrittura improvvisata. Ho conosciuto l'epica, sempre alle medie,
studiando l'Iliade e via via appassionandomi a tal
punto da leggere l'Odissea, le Argonautiche, producendo oltremodo una tesina di
gruppo sull'Egitto e sull'Archeologia. Il mio cuore è lì, fra quelle rovine,
che a molti possono sembrare solo pietre e polvere, ma è in quella polvere del
tempo che riecheggiano i lamenti dei grandi eroi, dei grandi uomini, di
divinità e miti, e di perdute civiltà. Ogni pezzo singolo ha una sua storia,
così come ogni singolo verso all'interno della propria cronistoria poetica.
Per ciò che concerne invece la fase
compositiva, quella è arrivata tardi, nel 2004. Fino ad
allora, ho portato avanti, in maniera metodica, una serie di studi di
stilistica e di poetica, affinando così anche una serie di teorie estetiche
proprio sul verso. Inoltre, la pulsione alla narrazione, l'amore per i giochi
di narrazione orale e giochi di ruolo, hanno condotto il mio estro a fondere
insieme l'epos e la poetica, come una sorta di forma compensativa, dando poi
vita a ciò che io adesso scherzosamente chiamo “metro arcadico” o “epica
forma”. Un verso libero, si badi bene, altamente musicale che si snoda lungo
ben precise nervature strofiche e che nella sua pura euritmia testuale innerva
continuamente figure retoriche di rottura sintattica. Giordano si espresse con
gran precisione nei miei confronti, sulla mia ritualità compositiva. Col verso
cerco di ricostruire il Caos partendo dall'armonia e viceversa; alla musica è
affidato il grande potere di seduzione cosmica che tanto caratterizzò il
mistero di Orfeo. Da questo punto di vista, considero più attinente l'etichetta
che mi viene data di “Orfeo dei tempi moderni” e non di “Omero”.
Secondo alcuni detrattori, i miei versi
sarebbero privi di ritmo. Questo spiega molto del problema poesia oggigiorno.
Basta prenderne una per rendersene conto, non ci vuole molto.
Prima di tutto, a
beneficio dei lettori, ma anche mio, chi è Giordano? Dunque la passione nasce
dalle antiche vestigia, dall'archeologia, ma questo, se spiega molto, però non
è del tutto esaustivo, perché nella tua epica la componente mitologica, ovvero
fantastica, è preminente. Questa circostanza mi induce a pensare che la
letteratura fantastica abbia su di te un grande ascendente. E' vero e, se sì,
perché?
Hai ragione, è dovuta una
spiegazione ben precisa. Emanuele Giordano è un critico letterario, molto
acuto, ma soprattutto uno studioso di Letteratura e Filosofia. Insieme a Matteo
Veronesi, a Lorenzo Flabbi, Simona Iovino, e cito anche te, fa parte di quelle persone che
hanno sempre seguito, e che seguono con interesse, i miei lavori e la mia
poetica. In particolar modo, Giordano ha scritto un interessantissimo
intervento sul fonosimbolismo e l'aspetto mitico nella mia poesia, consultabile
presso il mio sito personale Achilleion (sezione
“Articoli e Interviste”, col titolo “Il Canto delle Sirene”).
Il Mythos, ossia
il racconto, in me nasce dall'esigenza di oltrepassare la soglia del reale, per
trasfigurarlo e da questo “nuovo mondo” manipolato ritornare, in maniera
circolare, alla realtà stessa. Io parlerei di uno spropositato ascendente. Sin
da piccolo l'immaginario ha giocato un ruolo fondamentale sulla mia capacità di
astrazione, sulla mia capacità affabulatoria. Il
raccontare fiabe e storie fantastiche è solo il preludio di un processo molto
più ampio che è l'atto immaginativo. Anche qui mi ripeterò nuovamente, citando
le parole che ho impiegato nell'ultima intervista da parte dello scrittore Luca Azzolini
«È un retaggio infantile quello di voler raccontare storie fantastiche, fatte
di draghi e cavalieri», e aggiungo “non solo”, «che
però nel tempo è cresciuto e si è sviluppato lambendo i confini della
mitopoiesi. Il fantastico è immancabilmente legato a una esigenza
della mente umana altresì a una sua capacità che spesso viene messa da parte o
quasi dimenticata (a discapito del discutibile “vissuto”), anche dagli
scrittori più autorevoli, ossia l'Immaginazione. Il potere dell'immaginare è
infinito, un potere tale da costruire nuovi mondi, da controllare il tempo e
metamorfosare la propria esistenza in una proiezione di se stessi, in un alter
ego che vive all'interno d'una realtà testuale. Il libro come dimensione
parallela.”. “La capacità di saper tessere trame, di intelligere secondo schemi fuori della logica formale, di
approfondire personaggi all'interno di un sistema narrativo, di operare
crossover fra tipologie diverse di personaggi e mondi. Il
fantasy non è solo letteratura d'evasione ma un nuovo modo di interpretare la
realtà, seppur in un sistema traslato, trasfigurato come lo è l'atto che è
sotteso all'attività artistica”. Il fantasy è necessario, anche come
intrattenimento, la mente non è fatta per assorbire della realtà, nuda e cruda,
tutto quanto, ha bisogno di staccare, di evadere, di trovare il proprio luogo
di quiete, il proprio choros apemon, un
“luogo sicuro” dove le leggi del reale non esistono più e il peso della società
si affievolisce fino a divenire un dimentico ricordo. Infatti, uno dei miei
luoghi preferiti dove ambiento la maggior parte dei miei lavori è il bosco,
luogo magico e dalle mille risorse».
Tuttora scrivo presso la rivista DM Magazine, impegnato nella
progettazione, a livello amatoriale, di ambientazioni per il gioco di ruolo,
contemplando elementi fantastici come creature, luoghi, personaggi e zone
geografiche. Tutto questo, iniziato nel 1985 con il gioco di ruolo Uno Sguardo nel Buio, ha sviluppato in
me la capacità di costruire, in poesia, un'opera tematica che esuli dalla
semplice silloge. Lo scrivere trame, il realizzare avventure, il gestire le
interazioni tra personaggi, e tanto altro vanno a confluire nella progettazione
di una vera e propria storia completa di background per la mia opera
letteraria. Un esempio è Promachos e il Tamburo da Guerra; esso però non
ha le fattezze piene di un'opera narrativa, è pur sempre un'opera che va letta
da lettore di poesia. Le sperimentazioni ibride non possono essere prese in
toto come opera narrativa effettiva, sarebbe un errore gravissimo, tanto che le
parti narrative sono definite “ponti narrativi”.
E degli autori di poemi
epici del passato, quali consideri sempre attuali e per quale motivo? Immagino
che citerai Omero, sulla cui capacità di parlare dell'uomo come essere
complesso e quindi con l'invidiabile dote di universalizzare il suo pensiero,
andando anche ben oltre gli stretti limiti temporali, non penso ci possano
essere dubbi. In pratica ti chiedo alcuni nomi e le loro caratteristiche di
contemporaneità.
Tralascio di proposito
Omero, in quanto auctor
del genere. A me interessa parlare di chi è venuto dopo, e quindi del suo
rapporto con la tradizione dell'epica antica. Il poeta che cito è Virgilio. Pur
parlando di omerismo nei suoi confronti, Virgilio
dimostra una grande padronanza non solo stilistica ma
anche di rimodulazione dei canoni e dei temi dell'epica omerica. Infatti,
rapportandoci a lui, non parliamo di mimesis o di aemulatio, bensì di appropriazione,
ossia la capacità di fare proprio il bagaglio tecnico-culturale di un altro
poeta, in questo caso di Omero. Anche se evidenti i rimandi, Virgilio comunque
cerca di discostarsi dal poeta greco. Ma ciò che a me è caro del poeta latino è
il suo ethos, il quale non rifiutava i valori più antichi del modello epico
ossia il coraggio in guerra, la resistenza alle fatiche, l'impegno politico, il
vigore guerriero stesso, ma ne aggiungeva altri, sotto il termine universale di
humanitas.
Da ciò derivano, quindi, la capacità di guardare al destino, alla storia, farsi
partecipi della sofferenza e del dolore altrui, dimostrando così comprensione e
sensibilità (come accennato nella prima domanda). Assistiamo al recupero di
ideali e concetti tuttora vigenti nella nostra società moderna. Un ethos che
oltremodo trasforma l'Eneide in un “poema dei vinti”.
Una visione che è costante nei miei poemi,
tanto che viene eliminata la dimensione epicurea del Dodekatheon,
rendendo gli dèi simili agli umani: essi soffrono come i mortali e forse anche
di più; c'è quindi una antropomorfizzazione
della sfera divina. La vedo più come una visione prassitelica,
in cui le divinità sono pervase dall'aura di Aglaos Hebe, dea della Gioventù, ma vinti da una esistenza mortale e messi in una posizione che richiede
un supporto. È lì che il poeta interviene e li salva da una rovinosa caduta,
perché essi incarnano degli ideali. Per tale motivo il tono dei miei versi si
avvicina più all'elegia che all'epos. Per esempio la stessa presenza dei portenta, è una
potenzialità inespressa dell'uomo, e non della divinità. In Promachos
l'evento che scaturisce dal canto di Melesigenes è la
semplice attestazione di come il poeta raggiunga le alte vette del lirismo
poetico, liberando la propria fiamma ispirativa, il
lambire l'Ineffabile attraverso la metafora della fiamma che attraversa
l'intero asse strofico dell'opera.
Ci avrei scommesso, anche
se personalmente preferisco il Virgilio delle Bucoliche e delle Georgiche, più
spontaneo, più legato alla sua origine celtica e per nulla guerriero (e del
resto non lo fu nemmeno in vita). Comunque comprendo la scelta (fra l'altro il
mio concittadino aveva una vera e propria mania per la perfezione stilistica) e
considerando che l'autentica grandezza dell'Eneide risiede proprio nel
sentimento di pietà di cui è pervasa, del tutto insolito per un autore
dell'epoca e anche dei secoli precedenti. Ma, spostandoci un po' nel tempo,
cioè avvicinandoci alla nostra epoca, pur restando ben in là dal raggiungerla,
non ci sono altri? Mi par strano, perche ce ne sono di famosi e che hanno i
requisiti della domanda. Tu che ne dici?
Penso di sapere proprio a
cosa tu ti riferisca. In tale maniera, però passiamo direttamente all'epica
cavalleresca, genere che ha comunque fatto dell'epica di Omero e Virgilio il
proprio modello di stile e ampio insieme di personaggi e vicende eroiche,
seppur differendo poi nello sviluppo dei temi. In
Francia abbiamo avuto la Chansons de geste e in
Inghilterra il Ciclo Bretone, e non
possiamo non citare l'emiliano Ludovico Ariosto, e il suo Orlando Furioso. Un
poema epico che introduce innovazioni linguistiche e sintattiche, e soprattutto
a me caro, l'elemento creativo, della fantasia, che fa dell'Orlando un lavoro
simile a una fiaba. Soprattutto nell'opera, l'Ariosto tende a presentare i
valori dell'uomo rinascimentale, e dei cavalieri, seppur attraverso la figura
retorica dell'ironia, tende a criticarne i loro valori. Ricordiamoci che ci
apprestiamo alla fine di un'età storica, il Medioevo. I cavalieri cercano
sempre l'avversario da battere, il cavallo perduto, la donna amata e così via;
uno potrebbe dire benissimo che essi sono i soliti topoi letterari, ma all'interno
di questo schema, Ariosto pone l'azione dell'uomo rinascimentale sempre diretto
verso la realizzazione delle proprie capacità, e una visione dei principi che è
più terrena che altro. Ma i personaggi sono strumenti
letterari del poeta e così, Ariosto sviluppa attraverso una sapiente
dislocazione degli eventi e dei personaggi stessi, i temi a lui cari.
Un altro autore è Corneille,
drammaturgo francese, anch'egli noto per il carattere e la realtà umana dei
suoi personaggi presenti nell'opera il Cid (anche se
non proprio epica). A seguire, abbiamo poi molti esempi come il Kalevala, il Beowulf, il Canto dei Nibelunghi, Il Cantare del mio Cid,
poema epico spagnolo formato da 3733 versi di un autore anonimo risalente al
1140 ca.
Se invece dobbiamo parlare di “epico” e
non di epica, e quindi non strettamente connesso alla struttura formulare e
così al verso, aggiungerei anche Le Mille
e una Notte (in riferimento alla dimensione umana dei personaggi, rappresentati
soprattutto da gente umile), Horcynus Orca di
Stefano D'Arrigo e Omeros
di Derek Walcott (in versi), e aggiungerei anche i Cantos di Ezra Pound.
E attualmente, chi, oltre
a te, si interessa, come scrittore, del poema epico?
Che io sappia, nessuno.
Ho cercato nel tempo di individuare poeti e scrittori che potessero avvicinarsi
all'epica in versi, ma non ho trovato nulla. Ho cercato anche nell'ambito del
fantasy, ma il risultato è stato il medesimo sempre parlando di poema, e non di
narrativa. Questo non mi rende unico ma nemmeno significa che io debba
rappresentare una specie in estinzione o comunque un pazzo che conduce un
percorso solitario. Ho fatto delle scelte e mi prendo le mie responsabilità;
soprattutto sono coerente con me stesso. Del resto, ho ereditato una cultura
che appartiene alla mia isola natia.
Questo per eventuali
autori, che al momento non ci sono. E invece per i lettori come si è messi? C'è
gente che ama il poema epico, al di là di ciò che si insegna a scuola, o anche
i recettori latitano?
Purtroppo questa è una
nota dolente, poiché anche la condotta irresponsabile della maggior parte dei
lettori dequalifica tale genere e lo confina nell'abisso. La distorsione
concettuale che sta alla base del rifiuto, o meglio dello scetticismo nei
confronti dell'epica è la sua correlazione col mito. Da molti l'uso del mito è
semplicemente visto come un rendere artificiosa la
realtà circostante, lontana dal “vissuto” dell'autore, e quindi vacua, come se
ella appartenesse al passato, e quindi qui si chiude il ciclo. Ma non solo,
poiché tutto ciò che proviene dalla inventio è distante da quel canone
comune che è andato avanti dopo la negazione del movimento estetico, e cioè
l'interdipendenza dell'opera con l'esperienza del poeta. Il mythos
non è solo uno strumento attraverso il quale l'autore trasfigura l'intero
contesto per poi giungere alla verità, impiegando i protagonisti e gli eventi,
seppur fantastici o leggendari, come modelli. E quel genio di Platone ne sapeva
qualcosa.
I lettori ci sono ma sono troppo pochi e
specifici, circoscritti soprattutto all'ambito delle Facoltà Classiche o agli
amanti della mitologia. I greci ai loro tempi avevano il loro “pubblico
addestrato” e i poeti conoscevano già i loro destinatari. La maggior parte dei
lettori di oggi sono per la letteratura da consumo. E l'epica (Moderna) è troppo impegnativa, date le sue implicazioni a livello
strutturale.
Altri lettori di epica invece li si trova nell'ambito del fantasy, ma sempre legati alla
narrativa, di cui sono comunque un grande appassionato; a proposito cito David Gemmell e la sua trilogia su Troia.
La poesia non ha grande successo, se non
quella che aderisce ai dettami imposti dalle Case Editrici (o meglio
imprenditori) e critici militanti. Come la definisco io, è più adatta al
lettore moderno una poesia fast food.
Ti racconto un piccolo e divertente
aneddoto e poi capirai. Tempo fa un amico di mio fratello,
vedendo il mio scaffale, denso di libri di epica e dizionari di mitologia, mi
chiese “Puoi prestarmi l'Iliade di Omero? Sai io ho
studiato al Classico”. E allora, io, finalmente ravvivato da tanta
speranza, presi la copia con la traduzione di Ippolito Pindemonte
e gliela prestai. Ma l'illusione durò ben poco, poiché egli, con fare
tranquillo, subito mi disse, dopo avere sfogliato le prime pagine: “Ah ma è
poesia, pensavo fosse narrativa”. Non c'è bisogno di continuare.
Io cerco sempre di diffondere la cultura
dell'epica in tutti i modi, magari risulterà inefficace, spossante, se non
titanico, o addirittura inutile data la complessità dei miei testi (secondo
alcuni detrattori), ma continuo nel mio proposito.
Un libro che consiglio sempre è la Poetica di Aristotele
insieme al Simposio di Platone.
A volte anche un genere
non ha lettori perché poco conosciuto e credo che la maggior parte abbia un
concetto dell'epica limitato agli studi classici, quindi visto più come una
necessità che un piacere. Il fatto poi di non trovare sul mercato altre
pubblicazioni tende a dissuadere un eventuale interessato nel continuare a
seguire il genere stesso. Al riguardo mi sembra che tu stia cercando di
propagandare il poema epico con una casa editrice, le Edizioni Achilleion. E' così?
Hai pienamente ragione.
L'epica è rimasta ancorata al passato così come oggi si considera la categoria
del bello e la fruizione estetica prerogative di un'era, diciamo ancor più
grave, di una civiltà precedente. La nostra modernità, vuoi o non vuoi, deve le
sue origini al pensiero antico e su di esso poggia come invisibili fondamenta.
È vero, sto cercando di propagandare il
poema epico, non che non l'abbia fatto prima, solo che adesso è più forte la
pulsione, diciamo la necessità di farlo, e non si tratta di una Casa Editrice.
Finalmente, dopo tanto tempo, sono riuscito a realizzare un sito vero e proprio
e non un blog, dedicandolo interamente all'Epica Moderna. Achilleion, nome del sito,
rappresenta un'ampia vetrina dedicata alla cultura classica e alla poesia
antica, contemplando finanche saggi, articoli ed estratti da diverse opere.
Oltremodo alcune sezioni specifiche permetteranno al lettore appassionato di
seguire in maniera sempre aggiornata i miei lavori (Work in Progress) e di scaricarli gratuitamente una volta che
saranno disponibili.
A
supporto del sito, molto articolato e carico di materiale consultabile, ho
deciso di lanciare le Edizioni Achilleion. Una serie
editoriale molto corposa e profonda, sia per contenuti sia a livello grafico,
che curerò interamente io stesso, avendo così l'opportunità di sganciarmi dalle
precedenti pubblicazioni con le diverse Associazioni. In questa maniera,
mantengo autonoma la gestione della mia personale produzione letteraria. Le
Edizioni Achilleion rivoluzionano non solo
l'impostazione strutturale del formato E-Book, ma andranno a modificare anche
l'intera stesura dell'opera in questione, a livello di background. Una serie
più vicina al lettore moderno ma anche a quello più esigente, senza perdere
nulla del mio stile personale, che anzi verrà improntato più sull'epos, anche
se ritenuto dai miei detrattori pedante, fastidioso e
noioso. Non ci si accontenta mai. Qualche stolto che mi legge, per fortuna c'è.
Chi lo volesse, già da adesso, potrà
consultare le linee guida delle Edizioni Achilleion
(in formato e-book), connettendosi direttamente al sito (www.achilleion.sitiwebs.com), alla sezione “Edizioni Achilleion”.
A lanciare le edizioni Achilleion,
sarà l'opera “Syrinx – Alla ricerca del flauto di
Pan”, un poema di 2000 versi e più, «una sorta di carmen
perpetuum, una catena di strofe distese e fluenti che
ricordano il respiro compositivo del D'Annunzio di "Maia" e, nel
contempo, la melodia infinita di Wagner – immersa però, per così dire, nelle
atmosfere liquide e rarefatte di Debussy: il tutto
pervaso, poi, dalla sensualità quasi incorporea, quasi illusoria, sospesa fra
carnalità ed allucinazione, fra sensazione e rapimento, di Mallarmé
(Matteo Veronesi)». Un lavoro al quale tengo molto, soprattutto per il saggio
in esso contenuto che tratta il tema del “bosco” e della “natura” come elementi
dell'io lirico, in chiave estetologico-letteraria.
Soprattutto, ritornerò al poema unico, mettendo da parte le sperimentazioni
ibride (poesia e narrativa). Per ciò che invece concerne la Saggistica, uscirà la
seconda edizione, ampliata di Dodekadromos: un ampio
reportage sulle gare equestri nella Grecia Antica.
Sempre a livello di diffusione, mi preme
segnalare invece un importantissimo evento, che organizza annualmente la Mediateca di Santa
Teresa di Milano (Mediabrera), in più incontri, dal
titolo Letture Multimediali in lingua
latina e greca, e curato dal Prof. Franco Sanna,
col quale adesso collaboro. Riporto il testo di presentazione
dell'evento: “La lettura pubblica di testi letterari di alto livello è
diventata una prassi consolidata in tutte le città italiane e suscita la
curiosità di un pubblico che non si accontenta di un semplice intrattenimento.
Le iniziative culturali di questo genere svolgono una funzione di divulgazione
e diventano
contemporaneamente un momento di aggregazione di persone, mosse da motivazioni
diverse e attirate dalla possibilità di trascorrere il tempo ascoltando testi
selezionati in un ambiente dove non si è distratti dalle urgenze quotidiane.
L'incontro è proposto ad un pubblico curioso e disposto ad ascoltare la grande
poesia con i suoni e i ritmi della lingua originale. La lettura in lingua
latina o greca sarà preceduta da un'introduzione e da qualche indicazione linguistica,
mirante a evidenziare la continuità. Come si svolge? Dopo una breve
introduzione mirante a fornire le coordinate cronologiche e culturali
dell'autore e delle sue poesie, inizia la lettura dei passi scelti. In
sincronia con la lettura vengono proiettate su uno schermo le traduzioni in
italiano con delle diapositive arricchite di immagini ornamentali. Le traduzioni, inedite,
mirano a riecheggiare il più possibile il lessico e l'ordine delle parole.
Sullo schermo viene prevalentemente proiettata la traduzione italiana, ma
alcune volte compare anche il testo originale: in questi casi un colore diverso
segnala i passi corrispondenti.
Penso che una delle
difficoltà che può incontrare il comune lettore nell'avvicinarsi al poema epico
sia la diversa struttura. In un'epoca in cui tanto si corre, e spesso a vuoto,
la normale poesia richiede assai meno tempo per essere visionata e poi
generalmente in un libro si può pescare a caso, perché non c'è quasi mai,
tranne nel caso di sillogi tematiche, una continuità. Il poema è diverso perché
ogni sua parte è strettamente collegata alla precedente e alla seguente e
quindi richiede un tempo di lettura e anche di correlazione senz'altro più
lungo. Aggiungo, poi, che ci si aspetta una consueta armonia (per quanto non
poche poesie attuali ne siano prive), insomma è diverso l'impatto, perché nel
poema epico l'insieme dei versi è caratterizzato soprattutto dalla sonorità e
dalla solennità, il che induce a ritenere di trovarsi di fronte a qualche cosa
di assai complesso, di difficile comprensione, anche se poi non è proprio così.
Quando poi si ricorre come metrica all'esametro, le cose si complicano
ulteriormente.
Concordi?
Nel tuo caso, di uomo del
XXI secolo, come hai pensato di sviluppare il poema epico al fine anche di
renderlo di maggiore accessibilità?
Hai già sintetizzato perfettamente, caro Renzo. La poesia epica, sia essa antica
o moderna, deve sottostare, non dico in toto per il secondo tipo, alla
struttura formulare che le è propria, ma a una serie di accorgimenti stilistici
che le infondano immancabilmente il senso dell'epos, ossia della narrazione. Si
abbandoni il concetto di poesia da silloge. Un poema d'epica moderna non può
permettersi alcun cedimento, alcuna debolezza, deve puntare alla coerenza
soprattutto perché deve possedere una struttura diegetica simile al romanzo, ma
non ha la pretesa di essere tale e quale: vi è una storia, peripezie,
contrasti, inversioni di tendenza, relazioni fra avvenimenti e personaggi. Come
già detto prima, in esso deve essere soddisfatto il concetto di prepon (e non si ha la pretesa di scrivere
come Omero). Seppur nobile e alto lo stile (lexis), al verso si affianca
anche la costruzione di un tessuto ritmico-melodico
che scandisca l'azione, il movimento dei personaggi, la loro sfera emotiva deve
innalzarsi verso liriche vette, tali che l'eroismo e la dignitas
del personaggio vengano ricoperte da una fulgida aura di gloria eterna; un po'
come avviene nelle colonne sonore dei film quando il climax va crescendo e la
musica si trasforma in immagine visiva, accompagna il protagonista, diviene
partecipe del suo agire. Ma in poesia, tale armonia si snoda lungo tutto l'asse
strofico, preparando quel terreno fertile su cui il poeta comporrà la sua
mirabile melodia; egli cementa ogni singolo verso con l'unica malta che
conosce, ovvero quella dell'ispirazione poetica. La tensione che viene creata
dalla musica fa da collante nei confronti di ogni singola parola, le tiene
unite in una perenne vibrazione, quella della propria anima poetica. Non solo l'epica
è solenne ma si piega al volere dell'oidos, del canto che si veste di forza cosmica, d'un canto
che incarna i presupposti di una musica orfica. Il senso della seduzione
tramite l'in-canto, il poeta opera come le sirene, ammalia il lettore perché
esso naufraghi verso lo scoglio, pronto a infrangersi contro l'enigma della
poesia stessa, ed egli soltanto sarà capace di superare la difficoltà che cela
quell'insieme dei versi, non saturando le proprie orecchie con la cera, ma col
coraggio di udire a mente aperta ciò che al contrario lo renderà consapevole
d'un sapere superiore.
Il lettore odierno ha maggiore difficoltà
perché tendenzialmente è pigro e presuntuoso nella sua indolenza, ma
soprattutto non ha la preparazione culturale. Viviamo adesso nell'era di
Internet, di Wikipedia e di Google, laddove basta un
click per ricercare informazioni su un dato fatto o personaggio. Mi sembra
davvero assurdo che l'utente non abbia la volontà di fare una breve ricerca,
quando l'ostacolo gli si presenti di fronte, ma purtroppo è così.
La difficoltà dei miei testi viene
rappresentata soprattutto dalla fitta referenza mitologica, in cui viene
immersa l'opera, e dal traslato. Non pretendo che ognuno di loro abbia sei o
sette dizionari di mitologia, come faccio io, compresa la consultazione di
quello etimologico del GRIMM di Trieste, ma come visto sopra, è tutto a portata
di mouse. La stilemica può risultare di difficile
comprensione per qualche figurazione abbastanza ardita, e sempre legata a miti
particolari o a referenze troppo sottili: per esempio, il più banale, se dico
“muse aptere”, intendo le sirene, in quanto prima muse anche loro, ma dato che
offesero Calliope, quest'ultima le privò delle ali.
Tolte queste piccole sottigliezze, il tutto scorre tranquillamente, soprattutto
per l'elevata impostazione ritmica che imprimo al verso libero attraverso una
serie di figure retoriche atte a corroborare la solennità dell'insieme. Per
esempio, impiegando la figura della Disgiunzione fra una o più inarcature tendo a spezzare il verso in modo da creare un
disaccordo molto più forte, ci si avvicina a quella forma caotica che prima o
poi partorirà la tanto agognata armonia. Adesso ho capito cosa voleva dire
Giordano con il termine “ritualità” compositiva.
A dire il vero, in quanto la mia
produzione letteraria non sottostà a nessuna casa editrice, e quindi a canoni
di marketing ben specifici, di contro non applico nessun tipo di tampone o
filtro, facendo fin oltre un uso indiscriminato delle diverse varianti mitografiche che caratterizzano molti paradigmi mitici. Ma
l'opera presuppone ricerca, come la vita, e sta al lettore adoprarsi per
evolvere anche il suo status. Ho sentito di persone che non hanno un dizionario
a casa, o addirittura libri. Io mi prendo le mie responsabilità, gli altri le
loro.
C'è da dire comunque, che con le Edizioni Achilleion, le opere saranno ancora più orientate verso
l'epos, e di conseguenza più fluide e maggiormente comprensibili rispetto alle
precedenti basate su uno stile più traslato. Soprattutto perché ho deciso di
inserire le note di chiarimento su alcuni passaggi.
Ringrazio Fabrizio Corselli per questo
colloquio sul Poema epico, che penso possa aver chiarito adeguatamente di che
si tratta e del perché non ci sia ormai da secoli la produzione di opere di
questa tipologia, fatta eccezione per quelle scritte dallo stesso Corselli.
La memoria corre agli studi scolastici, a quelle letture
dell'Iliade, dell'Odissea e dell'Eneide che, forse, all'epoca ci sembravano
barbose oppure ci affascinavano senza magari riuscire a spiegarci il perché di
quel gradimento. Considerate che la figura del bardo, del cantore, era insostituibile nell'antichità perché in mancanza di
libri stampati e a fronte di un diffuso analfabetismo riusciva a far conoscere
alle genti fatti d'importanza storica, una specie di comunicazione orale che
poi si tramandava di padre in figlio. Non è azzardato, peraltro, affermare che
grazie all'epica si è costituita la base affinché un popolo potesse arrivare
alla propria identità. Famoso, anzi indispensabile in un lontano passato, il
poema epico si è perso per strada con il tempo, tanto che l'ultimo è la
“Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. Siamo nel XVI secolo e costituisce il
canto del cigno, poi non c'è più nulla, un po' per l'invenzione della stampa e
dei primi giornali, ma soprattutto per l'avvento nella seconda metà del XVIII
secolo della civiltà industriale, che ha cambiato ritmi di vita e anche
concetti di vita, ancorandoli a una razionalità matematica di costi e ricavi, e
inaridendo quindi la fantasia creativa. C'è poi da aggiungere che il
progressivo imporsi del romanzo ha di fatto relegato
il poema epico, che è un romanzo in versi, a mero reperto archeologico, senza
dimenticare che in una società del tornaconto l'aspetto del mito non trova
assolutamente riscontro. In questo senso va dato atto a Fabrizio Corselli del suo nobile tentativo di rivitalizzare il
genere, che non è inferiore agli altri, ma ha solo il difetto di essere stato
lasciato cadere nell'oblio. Il suo obiettivo, comunque, non è quello di una
ricerca di archeologia letteraria, ma di costruire poemi epici, se pur
ambientati non nell'epoca corrente, con un linguaggio più comprensibile per chi
voglia provare ad avvicinarsi al genere. Invito a sforzarvi un momento,
mettendo da parte il solito, per accedere all'insolito. Sono sicuro che sarà
una scoperta, anzi una piacevole scoperta.
L'immagine che segue è
quella copertina di Syrinx Alla ricerca del flauto di
Pan delle Edizioni Achilleion.