Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Editoriali  »  Il poema epico: colloquio di Renzo Montagnoli con Fabrizio Corselli 03/07/2009
 

Il poema epico: colloquio di Renzo Montagnoli con Fabrizio Corselli

 

a cura di Renzo Montagnoli

 

 

Il poema epico che cos'è e oggi se ne scrivono ancora? A queste e altre domande, sempre inerenti il tema, ha risposto Fabrizio Corselli, cultore e autore del genere, nel corso di un colloquio che di seguito potete leggere.

 

 

 

Credo che ben pochi non abbiano avuto l'occasione di studiare a scuola l'Iliade, l'Odissea e l'Eneide, forse i tre poemi epici più conosciuti. E' forse superfluo ricordare la loro funzione di mezzo di comunicazione orale in epoche in cui i libri erano delle rarità e in cui ovviamente non esistevano né la radio, né la televisione. Ma cos' è un poema epico? Per rispondere con poche e semplici parole è un componimento letterario in cui si cantano le gesta, autentiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo. Il valore dell'Iliade, dell'Odissea e dell'Eneide va ben oltre la funzione di strumento divulgativo, perché presentano caratteristiche letterarie, oltre che storiche, che da sole ne giustificano la fama. Successivamente alle rispettive epoche storiche, ci sono state altre opere epiche nel Medioevo e nel Rinascimento, magari con caratteristiche diverse, ma sempre finalizzate a serbare la memoria di personaggi quasi leggendari (pensiamo al ciclo di re Artù, al famoso Cid, all'Orlando Furioso). Poi c'è il vuoto, cioè il poema epico non trova più artefici. Secondo te, quale è il motivo?

 

Il tutto sta, secondo me, proprio nella parte definitoria del poema, ossia quella parte che si riferisce alla conservazione e al tramandare la memoria, l'identità di un popolo. Del resto, i tratti del personaggio principale o dell'eroe erano i caratteri distintivi del popolo al quale egli apparteneva, e nel quale si ritrovava oltremodo l'autore.

     In questa nostra modernità si è perduta la “dimensione eroica”, non nel senso di combattere guerre e ottenere la gloria eterna, ma trovare il coraggio di sfidare la realtà, tutto ciò che ci circonda, sia essa semplicemente la paura della morte, o perfino il peso dell'esistenza, l'elevare se stesso oltre ogni barriera e impedimento. Perché adesso è più eroico riuscire a mantenere la propria identità che brandire un'arma e uccidere il prossimo. Ciò che si è perduto in toto è il senso della civiltà, il senso di coesione, la capacità di guardare alla Natura, ed entrare in piena intimità con essa; gli antichi ben erano consapevoli di questo aspetto della vita. Gli antichi erano ebbri di illusioni, come i fanciulli, come ben evidenzia Leopardi, “erano capaci di azioni eroiche e magnanime; erano anche più forti fisicamente, e questo favoriva lo sviluppo della loro tempra morale; la loro vita era più attiva e intensa, e ciò contribuiva a far dimenticare il vuoto dell'esistenza”. Essi erano, da questo punto di vista, superiori a noi sia nella vita civile, ricca di esempi virtuosi ed eroici, sia nella vita culturale. Di contro, il progresso della civiltà e la ragione stessa hanno reso i moderni incapaci d'operare tutte quante le azioni sopra citate, li ha resi indolenti, ha intorpidito le loro menti, facendo attecchire in quel nulla la viltà, la meschinità, l'egoismo e la corruzione dei costumi. In buona sostanza, vi è una caduta degli ideali.

     Abbiamo perduto la figura dell'autore che continua a credere nell'uomo e nella società in cui vive (chiudendosi nella propria torre d'avorio invece di divenire egli stesso promotore della cultura). Vi è una totale asincronia tra egli e la vita. Adesso abbiamo soltanto “scrittori” che sono schiavi del consumismo e che pensano principalmente alle loro vendite, alla “fama”.  Chi, adesso scrive veramente, in maniera disinteressata?

     Una serie di valori importanti, contemplati finanche nell'epica, si sono quindi perduti per sempre, ma soprattutto l'interesse verso il mythos. Mancano le basi umane per poter riforgiare il “verso epico”, tale che divenga nuovamente uno strumento per la rivalutazione del proprio popolo, dei propri costumi, della politica, e della propria identità nazionale.

     La vita è soprattutto Polemos, una guerra invisibile, alla quale siamo tutti destinati a partecipare, non con la spada e lo scudo ma con la nostra integrità intellettuale e la nostra penna, al servizio degli altri. La nostra è una falsa Democrazia.

     Un secondo problema del “verso epico”, attiene oltremodo alla stilistica. Da Aristotele, lo stile dell'epica veniva definito col termine semnos, cioè nobile, alto. A causa della tendenza dequalificante sulla tecnica, che non serve, che non è necessaria per forgiare una poesia, situazione questa di comodo, la poesia ha subìto un totale appiattimento. Solo pochi poeti sarebbero realmente in grado di “emulare” tale linguaggio (e parlo di assimilazione, in senso positivo), perché per quanto una falsa e tendenziosa liberalizzazione dell'Arte, voglia tutti poeti e scrittori, tale poetica, anche nell'etichetta di Moderna, presuppone uno studio e una gran conoscenza. Ci vuole consapevolezza e capacità di strutturazione. Oltre al semnos si affianca anche il principio del prepon, ossia della conformità, cioè il considerare l'opera come un insieme di elementi fra di loro dialetticamente concatenati, ossia ogni cosa al suo posto (e non mi riferisco semplicemente al carattere formulare della poesia epica). Molti poeti sono bravi nella poesia singola, non inquadrata in una visione d'insieme come lo può essere un romanzo, per tale motivo essa andrà a confluire in una silloge. L'epica presuppone un lavoro di progettazione, presuppone una pianificazione. Insomma, un'opera completa, e che lo differenzia dall'aedo (in senso tecnico), proprio per il suo carattere marcatamente creativo; in questo caso parliamo di “poeta letterario”.

     Ciò che ci manca è forse un altro Medioevo per capire realmente cosa abbiamo perduto.

 

Quindi, se volessimo cercare una data in cui si sono iniziati a perdere i valori assoluti dell'uomo, sia nei rapporti interpersonali, sia nel suo modo di relazionarsi con la natura, potremmo identificarla con l'avvento dell'attività industriale, più o meno verso la fine del XVIII secolo. Tu invochi un altro Medioevo per comprendere che cosa si sia perduto, ma penso ti riferisca al primo medioevo, cioè quei secoli bui  di regresso culturale e sociale. Mi sembra, però, che siamo sulla buona strada per incamminarci verso un nuovo medioevo. Gli stati vanno perdendo le loro caratteristiche di coesione, la cultura tende a regredire per poter mantenere lo status quo di un potere corrotto e inetto, le invasioni barbariche sono alle porte, anche se si tratta di poveri migranti, la passione per l'arte è soffocata dall'unico dio-ideale rimasto e imposto a forza, cioè il denaro.

Pensi che una crisi socio-culturale come quella che si verificò nel primo medioevo potrebbe far risorgere tutti quegli elementi di base  del poema epico? Potrei anche immaginare un poeta che si mette a scrivere La fine di una civiltà. Che ne dici?

 

Non hai tutti i torti. Ciò che stiamo vivendo è ancora il preludio, ma questo lascia presagire la fine. Ciò che però mi fa storcere il naso è proprio la mancanza della dimensione eroica. Da ciò che ho potuto vedere, il Medioevo arriverà ben presto ma non è detto che il popolo reagirà, per cui si presenterà molto più buio; io scorgo solo un sottostare e soggiacere, perché così va bene e piace a molti. La nostra civiltà sta in rapporto con tale termine come la pace olimpica moderna sta a quella antica; è solo una falsariga, una pura illusione, poiché ai tempi antichi le guerre si facevano lo stesso e perfino nella Olimpiade 104 vi fu invasione di campo durante le gare: è come volere la Democrazia eliminando in toto la guerra, la schiavitù e tutte le brutture di questo mondo, ovvero facendo finta che non esistano, impossibile se non presuntuoso. Penso proprio che ciò potrebbe gettare le basi per un genuino poema epico. Solo quando il poeta si ergerà al di sopra delle rovine del presente potrà iniziare la sua opera di scavo da archeologo meticoloso. 

     Vedo un futuro molto simile a quello di Atlantide, ma chi farà le veci di Platone nel raccontarne la rovinosa caduta?

 

Abbiamo detto degli elementi oggettivi, d'ambiente, perché possa esistere lo spirito e l'esigenza di un poema epico. Tu hai citato anche un problema stilistico che, a mio avviso, però, sarebbe secondario. Non posso credere che nell'epoca attuale non possano esistere autori in possesso della preparazione richiesta; magari non saranno molti, magari non ricorreranno all'esametro, ma devi pur ammettere che la cosa non è impossibile. Del resto, mi viene già in mente un nome: Fabrizio Corselli. E a tal riguardo ti chiedo, ed esigo una risposta estremamente sincera, perché tu solo o quasi? 

 

Il problema non è secondario, ma pur vero che non impossibile e così focale, del resto ho già detto che vi sono poeti in grado, ma a loro non interessa. Comunque non si pretende l'uso dell'ottava in esametro o che si aderisca pienamente in un rapporto mimetico, peraltro sbagliato, con il canone formulare della poesia epica.   

     La vita è Polemos ma allo stesso tempo Nymphos, una “energheia” esistenziale “combattuta fra la primordialità dell'essere e la sua bellezza in una eterna e continua contrapposizione”. Tutto ha cessato di esistere con il rifiuto del movimento estetico a discapito di un'arbitraria e millantata superiorità delle Avanguardie; è vero che hanno apportato grandi innovazioni ma hanno cancellato tutto ciò che vi stava prima. Di danni ne hanno fatti tantissimi. C'è chi ancora spalleggia la negazione del “classico”, peccato che la nostra “modernità” poggi inesorabilmente sul passato.

     Gnỗthi seautón, questo manca all'uomo di oggi, il “Conosci te stesso”. È impossibile impostare un'opera densa di significato e soprattutto di grandi ideali se alla fine il destinatario deficita nella propria componente caratteriale di grande maturità, il tutto attenendo a una grande consapevolezza interiore. Il poeta, quello vero, quello sincero ha una grossa responsabilità nei confronti dei suoi simili, egli è finanche portatore di quegli ideali che caratterizzano l'era in cui vive.

     Sarebbe troppo presuntuoso dire me stesso, come unico poeta esistente per l'Epica Moderna, però penso che il tutto si riferisca al mio attivismo, non mi arrendo e tantomeno mi piego all'annientamento culturale propinato dai media e dalle false classi intellettuali che invece di diffondere le diverse categorie artistiche, cercano di fissarle in schemi preformati con troppa convinzione e superficialità. Ti spiego. Oramai critici e case editrici fanno da padroni, stabiliscono cosa è Arte o no, cosa è cultura e no, chi è scrittore e no. Se non pubblichi non sei uno scrittore. Dipende chi vi sta al potere mediatico, al pari della politica (limitatasi adesso al solo show televisivo). Una cosa comunque è l'Editoria e un'altra la Scrittura.

     Io con animo serafico, mi oppongo a ciò nella maniera più tranquilla, ossia seguendo i miei ideali, portandoli avanti con impegno, passione e soprattutto consapevolezza. Per mia scelta ho deciso di usare per esempio l'e-book per diffondere i miei scritti, potendoli scaricare gratuitamente. Non faccio alcun male e tanto meno dispetto a nessuno. Soprattutto adesso che ho il supporto di un vero e proprio sito. C'è ancora chi mi critica, in maniera tediosa, adducendo questa mia condotta a un presunto ripiego perché non sono stato pubblicato da un Editore (ritorno al pensiero ciclico esposto). Ma io i manoscritti non li ho nemmeno consegnati.

     Mancano la Passione e l'Amore. Come ben si evince nell'epica, non esiste solo il Pathos ma anche l'Ethos, e la separazione del linguaggio del pathos da quello strettamente epico è pressoché impossibile. Noi siamo travolti dalle emozioni, quelle profonde, dimensione che ha principalmente caratterizzato la tragedia greca. Il poeta per primo deve appassionarsi, commuoversi, crederci a tal punto da abbattere totalmente le barriere del reale, facendosi portavoce di quei sentimenti ai quali ogni uomo è sottoposto, facendone del dolore, della sofferenza, perfino di un intero popolo (in questo sta la sua condotta) i temi principali. Per tale motivo è richiesta fermezza d'animo, fiducia nelle possibilità umane e soprattutto una meditata speranza sul futuro dell'umanità. Questa mia fermezza di giudizio da molti è vista come una condotta spocchiosa, come un rifiuto a priori di qualsiasi “loro vacua lamentela”. Si tratta solo di comprensione. Il pathos oltremodo viene ancorato alla parola, a quelle scelte lessicali che definiscono espressivamente un ben preciso stato d'animo e ideale; oggi non hanno più valore le parole: orghé, kalos, komos, e così ancora i virgiliani furor e fremor, la stessa sophrosyne, la consapevolezza dei propri limiti.

    

Come è avvenuto il tuo incontro con il poema epico e il relativo innamoramento?

 

Fughiamo prima di tutto ogni indugio. L'interesse e l'amore per il poema epico sono una diretta derivazione della passione che ho sempre nutrito da piccolo per l'archeologia e la classicità in rapporto alla terra in cui ho vissuto per ben trentacinque anni. Non nasce per caso. Si può dire tranquillamente che la mia vita l'ho passata tra siti archeologici e musei. Ho avuto la fortuna, nel periodo delle Medie, di visitare il bellissimo museo di Himera prima che chiudesse successivamente. Per cui il mio interesse non è artificioso e la mia scrittura improvvisata. Ho conosciuto l'epica, sempre alle medie, studiando l'Iliade e via via appassionandomi a tal punto da leggere l'Odissea, le Argonautiche, producendo oltremodo una tesina di gruppo sull'Egitto e sull'Archeologia. Il mio cuore è lì, fra quelle rovine, che a molti possono sembrare solo pietre e polvere, ma è in quella polvere del tempo che riecheggiano i lamenti dei grandi eroi, dei grandi uomini, di divinità e miti, e di perdute civiltà. Ogni pezzo singolo ha una sua storia, così come ogni singolo verso all'interno della propria cronistoria poetica.

     Per ciò che concerne invece la fase compositiva, quella è arrivata tardi, nel 2004. Fino ad allora, ho portato avanti, in maniera metodica, una serie di studi di stilistica e di poetica, affinando così anche una serie di teorie estetiche proprio sul verso. Inoltre, la pulsione alla narrazione, l'amore per i giochi di narrazione orale e giochi di ruolo, hanno condotto il mio estro a fondere insieme l'epos e la poetica, come una sorta di forma compensativa, dando poi vita a ciò che io adesso scherzosamente chiamo “metro arcadico” o “epica forma”. Un verso libero, si badi bene, altamente musicale che si snoda lungo ben precise nervature strofiche e che nella sua pura euritmia testuale innerva continuamente figure retoriche di rottura sintattica. Giordano si espresse con gran precisione nei miei confronti, sulla mia ritualità compositiva. Col verso cerco di ricostruire il Caos partendo dall'armonia e viceversa; alla musica è affidato il grande potere di seduzione cosmica che tanto caratterizzò il mistero di Orfeo. Da questo punto di vista, considero più attinente l'etichetta che mi viene data di “Orfeo dei tempi moderni” e non di “Omero”.

     Secondo alcuni detrattori, i miei versi sarebbero privi di ritmo. Questo spiega molto del problema poesia oggigiorno. Basta prenderne una per rendersene conto, non ci vuole molto.

 

Prima di tutto, a beneficio dei lettori, ma anche mio, chi è Giordano? Dunque la passione nasce dalle antiche vestigia, dall'archeologia, ma questo, se spiega molto, però non è del tutto esaustivo, perché nella tua epica la componente mitologica, ovvero fantastica, è preminente. Questa circostanza mi induce a pensare che la letteratura fantastica abbia su di te un grande ascendente. E' vero e, se sì, perché?

 

Hai ragione, è dovuta una spiegazione ben precisa. Emanuele Giordano è un critico letterario, molto acuto, ma soprattutto uno studioso di Letteratura e Filosofia. Insieme a Matteo Veronesi, a Lorenzo Flabbi, Simona Iovino, e cito anche te, fa parte di quelle persone che hanno sempre seguito, e che seguono con interesse, i miei lavori e la mia poetica. In particolar modo, Giordano ha scritto un interessantissimo intervento sul fonosimbolismo e l'aspetto mitico nella mia poesia, consultabile presso il mio sito personale Achilleion (sezione “Articoli e Interviste”, col titolo “Il Canto delle Sirene”).

     Il Mythos, ossia il racconto, in me nasce dall'esigenza di oltrepassare la soglia del reale, per trasfigurarlo e da questo “nuovo mondo” manipolato ritornare, in maniera circolare, alla realtà stessa. Io parlerei di uno spropositato ascendente. Sin da piccolo l'immaginario ha giocato un ruolo fondamentale sulla mia capacità di astrazione, sulla mia capacità affabulatoria. Il raccontare fiabe e storie fantastiche è solo il preludio di un processo molto più ampio che è l'atto immaginativo. Anche qui mi ripeterò nuovamente, citando le parole che ho impiegato nell'ultima intervista da parte dello scrittore Luca Azzolini «È un retaggio infantile quello di voler raccontare storie fantastiche, fatte di draghi e cavalieri», e aggiungo “non solo”, «che però nel tempo è cresciuto e si è sviluppato lambendo i confini della mitopoiesi. Il fantastico è immancabilmente legato a una esigenza della mente umana altresì a una sua capacità che spesso viene messa da parte o quasi dimenticata (a discapito del discutibile “vissuto”), anche dagli scrittori più autorevoli, ossia l'Immaginazione. Il potere dell'immaginare è infinito, un potere tale da costruire nuovi mondi, da controllare il tempo e metamorfosare la propria esistenza in una proiezione di se stessi, in un alter ego che vive all'interno d'una realtà testuale. Il libro come dimensione parallela.”. “La capacità di saper tessere trame, di intelligere secondo schemi fuori della logica formale, di approfondire personaggi all'interno di un sistema narrativo, di operare crossover fra tipologie diverse di personaggi e mondi. Il fantasy non è solo letteratura d'evasione ma un nuovo modo di interpretare la realtà, seppur in un sistema traslato, trasfigurato come lo è l'atto che è sotteso all'attività artistica”. Il fantasy è necessario, anche come intrattenimento, la mente non è fatta per assorbire della realtà, nuda e cruda, tutto quanto, ha bisogno di staccare, di evadere, di trovare il proprio luogo di quiete, il proprio choros apemon, un “luogo sicuro” dove le leggi del reale non esistono più e il peso della società si affievolisce fino a divenire un dimentico ricordo. Infatti, uno dei miei luoghi preferiti dove ambiento la maggior parte dei miei lavori è il bosco, luogo magico e dalle mille risorse». 

     Tuttora scrivo presso la rivista DM Magazine, impegnato nella progettazione, a livello amatoriale, di ambientazioni per il gioco di ruolo, contemplando elementi fantastici come creature, luoghi, personaggi e zone geografiche. Tutto questo, iniziato nel 1985 con il gioco di ruolo Uno Sguardo nel Buio, ha sviluppato in me la capacità di costruire, in poesia, un'opera tematica che esuli dalla semplice silloge. Lo scrivere trame, il realizzare avventure, il gestire le interazioni tra personaggi, e tanto altro vanno a confluire nella progettazione di una vera e propria storia completa di background per la mia opera letteraria. Un esempio è Promachos e il Tamburo da Guerra; esso però non ha le fattezze piene di un'opera narrativa, è pur sempre un'opera che va letta da lettore di poesia. Le sperimentazioni ibride non possono essere prese in toto come opera narrativa effettiva, sarebbe un errore gravissimo, tanto che le parti narrative sono definite “ponti narrativi”.

 

E degli autori di poemi epici del passato, quali consideri sempre attuali e per quale motivo? Immagino che citerai Omero, sulla cui capacità di parlare dell'uomo come essere complesso e quindi con l'invidiabile dote di universalizzare il suo pensiero, andando anche ben oltre gli stretti limiti temporali, non penso ci possano essere dubbi. In pratica ti chiedo alcuni nomi e le loro caratteristiche di contemporaneità.

 

Tralascio di proposito Omero, in quanto auctor del genere. A me interessa parlare di chi è venuto dopo, e quindi del suo rapporto con la tradizione dell'epica antica. Il poeta che cito è Virgilio. Pur parlando di omerismo nei suoi confronti, Virgilio dimostra una grande padronanza non solo stilistica ma anche di rimodulazione dei canoni e dei temi dell'epica omerica. Infatti, rapportandoci a lui, non parliamo di mimesis o di aemulatio, bensì di appropriazione, ossia la capacità di fare proprio il bagaglio tecnico-culturale di un altro poeta, in questo caso di Omero. Anche se evidenti i rimandi, Virgilio comunque cerca di discostarsi dal poeta greco. Ma ciò che a me è caro del poeta latino è il suo ethos, il quale non rifiutava i valori più antichi del modello epico ossia il coraggio in guerra, la resistenza alle fatiche, l'impegno politico, il vigore guerriero stesso, ma ne aggiungeva altri, sotto il termine universale di humanitas. Da ciò derivano, quindi, la capacità di guardare al destino, alla storia, farsi partecipi della sofferenza e del dolore altrui, dimostrando così comprensione e sensibilità (come accennato nella prima domanda). Assistiamo al recupero di ideali e concetti tuttora vigenti nella nostra società moderna. Un ethos che oltremodo trasforma l'Eneide in un “poema dei vinti”.

     Una visione che è costante nei miei poemi, tanto che viene eliminata la dimensione epicurea del Dodekatheon, rendendo gli dèi simili agli umani: essi soffrono come i mortali e forse anche di più; c'è quindi una antropomorfizzazione della sfera divina. La vedo più come una visione prassitelica, in cui le divinità sono pervase dall'aura di Aglaos Hebe, dea della Gioventù, ma vinti da una esistenza mortale e messi in una posizione che richiede un supporto. È lì che il poeta interviene e li salva da una rovinosa caduta, perché essi incarnano degli ideali. Per tale motivo il tono dei miei versi si avvicina più all'elegia che all'epos. Per esempio la stessa presenza dei portenta, è una potenzialità inespressa dell'uomo, e non della divinità. In Promachos l'evento che scaturisce dal canto di Melesigenes è la semplice attestazione di come il poeta raggiunga le alte vette del lirismo poetico, liberando la propria fiamma ispirativa, il lambire l'Ineffabile attraverso la metafora della fiamma che attraversa l'intero asse strofico dell'opera.

 

Ci avrei scommesso, anche se personalmente preferisco il Virgilio delle Bucoliche e delle Georgiche, più spontaneo, più legato alla sua origine celtica e per nulla guerriero (e del resto non lo fu nemmeno in vita). Comunque comprendo la scelta (fra l'altro il mio concittadino aveva una vera e propria mania per la perfezione stilistica) e considerando che l'autentica grandezza dell'Eneide risiede proprio nel sentimento di pietà di cui è pervasa, del tutto insolito per un autore dell'epoca e anche dei secoli precedenti. Ma, spostandoci un po' nel tempo, cioè avvicinandoci alla nostra epoca, pur restando ben in là dal raggiungerla, non ci sono altri? Mi par strano, perche ce ne sono di famosi e che hanno i requisiti della domanda. Tu che ne dici?

 

Penso di sapere proprio a cosa tu ti riferisca. In tale maniera, però passiamo direttamente all'epica cavalleresca, genere che ha comunque fatto dell'epica di Omero e Virgilio il proprio modello di stile e ampio insieme di personaggi e vicende eroiche, seppur differendo poi nello sviluppo dei temi. In Francia abbiamo avuto la Chansons de geste e in Inghilterra il Ciclo Bretone, e non possiamo non citare l'emiliano Ludovico Ariosto, e il suo Orlando Furioso. Un poema epico che introduce innovazioni linguistiche e sintattiche, e soprattutto a me caro, l'elemento creativo, della fantasia, che fa dell'Orlando un lavoro simile a una fiaba. Soprattutto nell'opera, l'Ariosto tende a presentare i valori dell'uomo rinascimentale, e dei cavalieri, seppur attraverso la figura retorica dell'ironia, tende a criticarne i loro valori. Ricordiamoci che ci apprestiamo alla fine di un'età storica, il Medioevo. I cavalieri cercano sempre l'avversario da battere, il cavallo perduto, la donna amata e così via; uno potrebbe dire benissimo che essi sono i soliti topoi letterari, ma all'interno di questo schema, Ariosto pone l'azione dell'uomo rinascimentale sempre diretto verso la realizzazione delle proprie capacità, e una visione dei principi che è più terrena che altro. Ma i personaggi sono strumenti letterari del poeta e così, Ariosto sviluppa attraverso una sapiente dislocazione degli eventi e dei personaggi stessi, i temi a lui cari.

     Un altro autore è Corneille, drammaturgo francese, anch'egli noto per il carattere e la realtà umana dei suoi personaggi presenti nell'opera il Cid (anche se non proprio epica). A seguire, abbiamo poi molti esempi come il Kalevala, il Beowulf, il Canto dei Nibelunghi, Il Cantare del mio Cid, poema epico spagnolo formato da 3733 versi di un autore anonimo risalente al 1140 ca.

     Se invece dobbiamo parlare di “epico” e non di epica, e quindi non strettamente connesso alla struttura formulare e così al verso, aggiungerei anche Le Mille e una Notte (in riferimento alla dimensione umana dei personaggi, rappresentati soprattutto da gente umile), Horcynus Orca di Stefano D'Arrigo e Omeros di Derek Walcott (in versi), e aggiungerei anche i Cantos di Ezra Pound.

 

E attualmente, chi, oltre a te, si interessa, come scrittore, del poema epico?

 

Che io sappia, nessuno. Ho cercato nel tempo di individuare poeti e scrittori che potessero avvicinarsi all'epica in versi, ma non ho trovato nulla. Ho cercato anche nell'ambito del fantasy, ma il risultato è stato il medesimo sempre parlando di poema, e non di narrativa. Questo non mi rende unico ma nemmeno significa che io debba rappresentare una specie in estinzione o comunque un pazzo che conduce un percorso solitario. Ho fatto delle scelte e mi prendo le mie responsabilità; soprattutto sono coerente con me stesso. Del resto, ho ereditato una cultura che appartiene alla mia isola natia.

     

Questo per eventuali autori, che al momento non ci sono. E invece per i lettori come si è messi? C'è gente che ama il poema epico, al di là di ciò che si insegna a scuola, o anche i recettori latitano?

 

Purtroppo questa è una nota dolente, poiché anche la condotta irresponsabile della maggior parte dei lettori dequalifica tale genere e lo confina nell'abisso. La distorsione concettuale che sta alla base del rifiuto, o meglio dello scetticismo nei confronti dell'epica è la sua correlazione col mito. Da molti l'uso del mito è semplicemente visto come un rendere artificiosa la realtà circostante, lontana dal “vissuto” dell'autore, e quindi vacua, come se ella appartenesse al passato, e quindi qui si chiude il ciclo. Ma non solo, poiché tutto ciò che proviene dalla inventio è distante da quel canone comune che è andato avanti dopo la negazione del movimento estetico, e cioè l'interdipendenza dell'opera con l'esperienza del poeta. Il mythos non è solo uno strumento attraverso il quale l'autore trasfigura l'intero contesto per poi giungere alla verità, impiegando i protagonisti e gli eventi, seppur fantastici o leggendari, come modelli. E quel genio di Platone ne sapeva qualcosa.

     I lettori ci sono ma sono troppo pochi e specifici, circoscritti soprattutto all'ambito delle Facoltà Classiche o agli amanti della mitologia. I greci ai loro tempi avevano il loro “pubblico addestrato” e i poeti conoscevano già i loro destinatari. La maggior parte dei lettori di oggi sono per la letteratura da consumo. E l'epica (Moderna) è troppo impegnativa, date le sue implicazioni a livello strutturale.

     Altri lettori di epica invece li si trova nell'ambito del fantasy, ma sempre legati alla narrativa, di cui sono comunque un grande appassionato; a proposito cito David Gemmell e la sua trilogia su Troia.

     La poesia non ha grande successo, se non quella che aderisce ai dettami imposti dalle Case Editrici (o meglio imprenditori) e critici militanti. Come la definisco io, è più adatta al lettore moderno una poesia fast food.

     Ti racconto un piccolo e divertente aneddoto e poi capirai. Tempo fa un amico di mio fratello, vedendo il mio scaffale, denso di libri di epica e dizionari di mitologia, mi chiese “Puoi prestarmi l'Iliade di Omero? Sai io ho studiato al Classico”. E allora, io, finalmente ravvivato da tanta speranza, presi la copia con la traduzione di Ippolito Pindemonte e gliela prestai. Ma l'illusione durò ben poco, poiché egli, con fare tranquillo, subito mi disse, dopo avere sfogliato le prime pagine: “Ah ma è poesia, pensavo fosse narrativa”. Non c'è bisogno di continuare.

     Io cerco sempre di diffondere la cultura dell'epica in tutti i modi, magari risulterà inefficace, spossante, se non titanico, o addirittura inutile data la complessità dei miei testi (secondo alcuni detrattori), ma continuo nel mio proposito.

     Un libro che consiglio sempre è la Poetica di Aristotele insieme al Simposio di Platone.

 

A volte anche un genere non ha lettori perché poco conosciuto e credo che la maggior parte abbia un concetto dell'epica limitato agli studi classici, quindi visto più come una necessità che un piacere. Il fatto poi di non trovare sul mercato altre pubblicazioni tende a dissuadere un eventuale interessato nel continuare a seguire il genere stesso. Al riguardo mi sembra che tu stia cercando di propagandare il poema epico con una casa editrice, le Edizioni Achilleion. E' così?

 

Hai pienamente ragione. L'epica è rimasta ancorata al passato così come oggi si considera la categoria del bello e la fruizione estetica prerogative di un'era, diciamo ancor più grave, di una civiltà precedente. La nostra modernità, vuoi o non vuoi, deve le sue origini al pensiero antico e su di esso poggia come invisibili fondamenta.

     È vero, sto cercando di propagandare il poema epico, non che non l'abbia fatto prima, solo che adesso è più forte la pulsione, diciamo la necessità di farlo, e non si tratta di una Casa Editrice. Finalmente, dopo tanto tempo, sono riuscito a realizzare un sito vero e proprio e non un blog, dedicandolo interamente all'Epica Moderna. Achilleion, nome del sito, rappresenta un'ampia vetrina dedicata alla cultura classica e alla poesia antica, contemplando finanche saggi, articoli ed estratti da diverse opere. Oltremodo alcune sezioni specifiche permetteranno al lettore appassionato di seguire in maniera sempre aggiornata i miei lavori (Work in Progress) e di scaricarli gratuitamente una volta che saranno disponibili.

     A supporto del sito, molto articolato e carico di materiale consultabile, ho deciso di lanciare le Edizioni Achilleion. Una serie editoriale molto corposa e profonda, sia per contenuti sia a livello grafico, che curerò interamente io stesso, avendo così l'opportunità di sganciarmi dalle precedenti pubblicazioni con le diverse Associazioni. In questa maniera, mantengo autonoma la gestione della mia personale produzione letteraria. Le Edizioni Achilleion rivoluzionano non solo l'impostazione strutturale del formato E-Book, ma andranno a modificare anche l'intera stesura dell'opera in questione, a livello di background. Una serie più vicina al lettore moderno ma anche a quello più esigente, senza perdere nulla del mio stile personale, che anzi verrà improntato più sull'epos, anche se ritenuto dai miei detrattori pedante, fastidioso e noioso. Non ci si accontenta mai. Qualche stolto che mi legge, per fortuna c'è.

     Chi lo volesse, già da adesso, potrà consultare le linee guida delle Edizioni Achilleion (in formato e-book), connettendosi direttamente al sito (www.achilleion.sitiwebs.com), alla sezione “Edizioni Achilleion”.

     A lanciare le edizioni Achilleion, sarà l'opera “Syrinx – Alla ricerca del flauto di Pan”, un poema di 2000 versi e più, «una sorta di carmen perpetuum, una catena di strofe distese e fluenti che ricordano il respiro compositivo del D'Annunzio di "Maia" e, nel contempo, la melodia infinita di Wagner – immersa però, per così dire, nelle atmosfere liquide e rarefatte di Debussy: il tutto pervaso, poi, dalla sensualità quasi incorporea, quasi illusoria, sospesa fra carnalità ed allucinazione, fra sensazione e rapimento, di Mallarmé (Matteo Veronesi)». Un lavoro al quale tengo molto, soprattutto per il saggio in esso contenuto che tratta il tema del “bosco” e della “natura” come elementi dell'io lirico, in chiave estetologico-letteraria. Soprattutto, ritornerò al poema unico, mettendo da parte le sperimentazioni ibride (poesia e narrativa). Per ciò che invece concerne la Saggistica, uscirà la seconda edizione, ampliata di Dodekadromos: un ampio reportage sulle gare equestri nella Grecia Antica.

     Sempre a livello di diffusione, mi preme segnalare invece un importantissimo evento, che organizza annualmente la Mediateca di Santa Teresa di Milano (Mediabrera), in più incontri, dal titolo Letture Multimediali in lingua latina e greca, e curato dal Prof. Franco Sanna, col quale adesso collaboro. Riporto il testo di presentazione dell'evento: “La lettura pubblica di testi letterari di alto livello è diventata una prassi consolidata in tutte le città italiane e suscita la curiosità di un pubblico che non si accontenta di un semplice intrattenimento. Le iniziative culturali di questo genere svolgono una funzione di divulgazione e  diventano contemporaneamente un momento di aggregazione di persone, mosse da motivazioni diverse e attirate dalla possibilità di trascorrere il tempo ascoltando testi selezionati in un ambiente dove non si è distratti dalle urgenze quotidiane. L'incontro è proposto ad un pubblico curioso e disposto ad ascoltare la grande poesia con i suoni e i ritmi della lingua originale. La lettura in lingua latina o greca sarà preceduta da un'introduzione e da qualche indicazione linguistica, mirante a evidenziare la continuità. Come si svolge? Dopo una breve introduzione mirante a fornire le coordinate cronologiche e culturali dell'autore e delle sue poesie, inizia la lettura dei passi scelti. In sincronia con la lettura vengono proiettate su uno schermo le traduzioni in italiano con delle diapositive arricchite di immagini ornamentali. Le  traduzioni, inedite, mirano a riecheggiare il più possibile il lessico e l'ordine delle parole. Sullo schermo viene prevalentemente proiettata la traduzione italiana, ma alcune volte compare anche il testo originale: in questi casi un colore diverso segnala i passi corrispondenti.

 

Penso che una delle difficoltà che può incontrare il comune lettore nell'avvicinarsi al poema epico sia la diversa struttura. In un'epoca in cui tanto si corre, e spesso a vuoto, la normale poesia richiede assai meno tempo per essere visionata e poi generalmente in un libro si può pescare a caso, perché non c'è quasi mai, tranne nel caso di sillogi tematiche, una continuità. Il poema è diverso perché ogni sua parte è strettamente collegata alla precedente e alla seguente e quindi richiede un tempo di lettura e anche di correlazione senz'altro più lungo. Aggiungo, poi, che ci si aspetta una consueta armonia (per quanto non poche poesie attuali ne siano prive), insomma è diverso l'impatto, perché nel poema epico l'insieme dei versi è caratterizzato soprattutto dalla sonorità e dalla solennità, il che induce a ritenere di trovarsi di fronte a qualche cosa di assai complesso, di difficile comprensione, anche se poi non è proprio così. Quando poi si ricorre come metrica all'esametro, le cose si complicano ulteriormente.

Concordi?

Nel tuo caso, di uomo del XXI secolo, come hai pensato di sviluppare il poema epico al fine anche di renderlo di maggiore accessibilità?

 

Hai già sintetizzato perfettamente, caro Renzo. La poesia epica, sia essa antica o moderna, deve sottostare, non dico in toto per il secondo tipo, alla struttura formulare che le è propria, ma a una serie di accorgimenti stilistici che le infondano immancabilmente il senso dell'epos, ossia della narrazione. Si abbandoni il concetto di poesia da silloge. Un poema d'epica moderna non può permettersi alcun cedimento, alcuna debolezza, deve puntare alla coerenza soprattutto perché deve possedere una struttura diegetica simile al romanzo, ma non ha la pretesa di essere tale e quale: vi è una storia, peripezie, contrasti, inversioni di tendenza, relazioni fra avvenimenti e personaggi. Come già detto prima, in esso deve essere soddisfatto il concetto di prepon (e non si ha la pretesa di scrivere come Omero). Seppur nobile e alto lo stile (lexis), al verso si affianca anche la costruzione di un tessuto ritmico-melodico che scandisca l'azione, il movimento dei personaggi, la loro sfera emotiva deve innalzarsi verso liriche vette, tali che l'eroismo e la dignitas del personaggio vengano ricoperte da una fulgida aura di gloria eterna; un po' come avviene nelle colonne sonore dei film quando il climax va crescendo e la musica si trasforma in immagine visiva, accompagna il protagonista, diviene partecipe del suo agire. Ma in poesia, tale armonia si snoda lungo tutto l'asse strofico, preparando quel terreno fertile su cui il poeta comporrà la sua mirabile melodia; egli cementa ogni singolo verso con l'unica malta che conosce, ovvero quella dell'ispirazione poetica. La tensione che viene creata dalla musica fa da collante nei confronti di ogni singola parola, le tiene unite in una perenne vibrazione, quella della propria anima poetica. Non solo l'epica è solenne ma si piega al volere dell'oidos, del canto che si veste di forza cosmica, d'un canto che incarna i presupposti di una musica orfica. Il senso della seduzione tramite l'in-canto, il poeta opera come le sirene, ammalia il lettore perché esso naufraghi verso lo scoglio, pronto a infrangersi contro l'enigma della poesia stessa, ed egli soltanto sarà capace di superare la difficoltà che cela quell'insieme dei versi, non saturando le proprie orecchie con la cera, ma col coraggio di udire a mente aperta ciò che al contrario lo renderà consapevole d'un sapere superiore.

     Il lettore odierno ha maggiore difficoltà perché tendenzialmente è pigro e presuntuoso nella sua indolenza, ma soprattutto non ha la preparazione culturale. Viviamo adesso nell'era di Internet, di Wikipedia e di Google, laddove basta un click per ricercare informazioni su un dato fatto o personaggio. Mi sembra davvero assurdo che l'utente non abbia la volontà di fare una breve ricerca, quando l'ostacolo gli si presenti di fronte, ma purtroppo è così.

     La difficoltà dei miei testi viene rappresentata soprattutto dalla fitta referenza mitologica, in cui viene immersa l'opera, e dal traslato. Non pretendo che ognuno di loro abbia sei o sette dizionari di mitologia, come faccio io, compresa la consultazione di quello etimologico del GRIMM di Trieste, ma come visto sopra, è tutto a portata di mouse. La stilemica può risultare di difficile comprensione per qualche figurazione abbastanza ardita, e sempre legata a miti particolari o a referenze troppo sottili: per esempio, il più banale, se dico “muse aptere”, intendo le sirene, in quanto prima muse anche loro, ma dato che offesero Calliope, quest'ultima le privò delle ali. Tolte queste piccole sottigliezze, il tutto scorre tranquillamente, soprattutto per l'elevata impostazione ritmica che imprimo al verso libero attraverso una serie di figure retoriche atte a corroborare la solennità dell'insieme. Per esempio, impiegando la figura della Disgiunzione fra una o più inarcature tendo a spezzare il verso in modo da creare un disaccordo molto più forte, ci si avvicina a quella forma caotica che prima o poi partorirà la tanto agognata armonia. Adesso ho capito cosa voleva dire Giordano con il termine “ritualità” compositiva. 

     A dire il vero, in quanto la mia produzione letteraria non sottostà a nessuna casa editrice, e quindi a canoni di marketing ben specifici, di contro non applico nessun tipo di tampone o filtro, facendo fin oltre un uso indiscriminato delle diverse varianti mitografiche che caratterizzano molti paradigmi mitici. Ma l'opera presuppone ricerca, come la vita, e sta al lettore adoprarsi per evolvere anche il suo status. Ho sentito di persone che non hanno un dizionario a casa, o addirittura libri. Io mi prendo le mie responsabilità, gli altri le loro.

     C'è da dire comunque, che con le Edizioni Achilleion, le opere saranno ancora più orientate verso l'epos, e di conseguenza più fluide e maggiormente comprensibili rispetto alle precedenti basate su uno stile più traslato. Soprattutto perché ho deciso di inserire le note di chiarimento su alcuni passaggi.

 

 

Ringrazio Fabrizio Corselli per questo colloquio sul Poema epico, che penso possa aver chiarito adeguatamente di che si tratta e del perché non ci sia ormai da secoli la produzione di opere di questa tipologia, fatta eccezione per quelle scritte dallo stesso Corselli.

La memoria corre agli studi scolastici, a quelle letture dell'Iliade, dell'Odissea e dell'Eneide che, forse, all'epoca ci sembravano barbose oppure ci affascinavano senza magari riuscire a spiegarci il perché di quel gradimento. Considerate che la figura del bardo, del cantore, era insostituibile nell'antichità perché in mancanza di libri stampati e a fronte di un diffuso analfabetismo riusciva a far conoscere alle genti fatti d'importanza storica, una specie di comunicazione orale che poi si tramandava di padre in figlio. Non è azzardato, peraltro, affermare che grazie all'epica si è costituita la base affinché un popolo potesse arrivare alla propria identità. Famoso, anzi indispensabile in un lontano passato, il poema epico si è perso per strada con il tempo, tanto che l'ultimo è la “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso. Siamo nel XVI secolo e costituisce il canto del cigno, poi non c'è più nulla, un po' per l'invenzione della stampa e dei primi giornali, ma soprattutto per l'avvento nella seconda metà del XVIII secolo della civiltà industriale, che ha cambiato ritmi di vita e anche concetti di vita, ancorandoli a una razionalità matematica di costi e ricavi, e inaridendo quindi la fantasia creativa. C'è poi da aggiungere che il progressivo imporsi del romanzo ha di fatto relegato il poema epico, che è un romanzo in versi, a mero reperto archeologico, senza dimenticare che in una società del tornaconto l'aspetto del mito non trova assolutamente riscontro. In questo senso va dato atto a Fabrizio Corselli del suo nobile tentativo di rivitalizzare il genere, che non è inferiore agli altri, ma ha solo il difetto di essere stato lasciato cadere nell'oblio. Il suo obiettivo, comunque, non è quello di una ricerca di archeologia letteraria, ma di costruire poemi epici, se pur ambientati non nell'epoca corrente, con un linguaggio più comprensibile per chi voglia provare ad avvicinarsi al genere. Invito a sforzarvi un momento, mettendo da parte il solito, per accedere all'insolito. Sono sicuro che sarà una scoperta, anzi una piacevole scoperta.   

 

L'immagine che segue è quella copertina di Syrinx Alla ricerca del flauto di Pan delle Edizioni Achilleion.

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014056377 »