La danza del ventre
Ratto è il sonaglio al di là del morbido ventre
fra convulse
e indocili redini di un antico serraglio,
la cui
prigionia finanche infiamma lo scuro volto
di colei
che il cuore di pietra e di oro un peplo
presto, libera
dal giogo d'un prepotente sultano.
Scivola via la spezia
orientale sul suo turgido seno,
screziato come
rosa maculata, la cui rea fragranza
il proprio
sudore miscela ad un laido veleno bianco.
Culminano le tremule braccia sul bel fianco distorto
e ancor
più ritorte, ella celebra i suoi artigli di ninfa
nello stregare
d'ogni uomo le voluttà di porpora
attraverso il
disincanto di chi osserva al di sopra
di uno
stagno, l'illuso riflesso d'una beltà sfuggente.
Si dimena l'addome tra spiragli di digiuni diademi
e
altrettanto le minuscole perle dal manto albino,
schiuse come
gocce di rugiada tra caldi petali rosa.
Giù il velo, e fameliche
osano le sue tumide labbra
mentre,
molesta, la lingua s'immola a una colonna
di grigio
alabastro, il cui fremito, ogni giro di danza
s'adopra
nell'estirpar dall'antro saraceno, la serpe
che infetta,
si torce e si stringe al suo gravido collo.
Muta adesso il respiro e finanche la sua anima inerte
tra archi
contorti e volteggi d'intempestiva lusinga
ove incubi,
affanni e chimere altrettanto pericolose,
celeri si
sciolgono al passar d'un granello di sabbia.
Come impaurito e scosso da tanta lubrica ribellione
si quieta
l'ombelico al suono di un gong, e riprende
il volto,
perché tra oppio e unguenti di Samarcanda
solo adesso,
si liberi dell'aureo canto di un'odalisca
non più
serva, il soave gorgheggio, nell'arte padrona
d'impietrir
le altrui membra o gli sguardi incantati.
Unico e semplice riscatto, concessole al pari di tigri
ammaestrate, a lungo
trattenute con docili catene;
poiché nulla
può il ruggito dell'ira, se non nutrire ora
il silenzio
di quella muta danza che tace entro le mura
della propria
esistenza, le paure più nascoste.
(dall'opera inedita “Shéhérazade”)