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  Scritti di altri autori  »  Poesie  »  Tomten, di Abraham Viktor Rydberg 22/12/2017
 

Tomten

di Abraham Viktor Rydberg 





Avvinte nel freddo notturno glaciale
Le stelle scintillano e brillano. 
Tutti dormono nella fattoria solitaria
sprofondata nella notte invernale.
La luna prosegue il suo percorso,

fa luccicare la neve su pini e abeti,

e splende bianca sui tetti. 


Solo Tomte veglia.



Sta lì, così grigio, vicino al basso fienile.
Grigio, contro il potere bianco.
E osserva, come i precedenti inverni, 
sotto il freddo bagliore lunare. 
Poi il suo sguardo si sposta

in direzione del bosco di abeti e pini. 
Circonda la fattoria in una ruvida linea,
trattenendo, in modo implacabile
un enigma che non ha chiave.



Fa scorrere la mano tra capelli e barba, 
scuote la testa e il berretto
"No, l'enigma è troppo difficile, 
no, non lo comprendo". 
Poi, scrollando in fretta la testa
caccia via i molesti pensieri
e torna al compito che gli compete.



Si dirige verso la fattoria
della quale conosce tutte le serrature.

Le mucche nella stalla,

nella fredda luce lunare, sognano l’estate. 
Privo d’imbracatura, frusta e renne, 
il vecchio pony ha ancora un sogno:

la mangiatoia piena di fragrante trifoglio. 

Va quindi alla recinzione delle pecore, 
vede che, accucciate, dormono tranquille. 
Va poi dai polli, dove il gallo si pavoneggia

orgoglioso della sua alta cresta,

sopra i nidi colmi di calda paglia fresca.

Il cane si sveglia muove la coda, come per dire:

"vecchio amico, compagno, siamo giunti alla fine".



Tomte gironzola per l'ultima volta

a osservare le persone della casa.

Ben conosce la grande stima

che le rende sicure della sua fedele cura. 
Va a vegliare vicino ai letti dei bambini 
e accarezza piano i loro capini.
Non ci si sbaglia a immaginare il suo piacere: 
questi sono il suo tesoro più grande.

Li ha visti, da padre in figlio, in figlio,
per lunghe generazioni, dormire come fanciulli.



Ma da dove sono venuti? Sono arrivate famiglie,

e altre se ne sono andate, fiorite, invecchiate;

ma dove la vita è trascorsa? 

E per un attimo ancora, rimane senza risposta.
Lentamente si gira verso il soppalco: 
lì ha vissuto, è la sua fortezza, e il suo riposo, 
alto nel profumo del fieno, vicino al nido della rondine. 
Ora quel nido è vuoto, ma in primavera,

quando tra foglie e fiori, gli uccellini torneranno a cantare,
probabilmente la rondine tornerà,

con il suo piccolo compagno. 

Poi racconterà del viaggio, cinguettando
a tutti coloro che la ascoltano

e torna così, di rimbalzo, la vecchia domanda,

che vaga inquieta nella mente di Tomte. 
Attraverso le crepe nella parete del fienile

la luna illumina la sua barba, e Tomte continua a pensare.

Silenziosa è la foresta e tutta la terra

avvolta nel freddo invernale.
Solo la cascata lontana sussurra e sospira all’orecchio.

Tomte ascolta e, a metà del sogno, 

gli sembra di udire l’infinito flusso del tempo

e si chiede a cosa sia legato. Qual è la sua fonte?

Avvinte nel freddo notturno glaciale,

le stelle brillano e scintillano. 
Tutti dormono in quella fattoria solitaria
mentre s’avvicina la nebbia del mattino. 
La luna sta terminando il suo tranquillo vagare,

la neve imbianca il pino e l’abete,

brillando scintillante sui tetti. 


Solo Tomte veglia. 





Composta dallo scrittore e filosofo svedese nel 1881

Originariamente pubblicato nel New Illustrated Newspaper 1881.



Libera traduzione di Danila Oppio


 
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