DALL'ALTO DI QUEL PUNTO
DI VISTA.
Dall'apice dell'edificio sporto
Osservo un meccanico dimenarsi.
Questo punto di vista è il preferito,
diverso dal vedere frugolare
una schiera di formiche sul prato.
Sembrano tutti esaltati i pedoni,
s'urtano svanendo in più direzioni,
simili così schiacciati più a foglie
che sciamano confuse e disperate
vermicolando stretti
marciapiedi.
Scavalca il mormorio della sera
il frastagliato rombo dei motori,
che giunge a me sfrondato dallo spazio,
ma spezzato dai frizzi dei rondoni
che anche quest'anno tutti hanno stupiti
col ritorno ai terrazzi sgretolati.
Agli antipodi dell'arcigno viale,
poggiati al fusto tondo dei lampioni,
che ormai incastrano l'incipiente buio,
vedo a destra lo smunto mendicante
coi cenci buttati sull' ossa bianche,
a sinistra le natiche brillare
del travestito colorato e allegro.
S'erge fredda uguale la luna cieca,
versa plastica bianca sul pallore
della città, dall'ittero intagliata
dei balconi accesi nel vuoto spazio.
Mi chiami! Rientro nella stanza buia,
tra il mio e il tuo silenzio ti scruto
attento.
Percepisco il tuo sorriso,
pencolante sulla noia.