Necrosi di un'anima
Adusta
e ancor più infetta
attecchisce la corrosa larva
sul
mio cuore nero d'infedele poeta,
poiché
la si osservi stridere
con
atempore giacenza ed imperfetto moto
sulle
vetuste pareti di uno sbiadito ricordo;
e ancor
più cade, così lasciva,
del
nudo e tenue sangue istoriato,
tra
le propaggini del vuoto
e
del più recondito disio di comune uomo,
al
quale il dente e la morsa della fame,
strapparono un lembo di frivola speranza.
Consunte
cadono le croste
dalla
volontà del proprio corpo,
per
saggiarne a poco a poco l'ostentato banchetto
al
di sotto di una livida e maculata pelle
ove
danzano anoressici gli appetiti
di singulta ed agitata tensione.
S'impossessa
la malattia della tua carne
dalla
quale s'effondono sentenze e gemiti,
rigurgiti ed autunnali umori come la brezza
al
pari di colei che per sorte contraria
le
ginocchia frantuma sul peplo di fede indigesta.
Così
diverge l'abisso di quel peccato solingo
verso
le ritorte fiamme dei tuoi occhi,
ove
il riflesso vidi di un oggetto proibito;
Annientata
e divelta con barbara rabbia
dal
sottile taglio di un cordone reciso
la
tua anima, adesso, con immole presenza,
mentre
le cacci in gola il dito di percosso decreto,
sputa
ed ingoia, ingoia e rigetta
il
fluido riverbero legato alla fedeltà del sangue
come
vermiglio drappeggio
asservito alla volontà del vacuo
e
dell'inutile sapore della propria esistenza.
La
necrosi di un'altra vita artistica
che
in me, morente non ravviso,
si
consuma e si flette, a volte,
come
purpureo rubino dai mille volti
che
si frantuma al riflesso del proprio nome.
Dimentica
ciò che sei, ancor più ciò che fai
e
il valore di tale pietra miliare,
fa
che io v'immerga, miope,
l'ultimo
e lacero tessuto di un pensiero fecondo,
poiché
sangue, siero, lacrime e morte,
si
mescolano all'alba di un'ansante agonia,
per
poi chiudere delle stagioni il meritato ciclo.
Così,
di codesta anima ne rimangono solo i lembi
come
stracci appesi al filo del proprio destino,
finché
percossi dal taglio della mia penna
di umile e giovane scrittore.