Soldatino
di zinco
di
Gianluca Ferrari
Quante
battaglie, soldatino di zinco,
nei
pomeriggi che infuocavano listelli
del
parquet di legno, intrichi di colubrine
scavavano
crateri ad ogni passo; sotto
le
vampe dei temporali propagati
da
losanghe di finestra ai polpastrelli
del
fanciullo: ti scuotevano nell´urlo
dell´assalto
cui tu obbedivi
con
tremore vago però spavaldo,
quasi
tarantolato tra fumane
e
pavimento. Di solito la morte
durava
giusto il tempo
di
risistemar le schiere vincere
lo
sgomento per quella repentina
caduta.
Quante colline di carta
fiumi
di latta torri di vedetta
dove
le penne le matite facevano
da
sentinella, trincee di gomme
più
o meno rotonde, dietro cui nemici
ancora
più sgargianti t´attendevano,
pronti
da sempre a spararti od infilzarti
(mai
infatti cambiarono postura
-
inginocchiati con la spingarda
all´orizzonte
o ritti con la sciabola
che
come perfido pennacchio
gli
acuminava la fronte! - unicamente
nati
per quell´irrimediabile cruento
atto
in cui finisce l´avventura): a salvarti
c´era
soltanto la voce materna, provvida
bandiera
bianca contro la tirannia
delle
dita. Dopo, forse, quando
verrà
la luna tra radure di serranda
come
una luminosa reggia dìruta
per
troppi sogni, dissolverà lo sparo
rimasto
a mezz´aria nelle campagne
che
le gambe delle sedie infarcivano
di
selve e scarpe abbandonate riverse
orlavano
in crinali di montagne,
inespugnabili
avamposti.
T´ho
ritrovato nell´aldilà
della
soffitta, impettito sì, ma logoro
stinto
bendato di ragnatele
per
ferite ancora aperte (ricordi?
Non
feci in tempo a organizzare
il
trasporto all´ospedale da campo;
un
giorno imprecisato v´abbandonai
all´eterno
armistizio, distratto da altro).
Ma
nel mio sangue o prode compagno
per
sempre è scesa la colata
del
ricordo inerte.
Da Acquerelli
gotici (edito in proprio, 2020)