Nel latte
della madre
di Filippo Tuena
Prediligo postazioni
rialzate,
Battute dal vento, anche
se pericolose
Per i colpi vaganti o
l'ingordigia dei cecchini
Che prima della fine del
turno
Vogliono ancora una volta
far centro.
Ma in queste notti arabe
Sono i cumuli di macerie
che m'aggradano di più
Perché a volte, sotto, li
sento ancora lamentarsi,
Con voce sempre più
sottile o insistente pervicacia.
Eppure moriranno entro
pochi minuti
Ed è inutile affannarsi a
sollevare le pietre,
Scalzare travi, rotolare
macigni.
E' la polvere che li
condanna. S'incolla alla gola
O alle ferite sanguinanti
e li sigilla come
Statue di gesso o sale.
Immobili. Fermàti nel tempo
Come i calchi degli
schiavi di Ercolano.
Per esperienza so che,
passata l'orda,
Li ritroveranno quando
spianeranno le macerie,
Solitamente avvinghiati
alle madri.
Del resto il loro mondo
era davvero poca cosa:
Un seno un poco
avvizzito, un battito rassicurante del cuore.
Askenazita di Bolechov che hai pigiato il bottone,
Palestinese di Hebron che hai caricato il mortaio,
Texano di Dallas che hai
il grilletto facile,
Talebano di Kabul che hai
il coltello affilato:
Non cucinerai l'agnello
nel latte della madre.