Inferno
(Per non dimenticare)
di
Fabrizio Corselli
Camminano a stento,
come anime grigie
su una comune fossa,
con ferite bianche
e i capelli rasati,
con lo sguardo spento
e una corona di spine
sulla testa; vagano lenti,
tutti quanti insieme,
lungo uno sterrato
che profuma di morte,
dove soltanto crescono
orditi fiori d'acciaio,
dall'odore di ruggine:
alcune delle loro schiene
tuttora si piegano
ricurve come tralci
sui fradici paletti.
Conduce quel sentiero
a una pira di cemento
il cui fuoco disconosce
della carne d'un martire,
la propria innocenza.
Al patibolo vanno,
pungolati dalla punta
di una baionetta
come appesi al gancio
del macellaio,
senza mai sanguinare.
Solo filo spinato
impresso nelle loro pupille
durante il tragitto,
quale triste ricordo
d'una colpa mai digerita
da coloro che il primato
della razza osannano
nell'alto dei cieli.
Più in alto, però s'innalza
il fumo, da una vicina bolgia,
odora proprio della carne
di quei penitenti
che adesso riscattano
della propria vita
il lungo tormento.
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