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  Scritti di altri autori  »  Poesie  »  Nell'immensità delle pianure del sale di Gabriel Impaglione 20/06/2006
 

Nell'immensità delle pianure del sale

cercarono le reti

il pesce d'oro, i porti dove ancoravano

la prima aurora, il bacio dell'ultima sirena,

la casa stabilita del pane caldo.

Furono le navi l'origine delle moltitudini.

Negli umidi corridoi dove nacquero

speranze, figli morti, garofani

nelle mani

uno dietro l'altro in lunga fila di silenzi

resero le loro lingue

le valigie sovraccariche di domande.

Allora subirono nella terra nuova le scarpe

rotte alle impalcature

costruirono la volontà del pranzo.

Si guastarono la pelle fino a denudare la piaga

dove il dolore pulsa il suo primo grido,

li bruciò la calce, la macchina

gli tolse una mano, l'olfatto, li morsicò la luce,

ogni paga giornaliera fu una spugna d'aceto.

Nei rioni dove il muschio d'orina

non ha potuto con la rosa, aprirono un vuoto

nel freddo per cullare i figli.

La terra li chiamò seme e il seme

padre, e fondarono l'esplosione del cereale.

E così la ruota avanzò dove nulla fu e nulla successe se non il vento.

Il cammino si fece stenditoio di crani e papaveri,

stracci, nomi perduti, guerre

che morsicavano la memoria, lunghe traversie

cercando l'origine che non era se non la nuova

direzione.

Il ritorno coperto nelle cartoline

a volte trepidò come un passero ferito.

Riempirono i nuovi orizzonti di olive,

chitarre, strutture, viti, punti di partenza,

e sollevarono la casa che li vide nascere, partire

e tornare ogni domenica il meglio dei sogni.

Molto dopo nelle pianure del sale

i figli rientrarono per il pesce d'oro

il palmo d'aria

il possibile

di spalle all'humus carbonizzato dalla tristezza.

Allora i paesi di strade strette,

dove già nessuno aspettava notizie d'oltre mare,

dove restavano molto lontane

le nuove dimensioni del mondo.

 

 

En la inmensidad de las llanuras del salitre

buscaron las redes

el pez de oro, los puertos donde anclaban

la primera aurora, el beso de la última sirena,

la casa establecida del pan caliente.

Fueron los barcos el origen de las multitudes.

En los húmedos corredores donde nacían

esperanzas, hijos muertos, claveles

en las manos

uno detrás de otro en larga fila de silencios

rindieron sus lenguas

las valijas abarrotadas de preguntas.

Entonces subieron en la tierra nueva los zapatos

rotos a los andamios

construyeron la voluntad del almuerzo.

Se gastaron la piel hasta desnudar la llaga

donde el dolor pulsa su primer grito,

los quemó la cal, la máquina

les llevó una mano, el olfato, les mordió la luz,

cada jornal fue un esponja con vinagre.

En los arrabales donde el musgo del orín

no pudo con la rosa, abrieron un hueco

en el frío para acunar los hijos.

La tierra los llamó semilla y la semilla

padre, y fundaron el estallido del cereal.

Y así la rueda avanzó donde nada hubo y nada

sucedía sino viento.

El camino se hizo tendedero de cráneos y amapolas,

harapos, nombres extraviados, guerras

que mordían la memoria, largas travesías

en busca del origen que no era sino la nueva

singladura.

El regreso cobijado en las postales

a veces tembló como un pájaro herido.

Llenaron los nuevos horizontes de aceitunas,guitarras, estructuras, vides, puntos de partida,

y levantaron la casa que vio nacer, partir

y regresar cada domingo lo mejor de los sueños.

Muy después a las llanuras del salitre

los hijos regresaron por el pez de oro

el palmo de aire

lo posible

de espaldas al humus carbonizado por la pena.

Entonces los pueblos de calles estrechas,

donde ya nadie esperaba noticias de ultramar,

donde quedaban muy lejos

las nuevas dimensiones del mundo.

 

(da “Carte di Sardinia”)

 

 

 

 
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